Santa Buccafusca
Santa "Tita" Buccafusca (Nicotera, 7 febbraio 1974 – Reggio Calabria, 18 aprile 2011) è stata una giovane donna e madre calabrese, vittima innocente di 'ndrangheta.
Biografia
Figlia di pescatori “per bene”, Tita si innamorò a 15 anni di Pantaleone Mancuso, soprannominato "Luni Scarpuni", membro dell'omonima 'ndrina, tanto da aspettare che venisse scarcerato per sposarlo e mettere su famiglia.
Continuò ad amarlo nonostante fu proprio a causa sua che il padre pescatore venne arrestato, coinvolto in affari illeciti, e dopo qualche anno vennero uccisi sua madre e suo fratello. Divenne prestanome delle ditte gestite dal marito, tra cui “Buccafusca Santa” ed “Helios Sas”, di cui risultò la maggiore azionista, adempiendo in maniera lodevole ai doveri di moglie di un boss della 'ndrangheta.
La svolta
Nel 2010 divenne madre e pochi mesi dopo, nel febbraio 2011, l'episodio che cambiò la sua vita: l'omicidio di Vincenzo Barbieri', u Ragioniere, noto narcotrafficante in grado di trattare con i Sudamericani per conto delle 'ndrine del vibonese, nel centro di San Calogero con una raffica di colpi di mitra e fucili a pompa.
L'omicidio era inserito nel contesto di un regolamento di conti tra le 'ndrine e Tita teme per la sua famiglia: stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Martella, i soldi della cocaina a Nicotera Marina transitavano proprio nella pescheria a lei intestata. La paura la portò a voler cambiare vita: con suo figlio in braccio a poche ore dal delitto si presentò dai Carabinieri di Nicotera Marina, sollecitandone l’intervento: “Si ammazzano come i cani, mettete posti di blocco dappertutto”.
Prima di iniziare a parlare, Tita specificò: “Voglio preliminarmente specificare che nella famiglia di mio marito da tempo hanno insinuato che io sia pazza e sicuramente mi aspetto che sosterranno ciò quando apprenderanno la notizia della mia scelta di cambiare vita”. Tita assumeva infatti farmaci stabilizzatori dell’umore ed era stata ricoverata cinque giorni in Psichiatria per reazione paranoide acuta il 12 febbraio 2008.
Tita raccontò ai Carabinieri che quello era un periodo di forti dissidi all'interno delle 'ndrine di Vibo Valentia, mesi in cui finanche Romana Mancuso e il figlio furono vittime di un agguato. Nelle testimonianze rese durante le ore trascorse tra la Caserma dei Carabinieri di Nicotera Marina e il Comando Provinciale di Catanzaro, Tita affermò di avere paura del marito e di voler essere protetta dallo Stato, arrivando persino a telefonargli implorandolo di seguirla nella scelta di collaborare con la giustizia.
Assistita da psichiatri, la donna trascorse la notte in una struttura dell’Arma riservandosi per l’indomani di formalizzare il tutto e chiedere di essere sottoposta al programma di protezione. Tuttavia, alternava momenti di maggiore decisione a momenti di incertezza, accettando di sottoscrivere solo la prima pagina. Poi ebbe un repentino ripensamento, rifiutandosi di firmare il secondo foglio. Un ufficiale del Ros allora le ricordò che se non avesse firmato, avrebbe dovuto lasciare la caserma, con l'unico effetto di aumentare il suo stato d'ansia.
Tita chiamò così sua sorella Antonietta e al termine della conversazione decise: “Non firmo, non firmo proprio”. Alle cinque del mattino la sorella raggiunse la Caserma e riportò Tita e il figlio dal marito.
Il suicidio (?)
A un mese esatto, il 16 aprile 2011 il marito, Pantaleone Mancuso, avvisò i Carabinieri che la moglie si era tolta la vita ingerendo dell'acido. Morì due giorni dopo all'Ospedale di Reggio Calabria.
Indagini e Processi
Subito dopo venne aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio. Il caso, inizialmente archiviato, fu riaperto nel 2016 dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Dagli elementi anatomo-patologici emersi dall’autopsia la donna sembrerebbe avesse ingerito una quantità di acido muriatico superiore a quella umanamente sopportabile. Un dettaglio che lasciava ipotizzare una sorta di coercizione. Tuttavia, l'inchiesta venne archiviata nuovamente, in quanto non vennero riscontrati elementi tali da elevare accuse per istigazione al suicidio.
Le dichiarazione di Raffaele Moscato
Della morte di Tita Buccafusca parlò anche il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, ex componente della “società maggiore” di Piscopio (frazione alle porte di Vibo), che nel 2015 decise di collaborare ricostruendo omicidi e legami inconfessabili delle 'ndrine di Vibo Valentia.
Benché molte delle sue dichiarazioni siano ancora coperte da segreto, Moscato fece notare agli inquirenti l'affinità della morte tra quella di Tita e di Maria Concetta Cacciola. Entrambe avrebbero voluto collaborare con la giustizia per l’amore dei propri figli ed entrambe sono poi morte avvelenate, ingerendo acido muriatico.
Stando a quel che si diceva nella 'ndrangheta, Tita non si sarebbe suicidata ma venne ammazzata per impedirle di parlare. Moscato ha detto anche da chi ma le sue rivelazioni sono ancora coperte da segreto.
Bibliografia
- Corriere della Calabria, Morire di 'ndrangheta, il pentito parla del destino di Tita e Concetta, 26 aprile 2019
- MAFIE, Tita e le ragioni del cuore, repubblica.it, 18 marzo 2020
- Maria Teresa Improta, La moglie del boss vuole cambiare vita, rientra dalla caserma e muore suicida, quicosenza.it, 23 giugno 2018