Maria Concetta Cacciola
Maria Concetta Cacciola (Rosarno, 30 settembre 1980 – Rosarno, 20 agosto 2011) è stata una testimone di giustizia, vittima innocente di 'ndrangheta.
Biografia
Figlia di Michele Cacciola, e nipote del boss Gregorio Bellocco, capo famiglia di Rosarno, la sua era una potente famiglia di 'ndrangheta, tanto che il fratello Giuseppe seguì le orme familiari, come da regole dell'organizzazione.
Il matrimonio con Salvatore Figliuzzi
Maria Concetta iniziò a frequentare a 13 anni Salvatore Figliuzzi, che la sposò più tardi solamente per poter entrare a far parte della 'ndrina dei Bellocco. A seguito dell’arresto del marito, poi condannato in via definitiva nel processo Bosco Selvaggio, Maria Concetta fu costretta, insieme ai suoi tre figli, ad una vita priva di libertà, come imposto dalle regole della 'ndrina. Tuttavia, Maria Concetta iniziò una relazione sentimentale con un uomo conosciuto su internet. Appena la cosa divenne di dominio pubblico, venne selvaggiamente picchiata dal padre e dal fratello per aver disonorato la famiglia.
La decisione di diventare testimone di giustizia
L'11 maggio 2011 Maria Concetta fu convocata dai Carabinieri di Rosarno perché il figlio Alfonso era stato fermato a guidare senza patente. Lì confidò al Maresciallo di voler parlare della sua famiglia, ma di non poterlo fare in quel momento, per paura di essere ammazzata. Tornò in caserma il successivo 19 maggio e poi il 23 e il 25, venendo ascoltata direttamente dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Data la rilevanza delle sue dichiarazioni, gli inquirenti la inserirono nel programma di protezione e nella notte tra il 29 e il 30 maggio Maria Concetta, per amore dei suoi figli, che però fu costretta a lasciare alla madre, divenne testimone di giustizia, trasferita prima a Cassano allo Ionio, poi a Bolzano e infine a Genova.
Il ritorno in famiglia
La nostalgia per i figli portò Maria Concetta a chiamare la madre, Anna Rosalba Lazzaro, e a rivelarle dove si trovava, per paura di non rivederli più. Il 2 agosto a quel punto i genitori andarono a prenderla nel capoluogo ligure per riportarla in Calabria. Durante il viaggio il padre cercò di capire cosa avesse rivelato alla magistratura. Capendo di essere in pericolo, chiamò gli uomini del Servizio di Protezione affinché la andassero a prendere a casa di una cugina della madre da cui si erano fermati per la notte, a Cerredolo, in provincia di Reggio Emilia.
Maria Concetta fece ritorno a Genova, ma nei giorni successivi i genitori fecero pressioni su di lei per farla tornare a Rosarno, facendo leva sull'amore e la lontananza dei figli. In una telefonata del 6 agosto la giovane madre confidò alla sua cara amica Emanuela di vivere schiacciata tra la paura di essere uccisa al suo ritorno e il timore di non vedere più i suoi figli. La minaccia più ignobile che le veniva intimata dalla famiglia, infatti, era proprio questa: «Torna o non vedrai più i tuoi figli». Sempre nella telefonata all'amica, finita agli atti del Processo Onta, Maria Concetta diceva:
«Ti dico la verità a te come una sorella… io un poco mi spavento… io un poco mi spavento a ritornare, Emanuela, perché adesso… tu lo sai che questi fatti non te li perdonano, no? Me lo dicono tutti, renditi conto di quello che ti aspetta, perché ormai l’hai fatto, il passo l’hai fatto…ti dicono che ti perdonano però che so nel cuore… mi spavento a ritornare, le cose sono delicate, le cose sono assai… già l’onore non lo perdonano, questa cosa poi gli è caduta più del fuoco e della fiamma».
Così, nella notte tra l'8 e il 9 agosto, Maria Concetta tornò a Rosarno e il 12 agosto incontrò due avvocati del clan, Gregorio Cacciola, cugino del padre, e Vittorio Pisani. Furono loro che costrinsero Maria Concetta a firmare una ritrattazione e a registrare un'audiocassetta.
L'omicidio
Il 20 agosto 2011, dodici giorni dopo il suo ritorno a Rosarno, Maria Concetta venne trovata morta nel bagno di casa per aver ingerito acido muriatico. Tre giorni dopo i genitori si presentarono alla Procura di Palmi, presentando un esposto in cui accusavano le autorità di aver indotto al suicidio la figlia, costringendola a collaborare con l'inganno, producendo agli atti la lettera e l'audiocassetta nelle quali Maria Concetta ritrattava tutto quello che aveva dichiarato agli inquirenti, affermando di averlo detto solo per vendicarsi del padre e del fratello.
Indagini e Processi
Maria Concetta ebbe giustizia alla fine del processo Onta: le indagini hanno dimostrato che sia la lettera che l’audiocassetta erano state estorte. Per l’omicidio di Maria Concetta, sono stati arrestati il padre, Michele Cacciola e il fratello, Giuseppe Cacciola. Alla madre, Anna Rosalba, sono stati concessi gli arresti domiciliari.
Sulla storia di Maria Concetta Cacciola è stato ascoltato in Commissione Parlamentare Antimafia il Pubblico Ministero Giovanni Musarò che ha sostenuto l’accusa nel “Processo Onta”:
«Maria Concetta era attendibile. Quando l’abbiamo ascoltata era terrorizzata. Le sue dichiarazioni hanno portato anche ad operazioni di polizia giudiziaria importanti. Le intercettazioni, registrate poco prima che tornasse a Rosarno e al suo rientro a Rosarno, sono veramente terribili, materia per una tragedia greca. Questa ragazza torna infatti a Rosarno consapevole di quello che sarebbe successo e che nel momento in cui avesse ritrattato le dichiarazioni sarebbe finita quella che lei chiama “la garanzia sulla vita”. Era una ragazza che non aveva mai commesso reati e non era indagata. In una telefonata terrificante con una sua amica dice: “So che succede. Io torno, mi fanno ritrattare e poi mi ammazzano, ma io ho paura a tornare, però devo farlo per i miei figli”. E succede esattamente questo, con la chicca che simulano un suicidio. La trovano morta per aver ingerito acido muriatico, che purtroppo è anche un gesto evocativo, cioè una fine che viene riservata ai collaboratori di giustizia, a chi parla troppo»[1].
Al termine del rito abbreviato il padre di Maria Concetta, Michele, fu condannato a 6 anni e 6 mesi di reclusione, sua madre a 4 anni e 10 mesi e il fratello Giuseppe a 5 anni e 8 mesi. L'avvocato Pisani fu condannato invece a 4 anni e 6 mesi, decidendo poi di collaborare con la giustizia. L'unico a scegliere il rito ordinario fu l’avvocato Gregorio Cacciola, condannato nel novembre 2017 dalla Cassazione a 4 anni e 8 mesi per i reati di favoreggiamento, violenza e minaccia, aggravati dall’aver agevolato la 'ndrina dei Bellocco[2].