Mario Ceretto
Mario Luigi Giovanni Ceretto (Cuorgnè, 10 novembre 1929 – Orbassano, 23 maggio 1975) è stato un imprenditore italiano, vittima innocente di 'ndrangheta.
Biografia
La Resistenza e l'impegno politico
Partigiano a quindici anni non ancora compiuti nella formazione di Giustizia e Libertà, VI Divisione G.L., nel secondo Dopoguerra Mario Ceretto prese parte a molteplici riunioni degli industriali a Torino, incontrando, tra gli altri, Adriano Olivetti ed impegnandosi in iniziative per lo sviluppo economico del proprio territorio[1]. Comproprietario di due fornaci per laterizi, di un’industria che produceva materiali per l’arredamento e di un grosso negozio di articoli in plastica e gomma, era noto anzitutto per il suo impegno politico: dal 1952 aveva aderito al Partito Liberale Italiano e faceva parte del Comitato Antifascista, diventando anche membro nel 1975 del Comitato per le celebrazioni del Trentennale della Liberazione.
Proprio nel 1975 decise di candidarsi a sindaco con una lista indipendente, rifiutando la proposta di candidatura come consigliere in lista di Giovanni Iaria, potente imprenditore edile originario di Condofuri[2].
Il rapimento e la morte
La sera del 22 maggio, verso le 22:00, uscì di casa per incontrare alcuni compagni di partito, come raccontò alla moglie. Venne però rapito e trasportato in una cascina di Orbassano, paesino di duemila abitanti alle porte di Torino, dove era stata allestita una cella insonorizzata. Rifiutandosi di trattare coi rapitori e provando a liberarsi, venne poi ucciso barbaramente per aver colpito uno dei suoi carcerieri. Alla famiglia arrivò comunque una richiesta di riscatto, ma il corpo di Mario venne ritrovato il 27 maggio nei pressi della stessa cascina.
Indagini e processi
La matrice mafiosa del rapimento e dell'omicidio fu subito chiara. Il sindaco di Cuorgnè, Luigi Viano, ex-comandante partigiano della brigata "Bellandy" di Giustizia e Libertà, proclamò il lutto cittadino, mentre il sindacalista della Cgil Pietro Rolando ricordò subito il rifiuto di Ceretto del pacchetto di 500 voti offerto da Iaria a chi fosse stato disponibile a nominarlo assessore ai lavori pubblici[3]. Iaria, nel frattempo era stato eletto con il Partito Socialista Italiano in Consiglio Comunale e nominato proprio assessore ai lavori pubblici.
Durante il processo, la moglie accusò pubblicamente Iaria di essere il mandante del rapimento del marito, dichiarando che proprio il giorno dopo il rapimento si era offerto di rilevare la sua attività.
A processo insieme a Rocco Lo Presti, Iaria era tirato in ballo anche dal principale imputato, Giovanni Caggegi. Tuttavia, il processo in corso e la gravità delle accuse non bastavano per l'allora sindaco Bosone per rimuoverlo come assessore[4].
Il processo di 1° grado si concluse con la condanna degli esecutori, tra cui Caggegi, ma non di Iaria. Vedetto ribaltato nel 1980 dalla Corte d'Assise d'Appello, che condannò all'ergastolo Caggegi, ma anche i presunti mandanti. Due anni dopo, tuttavia, la Cassazione rinviò gli atti per irregolarità alla Corte d'Appello, che assolse i mandanti per insufficienza di prove.
Note
- ↑ Citato in Camera dei Deputati, Interrogazione parlamentare di Bignardi e Badini Confalonieri, Seduta del 7 ottobre 1975[1]
- ↑ C.M., Sorvegliato speciale ex Vicesegretario del Psi torinese in odore di mafia, la Repubblica, 3 marzo 1990[2].
- ↑ Citato su "Stampa Sera", 23 giugno 1975.
- ↑ Stampa Sera, Le Valli del Canavese in odore di mafia, 4 febbraio 1978.
Bibliografia
- Sergi Pantaleone (1991). La 'Santa'violenta. Storie di 'ndrangheta e di ferocia, di faide, di sequestri, di vittime innocenti, Cosenza, Edizioni Periferia.
- Paola Bellone (2017). Tutti i nemici del procuratore. L'omicidio di Bruno Caccia, Roma, Laterza.