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==== Ai tempi dei Borbone ==== | ==== Ai tempi dei Borbone ==== | ||
[[File:Struttura camorra 800.png|400px|thumb|left|La struttura gerarchica della Camorra di fine '800]] | |||
Negli anni della Restaurazione borbonica, subito dopo il Congresso di Vienna, la Camorra si diede un'organizzazione che prevedeva tre livelli gerarchici: ''picciotto d'onore'', ''picciotto di sgarro'', ''camorrista''. L'aspirante camorrista, prima di poter intraprendere questo particolare ''cursus honorum'', era chiamato "''tamurro''". Ogni quartiere di Napoli, suddiviso a sua volta in "''paranze''", aveva un "''caposocietà''", per un totale di dodici: questi, a loro volta, eleggevano un "''capintesta''" generale della Camorra, ruolo che per molti anni fu egemonizzato dalla famiglia Cappuccio del quartiere della Vicaria. Ogni capo della Camorra poteva fregiarsi del titolo di "''Masto''" (Maestro, Padrone). La medesima struttura era presente anche nell'area ristretta tra Caserta, Marcianise e Santa Maria Capua Vetere (la c.d. Terra di Lavoro), ma il ''capintesta'' veniva eletto solo tra i ''capisocietà'' di Napoli. I comuni, anche capoluoghi di provincia, erano equiparati ai quartieri di Napoli ed eleggevano un solo caposocietà. | Negli anni della Restaurazione borbonica, subito dopo il Congresso di Vienna, la Camorra si diede un'organizzazione che prevedeva tre livelli gerarchici: ''picciotto d'onore'', ''picciotto di sgarro'', ''camorrista''. L'aspirante camorrista, prima di poter intraprendere questo particolare ''cursus honorum'', era chiamato "''tamurro''". Ogni quartiere di Napoli, suddiviso a sua volta in "''paranze''", aveva un "''caposocietà''", per un totale di dodici: questi, a loro volta, eleggevano un "''capintesta''" generale della Camorra, ruolo che per molti anni fu egemonizzato dalla famiglia Cappuccio del quartiere della Vicaria. Ogni capo della Camorra poteva fregiarsi del titolo di "''Masto''" (Maestro, Padrone). La medesima struttura era presente anche nell'area ristretta tra Caserta, Marcianise e Santa Maria Capua Vetere (la c.d. Terra di Lavoro), ma il ''capintesta'' veniva eletto solo tra i ''capisocietà'' di Napoli. I comuni, anche capoluoghi di provincia, erano equiparati ai quartieri di Napoli ed eleggevano un solo caposocietà. | ||
Come criminalità urbana, la camorra esercitava la sua principale attività, l'estorsione, soprattutto nelle carceri, vero luogo di reclutamento dell'organizzazione: qualsiasi attività ed eventuale disponibilità materiale del detenuto era "tassata" del 10%. Altri fronti delle attività camorristiche erano i mercati (dove veniva imposta una percentuale sulla vendita di farine, creali, frutta, pesce, carne etc.) e le case da gioco, nonché la prostituzione. A Napoli in pratica non vi era attività commerciale che non prevedesse il pagamento di una tangente alla Camorra. L'addetto agli affari economici e finanziari dell'organizzazione era il "''contarulo''", nominato da ciascun ''capososcietà'' alla gestione del "''barattolo''", dove finivano tutti gli introiti delle estorsioni. | Per entrare a far parte della Camorra bisognava rispondere a criteri precisi: a mero titolo d'esempio, erano esclusi dall'affiliazione gli omosessuali passivi e chiunque avesse una moglie o una sorella prostituta (anche se quest'ultimo divieto era il più frequentemente disatteso). La prova di coraggio con la quale si stabiliva l'idoneità del candidato consisteva o nell'esecuzione di un omicidio o nello sfregio di uno dei nemici dell'organizzazione. Gli sfregi col rasoio erano in particolare la punizione per chi infrangeva il codice d'onore, sia che fosse affiliato o che non lo fosse. Una volta giudicato idoneo, il candidato doveva pronunciare un giuramento di fronte a due coltelli incrociati e combattere in un duello all'arma bianca contro un camorrista estratto a sorte. I duelli con il pugnale erano il rito di passaggio da un grado all'altro nella gerarchia criminale: raramente erano duelli all'ultimo sangue, avevano uno scopo prevalentemente cerimoniale. Il pugnale restava comunque l'arma preferita del camorrista per compiere i propri delitti. | ||
Come criminalità urbana, la camorra esercitava la sua principale attività, '''l'estorsione''', soprattutto nelle carceri, vero luogo di reclutamento dell'organizzazione: qualsiasi attività ed eventuale disponibilità materiale del detenuto era "tassata" del 10%. Altri fronti delle attività camorristiche erano i mercati (dove veniva imposta una percentuale sulla vendita di farine, creali, frutta, pesce, carne etc.) e le case da gioco, nonché la prostituzione. A Napoli in pratica non vi era attività commerciale che non prevedesse il pagamento di una tangente alla Camorra. L'addetto agli affari economici e finanziari dell'organizzazione era il "''contarulo''", nominato da ciascun ''capososcietà'' alla gestione del "''barattolo''", dove finivano tutti gli introiti delle estorsioni. | |||
Ogni quartiere, inoltre, aveva un suo tribunale, che si chiamava "''Mamma''": il tribunale supremo della città era la "''Gran Mamma''", presieduto dal ''capintesta'', che in quella funzione assumeva il titolo di "''Mammasantissima''". Del resto, la stessa polizia borbonica assicurava impunità in cambio di tutela dell'ordine pubblico da parte della Camorra, che dopo la fallita insurrezione liberale del 15 maggio 1848 venne impiegata anche per raccogliere informazioni sulle manovre degli oppositori politici al governo borbonico. | Ogni quartiere, inoltre, aveva un suo tribunale, che si chiamava "''Mamma''": il tribunale supremo della città era la "''Gran Mamma''", presieduto dal ''capintesta'', che in quella funzione assumeva il titolo di "''Mammasantissima''". Del resto, la stessa polizia borbonica assicurava impunità in cambio di tutela dell'ordine pubblico da parte della Camorra, che dopo la fallita insurrezione liberale del 15 maggio 1848 venne impiegata anche per raccogliere informazioni sulle manovre degli oppositori politici al governo borbonico. | ||
==== | ==== Filo-borbonici, anzi no ==== | ||
Secondo quanto raccontato da Monnier<ref>Marc Monnier, La camorra: notizie storiche raccolte e documentate, Firenze, G. Barbera, 1862</ref>, a metà degli anni Cinquanta il "Comitato d'Ordine" (gruppo clandestino di cospiratori patriottici anti-borbonici) strinse un accordo con la Camorra, nell'illusione di conquistarne i favori e dirigerla verso la causa dell'Italia unita: i termini dell'accordo imposti dai capi camorristi della città erano che il Comitato avrebbe dovuto versare la somma di 10mila ducati a ciascun caposocietà. Una volta ricevuto il denaro, la Camorra si preoccupò più di ricattare i patrioti, estorcendo loro altro denaro, piuttosto che organizzare "la rivolta patriottica" promessa. | |||
Tutto ciò almeno fino al novembre 1859, quando lo Stato borbonico ordinò una grande retata di camorristi, spedendone parecchi sulle isole-prigione al largo della costa: questo, insieme ai successi in Sicilia del maggio 1860 di Garibaldi, indussero la Camorra ad abbandonare a se stesso il Regno delle Due Sicilie e a schierarsi con la causa patriottica definitivamente. Non per convinzione, ma per mantenere intatti i propri traffici criminali. Tanto che il ministro borbonico dell'Interno Liborio Romano invitò a casa sua il capintesta [[Salvatore De Crescenzo]] (''Tore 'e Criscienzo''), proponendogli di trasformare capisocietà e picciotti rispettivamente in commissari/ispettori di polizia e in guardie cittadine, in modo da garantire l'ordine pubblico nell'imminente arrivo a Napoli di Giuseppe Garibaldi. La nuova legittimazione in città permise ai camorristi di fare il bello e il cattivo tempo nel periodo di transizione al nuovo regime liberale. | |||
Quando infatti il 7 settembre 1860 Garibaldi arrivò a Napoli, fu accolto da una folla straordinaria di persone, da bande musicali e dai tricolori italiani, sventolati dai camorristi stessi che fino a qualche mese prima militavano convintamente nelle fila borboniche. Camorristi che sfruttarono l'autorità temporanea incaricata di governare il Mezzogiorno in nome dell'eroe dei due Mondi per massimizzare i propri traffici criminali, in particolare l'estorsione e il contrabbando. Le dogane furono espropriate dei loro balzelli, che finirono nelle casse della Camorra: al grido "''è roba d'o zi Peppe (n.d. Giuseppe Garibaldi). Lasciate passare!''", i camorristi esclusero dalla riscossione dei dazi l'autorità pubblica. Le cose andavano talmente bene per l'organizzazione criminale, che domenica [[21 ottobre]] 1860 il sì al referendum per l'ingresso nel Regno d'Italia ottenne un plebiscito tale che la piazza dove si svolsero i festeggiamenti fu chiamata proprio ''Piazza del Plebiscito''. | |||
==== Silvio Spaventa e il pugno di ferro contro la Camorra ==== | |||
A risanare le istituzioni pubbliche e a riportare l'ordine a Napoli fu il patriota '''Silvio Spaventa''', veterano delle galere borboniche e profondo conoscitore della Camorra. A poche settimane dal suo insediamento come nuovo ministro dell'Interno del Regno d'Italia, Spaventa non solo ottenne l'estensione delle disposizioni della Legge Pica contro il brigantaggio anche ai camorristi, ma autorizzò il [[16 novembre]] 1860 il prefetto di polizia '''Filippo De Blasio''', coadiuvato dai neocommissari Capuano e Jossa, a compiere una vasta operazione volta a reprimere il contrabbando, utilizzando i carabinieri e le guardie nazionali: in ventiquattro ore '''oltre 100 camorristi''' finirono in carcere. L'opera di risanamento di Spaventa si interruppe a seguito di uno scandalo che lo costrinse alle dimissioni: nel luglio 1861 un alto funzionario di polizia, Ferdinando Mele, venne pugnalato a morte dietro l'orecchio in pieno giorno; già camorrista e reclutato nella polizia ai tempi di Romano, Mele era stato ucciso da '''Salvatore De Mata''', un delinquente non affiliato alla Camorra, desideroso di vendetta per l'arresto del fratello. Arrestato, venne fuori che De Mata, già guardia del corpo di Spaventa, aveva ottenuto da lui un posto alle Poste, dove non si presentava mai. Al suo posto arrivò il generale '''Enrico Cialdini''', che attenuò decisamente il fervore anti-camorristico del suo predecessore. | |||
==== 1863: la legge sul domicilio coatto ==== | |||
Cacciato da Napoli, Spaventa divenne viceministro dell'Interno a Torino l'anno successivo, ottenendo che la nuova commissione parlamentare d'inchiesta sul cosiddetto "Grande Brigantaggio" si occupasse anche di Camorra: il risultato fu l'istituzione nell'agosto 1863 della legge sul '''domicilio coatto''', per la quale era possibile il trasferimento di qualsiasi persona considerata sospetta in uno dei bagni penali situati nelle isole al largo della costa italiana. Il risultato fu tutt'altro che soddisfacente: i camorristi, lungi dall'essere impossibilitati dall'esercitare la loro funzione criminale in carcere, lo trasformarono in un vero e proprio luogo di reclutamento e iniziazione, come già avevano fatto sotto i Borboni. | |||
==== Il processo Cuocolo: lo scioglimento della Camorra ==== | ==== Il processo Cuocolo: lo scioglimento della Camorra ==== | ||
*''Per approfondire vedi [[Processo Cuocolo]]'' | *''Per approfondire vedi [[Processo Cuocolo]]'' | ||
[[File:Processo cuocolo.jpg|300px|thumb|right|Una foto d'epoca del Processo Cuocolo (Archivio Mauro Galeotti)]] | [[File:Processo cuocolo.jpg|300px|thumb|right|Una foto d'epoca del Processo Cuocolo (Archivio Mauro Galeotti)]] | ||
Nonostante il clima di belligeranza del nuovo Stato liberale, la Camorra continuava ad operare a Napoli e Provincia. Fino | Nonostante il clima di belligeranza del nuovo Stato liberale, la Camorra continuava ad operare a Napoli e Provincia. Fino al [[6 giugno]] [[1906]], quando furono uccisi '''Gennaro Cuocolo''', basista di furti di appartamenti, e sua moglie Maria Cutinelli, ex-prostituta. Ucciso sulla spiaggia di Torre del Greco per essersi appropriato della parte di bottino spettante ai complici finiti in carcere, il caso fu l'occasione per celebrare un "maxi-processo" alla Camorra napoletana che, in assenza di qualsiasi tutela liberale, si concluse con la condanna di oltre 30 pezzi da novanta della Camorra. Fu così che la sera del 25 maggio 1915, nelle Caverne delle Fontanelle, nel popolare rione Sanità, l'organizzazione venne sciolta dai superstiti, presieduti da Gaetano Del Giudice. | ||
=== La rinascita nel Secondo Dopoguerra === | === La rinascita nel Secondo Dopoguerra === | ||
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*Barbagallo Francesco, ''Storia della Camorra'', Bari, Editori Laterza, 2010 | *Barbagallo Francesco, ''Storia della Camorra'', Bari, Editori Laterza, 2010 | ||
*Commissione Antimafia, ''Rapporto sulla Camorra'', Roma, l’Unità, 21 dicembre 1993 | *Commissione Antimafia, ''Rapporto sulla Camorra'', Roma, l’Unità, 21 dicembre 1993 | ||
*Dickie J., ''Onorate Società'', Roma-Bari, Editori Laterza, 2012 | |||
*Sales Isaia, ''La Camorra, Le Camorre'', Roma, Editori Riuniti, 1988 | *Sales Isaia, ''La Camorra, Le Camorre'', Roma, Editori Riuniti, 1988 | ||