Trattativa Stato-mafia: differenze tra le versioni

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L’ex ministro degli Interni Vincenzo Scotti venne interrogato nel corso del processo per la strage di via D’Amelio e in particolare gli fu chiesto come mai fosse uscito da un governo come ministro degli Interni per entrare in un nuovo governo come ministro degli Esteri. In risposta l'ex-ministro fece un sorriso indecifrabile, come se non potesse rispondere in maniera chiara alla domanda.  
L’ex ministro degli Interni Vincenzo Scotti venne interrogato nel corso del processo per la strage di via D’Amelio e in particolare gli fu chiesto come mai fosse uscito da un governo come ministro degli Interni per entrare in un nuovo governo come ministro degli Esteri. In risposta l'ex-ministro fece un sorriso indecifrabile, come se non potesse rispondere in maniera chiara alla domanda.  


Il [[29 giugno]] Liliana Ferrario informò Borsellino, all'aeroporto di Fiumicino, dell’incontro avvenuto tra Mori e Ciancimino e il magistrato disse che ci avrebbe pensato lui. Pochi giorni dopo lo stesso Borsellino però scoppiò in lacrime davanti a due giovani giudici, Massimo Russo e Alessandra Camassa, dicendo che un amico lo aveva tradito.  
Il [[29 giugno]] Liliana Ferrario informò Borsellino, all'aeroporto di Fiumicino, dell’incontro avvenuto tra Mori e Ciancimino e il magistrato disse che ci avrebbe pensato lui. Pochi giorni dopo lo stesso Borsellino però scoppiò in lacrime davanti a due giovani giudici, Massimo Russo e Alessandra Camassa, dicendo che un amico lo aveva tradito<ref>[http://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/04/06/news/processo_mori_deposizione_martelli-3153992/ Martelli e la trattativa Stato-mafia "Rapporti stretti tra Ros e Ciancimino", la Repubblica, 6 aprile 2010]</ref>.  


Il [[1° luglio]] mentre Borsellino stava interrogando il mafioso [[Gaspare Mutolo]] alla Direzione Investigativa Antimafia di Roma, venne convocato al Viminale dove si stava insediando il nuovo ministro Mancino. Al ritorno il giudice parve visibilmente scosso, tanto che il pentito affermò che fumava due sigarette insieme. Il suo stato d’animo era dovuto all'incontro con [[Bruno Contrada]], numero due del Sisde, il quale gli aveva fatto una battuta sul pentimento di Mutolo, informazione quest’ultima che sarebbe dovuta essere segreta.
Il [[1° luglio]] mentre Borsellino stava interrogando il mafioso [[Gaspare Mutolo]] alla Direzione Investigativa Antimafia di Roma, venne convocato al Viminale dove si stava insediando il nuovo ministro Mancino. Al ritorno il giudice parve visibilmente scosso, tanto che il pentito affermò che fumava due sigarette insieme. Il suo stato d’animo era dovuto all'incontro con [[Bruno Contrada]], numero due del Sisde, il quale gli aveva fatto una battuta sul pentimento di Mutolo, informazione quest’ultima che sarebbe dovuta essere segreta.
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=== Dalle bombe ai decreti-legge ===
=== Dalle bombe ai decreti-legge ===
Il 27 febbraio 1994 vennero arrestati i fratelli Graviano a Milano e un mese dopo, il 28 marzo 1994 Silvio Berlusconi vinse le elezioni politiche con il neo partito Forza Italia.  
Il [[27 febbraio]] [[1994]] vennero arrestati i fratelli Graviano a Milano e un mese dopo, il [[28 marzo]] [[Silvio Berlusconi]] vinse le elezioni politiche con il suo nuovo partito Forza Italia.  
Secondo le dichiarazioni di Antonino Giuffrè rese il 7 gennaio del 2003, ci fu un contatto tra Cosa Nostra e Berlusconi già intorno agli anni Settanta. Ma ciò che preme sottolineare è il fatto che con l’omicidio di Salvo Lima Cosa Nostra volle chiudere i rapporti con la politica democristiana e aprirne altri con un nuovo soggetto politico, vale a dire Forza Italia.  
 
Questa formazione politica nacque quindi come effetto della trattativa, e avrebbe dovuto dare garanzie che la democrazia cristiana non era più in grado di offrire. Cosa Nostra invece avrebbe dovuto cercare e offrire voti a questa formazione politica. L’uomo cerniera capace di condurre le trattative venne individuato nella persona di Marcello Dell’Utri, vicino a Cosa Nostra e ottimo referente per Berlusconi.  
Secondo le dichiarazioni di [[Antonino Giuffrè]] rese il [[7 gennaio]] [[2003]], ci fu un contatto tra Cosa Nostra e Berlusconi già intorno agli anni Settanta. Con l'omicidio di [[Salvo Lima]] Cosa Nostra volle chiudere i rapporti con la politica democristiana e aprirne altri con un nuovo soggetto politico, secondo il pentito proprio Forza Italia<ref>Torrealta, op. cit., p.184-187</ref>. Questa formazione politica nacque quindi come effetto della Trattativa e avrebbe dovuto dare garanzie che la democrazia cristiana non era più in grado di offrire. Cosa Nostra invece avrebbe dovuto cercare e offrire voti a questa formazione politica. L'uomo cerniera capace di condurre le trattative venne individuato nella persona di [[Marcello Dell'Utri]], braccio destro di Silvio Berlusconi e poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa nel [[2014]].  
Il 13 luglio 1994 fu emanato il decreto Biondi, che consentiva per la maggior parte dei condannati per corruzione di beneficiare degli arresti domiciliari durante il giudizio. Il decreto modificava poi l’art 275 c.p.p. nella parte in cui la pericolosità di chi commetteva reati per mafia non fosse presunta ma valutata di volta in volta dal giudice, così da verificare se sussistessero esigenze cautelari. Il decreto venne poi ritirato.  
 
Il primo agosto 1996 venne presentato un progetto di legge dai senatori Melchiorre Cirami e Bruno Napoli, appartenenti al partito Centro Cristiano Democristiano, che prevedeva la c.d. dissociazione. Si prevedevano cioè una serie di benefici per quei mafiosi che avessero ripudiato Cosa Nostra senza accusare altri appartenenti all’organizzazione. È bene sottolineare come tale proposta di legge fosse una delle richieste avanzate da Cosa Nostra nel c.d. papello e che avrebbe significato un’apertura dello Stato nei confronti di tali soggetti.  
Il [[13 luglio]] fu emanato il '''decreto Biondi''', che consentiva per la maggior parte dei condannati per corruzione di beneficiare degli arresti domiciliari durante il giudizio. Il decreto modificava poi l'art 275 c.p.p. nella parte in cui la pericolosità di chi commetteva reati per mafia non fosse presunta ma valutata di volta in volta dal giudice, così da verificare se sussistessero esigenze cautelari. Il decreto venne poi ritirato dopo le vibranti proteste di magistrati e opinione pubblica, in particolare del pool di Mani Pulite.  
 
Il [[1° agosto]] [[1996]] venne presentato un progetto di legge dai senatori Melchiorre Cirami e Bruno Napoli, appartenenti al partito Centro Cristiano Democristiano, che prevedeva la c.d. '''dissociazione'''. Si prevedevano cioè una serie di benefici per quei mafiosi che avessero ripudiato Cosa Nostra senza accusare altri appartenenti all'organizzazione, una delle richieste avanzate da Cosa Nostra nel c.d. papello.  


== L’infiltrato Luigi Ilardo ==
== L’infiltrato Luigi Ilardo ==
Nel giugno del 1993 il detenuto Luigi Ilardo, cugino del boss Piddu Madonia, chiese un incontro con la Dia dichiarando di riconoscere alcuni artificieri delle stragi del 1992-1993. Il capo della Dia, Gianni De Gennaro affidò l’incarico di incontrare Ilardo al colonello Michele Riccio. Ilardo decise di iniziare un processo di collaborazione, essendo disposto ad essere un infiltrato in Cosa Nostra.  
Nel giugno 1993 il detenuto [[Luigi Ilardo]], cugino del boss Piddu Madonia, chiese un incontro con la Dia dichiarando di conoscere alcuni artificieri delle stragi del 1992-1993. Il capo della Dia, [[Gianni De Gennaro]] affidò l’incarico di incontrare Ilardo al colonello [[Michele Riccio]]. Ilardo decise di iniziare un processo di collaborazione, essendo disposto ad essere un infiltrato in Cosa Nostra.  
Il 31 ottobre 1995 il collaboratore riuscì ad ottenere la fiducia di Bernardo Provenzano con il quale era da tempo in contatto e riuscì a fissare un incontro con il boss. Il colonello Riccio comunicò subito ai superiori, tra cui Mori, la possibilità di catturare Provenzano ma questi sembravano disinteressati alla notizia.  
 
Durante l’incontro tra Ilardo e Provenzano infatti ci fu soltanto un servizio di osservazione dei luoghi ad una certa distanza dal casolare dove si teneva l’incontro. A seguito dell’incontro non avvenne alcun arresto, ma anzi il colonnello Mori e i colleghi Obinu e Ganzer dissero a Riccio di non predisporre alcuna relazione per i magistrati poiché riguardavano attività di latitanti.  
Il [[31 ottobre]] [[1995]] il collaboratore riuscì ad ottenere la fiducia di [[Bernardo Provenzano]] con il quale era da tempo in contatto e riuscì a fissare un incontro con il boss. Il colonnello Riccio comunicò subito ai superiori, tra cui [[Mario Mori|Mori]], che vi sarebbe stata la possibilità di catturare Provenzano ma questi sembrarono disinteressati alla notizia<ref>Ivi, pp. 163-165</ref>.
L’arresto di Provenzano avvenne l’11 aprile 2006, dopo 46 anni di latitanza.
 
Trascorsi alcuni mesi l’autorità giudiziaria di Palermo manifestò l’idea che Ilardo dovesse iniziare una collaborazione formale con i magistrati.  
Durante l'incontro tra Ilardo e Provenzano fu disposto soltanto un servizio di osservazione dei luoghi ad una certa distanza dal casolare e non avvenne alcun arresto, anzi, il colonnello Mori e i colleghi Obinu e Ganzer dissero a Riccio di non predisporre alcuna relazione per i magistrati poiché riguardava attività di latitanti<ref>Ibidem</ref>.  
Il colonello Mori spinse affinchè Ilardo collaborasse esclusivamente con il magistrato Tinebra, mentre Ilardo espresse fermamente la volontà che ci fosse anche il dottor Caselli e che senza tale soggetto egli non avrebbe collaborato. Il colloquio non venne verbalizzato e il dottor Tinebra chiese che si proseguisse successivamente.  
 
Il dottor Caselli chiese quindi a Riccio di registrare le dichiarazioni di Ilardo in vista dei successivi interrogatori, ma ciò non avvenne perché il 10 maggio 1996 Ilardo fu ucciso perché scoperto collaboratore di giustizia. Il giorno stesso dell’uccisione di Ilardo, Riccio venne raggiunto dal capitano Damiano della procura di Caltanissetta, il quale visibilmente preoccupato gli riferì che era trapelata la notizia della collaborazione e che aveva già diramato la notizia al colonello Mori e al maggiore Obinu. Nei mesi successivi il colonello Mori e Obinu insistettero per non redigere un rapporto conclusivo su quanto era avvenuto, e in particolare sulle vicende connesse al mancato arresto di Provenzano. La stessa Procura di Caltanissetta chiese a Riccio di non inserire nel rapporto alcun riferimento al colloquio avvenuto tra Ilardo e i magistrati.  
Trascorsi alcuni mesi l’autorità giudiziaria di Palermo manifestò l'idea che Ilardo dovesse iniziare una collaborazione formale con i magistrati. Il colonello Mori spinse affinché Ilardo collaborasse esclusivamente con il magistrato <ref>Giovanni Tinebra</ref>, mentre Ilardo espresse fermamente la volontà che ci fosse anche il dottor [[Gian Carlo Caselli|Caselli]] e che senza tale soggetto egli non avrebbe collaborato. Il colloquio non venne verbalizzato e il dottor Tinebra chiese che si proseguisse successivamente.  
 
Il dottor Caselli chiese quindi a Riccio di registrare le dichiarazioni di Ilardo in vista dei successivi interrogatori, ma ciò non avvenne perché il [[10 maggio]] [[1996]] '''Ilardo fu ucciso'''. Il giorno stesso dell'uccisione di Ilardo, Riccio venne raggiunto dal capitano Damiano della procura di Caltanissetta, il quale visibilmente preoccupato gli riferì che era trapelata la notizia della collaborazione e che aveva già diramato la notizia al colonello Mori e al maggiore Obinu. Nei mesi successivi il colonello Mori e Obinu insistettero per non redigere un rapporto conclusivo su quanto era avvenuto, e in particolare sulle vicende connesse al mancato arresto di Provenzano. La stessa Procura di Caltanissetta chiese a Riccio di non inserire nel rapporto alcun riferimento al colloquio avvenuto tra Ilardo e i magistrati<ref>Ibidem</ref>.  


== Il processo sulla Trattativa Stato-Mafia ==  
== Il processo sulla Trattativa Stato-Mafia ==  
=== Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino ===
=== Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino ===
Il 19 dicembre 2007 il settimanale “Panorama” pubblicò un’intervista fatta a Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino ex sindaco di Palermo, nella quale vennero toccati argomenti “scottanti” del periodo delle stragi del 1992-1993 e di una “trattativa” tra Stato e Cosa Nostra a cui Massimo aveva assistito.  
Il [[19 dicembre]] [[2007]] il settimanale “Panorama” pubblicò un'intervista a [[Massimo Ciancimino]], figlio di [[Vito Ciancimino|Vito]], nella quale vennero toccati argomenti “scottanti” del periodo delle stragi del 1992-1993 e di una “Trattativa” tra Stato e Cosa Nostra a cui Massimo aveva assistito. La risposta dell’autorità giudiziaria non tardò ad arrivare e pochi giorni dopo le procure di Caltanissetta e di Palermo vollero interrogarlo: il [[29 gennaio]] [[2008]] Ciancimino venne sentito dalla procura di Caltanissetta di fronte al procuratore Renato Di Natale e al sostituto Rocco Liguori. Il [[7 aprile]] Ciancimino iniziò quindi a collaborare con la Procura di Palermo nell'ambito delle coperture riguardanti la latitanza di Bernardo Provenzano, davanti ai sostituti procuratori [[Antonio Ingroia]] e [[Nino Di Matteo]].  
La risposta dell’autorità giudiziaria non tardò ad arrivare e pochi giorni dopo le procure di Caltanissetta e di Palermo vollero interrogare Massimo Ciancimino. Il 29 gennaio 2008 Ciancimino venne sentito dalla procura di Caltanissetta di fronte al procuratore Renato di Natale e al sostituto Rocco Liguori.  
 
Il 7 aprile 2008 iniziò a collaborare con la Procura di Palermo nell’ambito delle coperture riguardanti la latitanza di Bernardo Provenzano, davanti ai sostituti procuratori Antonio Ingroia e Nino Di Matteo.  
Durante l'interrogatorio del [[9 novembre]] [[2009]] il figlio di don Vito raccontò del rapporto tra suo padre e Provenzano, ricordando come il padre desse del tu a Provenzano chiamandolo “Binnu”, mentre il boss dava del lei a Ciancimino chiamandolo “ingegnere”. Il rapporto tra i due era infatti molto stretto poiché il boss, compaesano di Vito e più piccolo d'età, aveva preso ripetizioni di matematica dall'ex-sindaco di Palermo.  
Massimo Ciancimino ha fornito uno dei contributi maggiori nell’analisi della trattativa stato-mafia attraverso la sua collaborazione.
 
Durante l’interrogatorio del 9 novembre 2009 Massimo raccontò del rapporto tra suo padre e Bernardo Provenzano ricordando come Vito desse del tu a Provenzano chiamandolo “Binnu”, mentre il boss dava del lei a Ciancimino chiamandolo “ingegnere”. Il rapporto tra i due era infatti molto stretto poiché il boss, compaesano di Vito e più piccolo d’età aveva preso ripetizioni di matematica da questo.  
Durante l'interrogatorio dell'[[8 luglio]] Ciancimino jr. raccontò della nascita della Trattativa e del ruolo assunto da suo padre e dal colonnello Mario Mori e dal capitano De Donno e le varie fasi di questo rapporto, sottolineando come a seguito dell'arresto del padre e di Totò Riina i rapporti fossero continuati tra Dell'Utri e Provenzano<ref>Ivi, pp. 68-69</ref>.
Durante l’interrogatorio dell’8 luglio 2009 Ciancimino jr. raccontò della nascita della trattativa e del ruolo assunto da suo padre e dal colonnello Mario Mori e dal capitano De Donno e le varie fasi di questo rapporto, sottolineando come a seguito dell’arresto del padre e di Totò Riina i rapporti fossero continuati tra Dell’Utri e Provenzano.
Nel corso del processo Massimo Ciancimino fornì importanti documenti, che durante una perquisizione avvenuta il 17 febbraio del 2005 a casa sua non sono stati esaminati ma rimasti chiusi in una cassaforte che pare non essere stata vista. Proprio tale cassetta di sicurezza, a dire di Ciancimino, conteneva il papello, il contropapello e altri “pizzini”.  


=== Il pentimento di Gaspare Spatuzza ===  
=== Il pentimento di Gaspare Spatuzza ===  
Il [[26 giugno]] [[2008]] [[Gaspare Spatuzza]] raccontò di essere stato proprio lui stesso a rubare la Fiat 126 usata come autobomba, sottolineando come i freni di quest’ultima fossero consumati e che aveva provveduto egli stesso a farli sistemare. Questo dettaglio, apparentemente irrilevante, ebbe grande importanza poiché i freni dell’autobomba di via d’Amelio erano nuovi e provarono quindi la versione del pentito. Venne dunque organizzato un confronto tra Gaspare Spatuzza e Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura (autoaccusatosi del furto della macchina). Quest’ultimo ammise di essersi inventato tutto su pressione di poliziotti e scoppiò a piangere e anche Scarantino chiese di interrompere il confronto. La versione raccontata da Spatuzza risultò quindi attendibile.  
Il [[26 giugno]] [[2008]] [[Gaspare Spatuzza]] si accusò del furto della Fiat 126 usata come autobomba nella [[Strage di Via Mariano d’Amelio|Strage di Via D'Amelio]], portando come prova della sua attendibilità il fatto che avesse fatto cambiare i freni della macchina, totalmente consumati: fu questo dettaglio ad avvalorare la tesi di Spatuzza, dato che i freni risultarono effettivamente nuovi subito dopo i rilievi delle forze dell'ordine. Venne dunque organizzato un confronto tra Gaspare Spatuzza e [[Vincenzo Scarantino]], Francesco Andriotta e Salvatore Candura (autoaccusatosi del furto della macchina). Quest'ultimo ammise di essersi inventato tutto su pressione di poliziotti e scoppiò a piangere e anche Scarantino chiese di interrompere il confronto. La versione raccontata da Spatuzza risultò quindi attendibile.
 
=== Le audizioni di politici e dirigenti del Dap nel 2010 ===
Nel corso del [[2010]] le Procure di Palermo e Caltanissetta ascoltarono diversi ex-ministri e politici, nonché dirigenti del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.


19 dicembre 2007: Ciancimino rilascia un'intervista a Panorama. Poco dopo viene chiamato dalle Procure di Caltanissetta e Palermo. Inizia l'indagine sulla trattativa.
Il [[13 novembre]], a distanza di 17 anni, venne ritrovato un appunto del DAP, il "''numero 115077 del 6 marzo 1993''", indirizzato al Capo di gabinetto dell'allora ministro della Giustizia [[Giovanni Conso]], firmato dall'allora direttore [[Nicolò Amato]], dove a pagina 59 si parlava della "Revisione dei decreti ministeriali emanati a partire dal luglio '92, sulla base dell'articolo 41 bis"<ref>Salvo Palazzolo, [http://www.repubblica.it/politica/2010/11/13/news/stop_al_41_bis_spunta_il_suggeritore_di_conso-9055803/ Trattativa Stato-Mafia, stop al 41 bis spunta il suggeritore di Conso], la Repubblica, 13 novembre 2010</ref>. Nel documento si legge che "''appare giusto ed opportuno rinunciare ora all'uso di questi decreti''" e venivano indicate due strade "''lasciarli in vigore fino alla scadenza senza rinnovarli, ovvero revocarli subito in blocco. Mi permetterei di esprimere una preferenza per la seconda soluzione''". Amato spiega perché: "''L'emanazione dei 41 bis era giustificata dalla necessità di dare alla criminalità mafiosa una risposta. Ma non vi è dubbio che la legge configura il ricorso a questi decreti come uno strumento eccezionale e temporaneo''". Lo stesso capo del DAP poi precisa che "''in sede di Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza, nella seduta del 12 febbraio, sono state espresse, particolarmente da parte del capo della polizia, riserve sulla eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario. Ed anche recentemente da parte del ministero dell'Interno sono venute pressanti insistenze per la revoca dei decreti applicati agli istituti di Poggioreale e di Secondigliano''".


2008: si pente Gaspare Spatuzza, kiler dei Graviano. Si accusa del furto e della preparazione della fiat 126 che uccise Borsellino.
Nell'audizione di due giorni prima l'ex-ministro della giustizia Conso si era invece assunto in solitaria la responsabilità politica della revoca dei 140 regimi di 41-bis, sostenendo che in quel modo era riuscito a impedire altre stragi<ref>Conso: “Nel ’93 non rinnovai il 41 bis  per l’Ucciardone e evitai altre stragi”, il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2010</ref>; circostanza dunque smentita dal ritrovamento dell'appunto del DAP.


2009: Ciancimino rivela i particolari degli incontri tra il ros e suo padre
Il [[15 dicembre]] vennero ascoltati gli ex-presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Durante l'audizione, tenutasi a Palazzo Giustiniani a Roma e condotta dal procuratore di Palermo Francesco Messineo, l'aggiunto [[Antonio Ingroia]] e i sostituti [[Nino Di Matteo]] e Paolo Guido, Ciampi ricordò i contenuti di una sua intervista in cui temette nel 1993 un golpe, per via dell'isolamento telefonico di Palazzo Chigi.


2010: le procure di palermo e caltanissetta sentono: Martelli, Conso, Ferraro, Violante, Scalfaro, Ciampi, Mancino, Nicolò Amato.
=== L'arresto di Massimo Ciancimino per calunnia ===
Il [[21 aprile]] [[2011]] la procura di Palermo arrestò per calunnia aggravata Massimo Ciancimino a Parma, sulla base di un fermo disposto dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guida per calunnia aggravata; secondo la ricostruzione della polizia scientifica, il figlio di don Vito aveva falsificato un documento, poi consegnato alla magistratura come prova, in cui veniva fatto il nome dell'ex-capo della polizia Gianni De Gennaro, in quel momento direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza.


21 aprile 2011: la procura di palermo arresta ciancimino per calunnia verso de gennaro
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25 novembre 2011: Mancino inizia a sentire Loris D'Ambrosio, consulente giuridico di Napolitano
25 novembre 2011: Mancino inizia a sentire Loris D'Ambrosio, consulente giuridico di Napolitano

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