Giovanni Lizzio
Giovanni Lizzio (Catania, 24 giugno 1947 – Catania, 27 luglio 1992) è stato un'ispettore della Polizia di Stato a capo della sezione anti-racket della Squadra mobile di Catania negli anni ’80 e ‘90, ucciso da Cosa Nostra per le sue indagini sul racket delle estorsioni.
Biografia
Nato a Catania, nello storico quartiere di Via Garibaldi, Giovanni cominciò la sua attività nel corpo della Polizia di Stato a Napoli, ottenendo successivamente il trasferimento a Catania. Qui iniziò il suo lavoro prima nella sezione omicidi, poi passò al nucleo anticrimine e, infine, diventò responsabile della sezione anti-racket[1].
Sposato e padre di due figlie, Lizzio divenne ben presto un simbolo per la città di Catania. Gran conoscitore delle dinamiche del potere mafioso, essendo cresciuto nel cuore della città etnea, si distinse per un abile uso delle rivelazioni dei collaboratori di giustizia in diverse indagini, creando un vero e proprio archivio delle famiglie mafiose catanesi, sia del passato che quelle emergenti, legate ai Corleonesi[2].
Il 18 luglio 1992, 9 giorni prima della sua morte, chiuse un'importante operazione che portò all'arresto di 14 membri del clan Cappello che consentì l’arresto di 14 membri del clan Cappello, gruppo legato alla Stidda che insieme alla famiglia di Nitto Santapaola era tra le più potenti in città.
L’omicidio
La sera del 27 luglio, verso le 21:30, Lizzio si trovava nella sua automobile, fermo al semaforo in Via Leucatia, nel quartiere Canalicchio di Catania. Aveva appena telefonato a sua figlia, per avvisare che da lì a poco sarebbe rientrato a casa, quando fu raggiunto da due sicari che gli spararono sei colpi di pistola. L’ispettore morì poco dopo l’arrivo in ospedale[3].
Indagini e processi
Il tentato depistaggio e le dichiarazioni di Natale Di Raimondo
Inizialmente si disse subito che non poteva essere un omicidio di mafia. Tanto che alle esequie non parteciparono nemmeno il ministro dell'Interno, Nicola Mancino, e il capo della polizia, Vincenzo Parisi.
Tuttavia nel 1998 il collaboratore di giustizia Natale Di Raimondo dichiarò: “erano i primi di luglio e mi recai al bar Ambassador dove incontrai Aldo Ercolano e Salvatore Santapaola. In quell'occasione mi diedero l’ordine di uccidere l'ispettore Lizzio. Non chiesi il perché ma dentro di me pensai che quell'omicidio era certamente voluto dai palermitani” (citato in Laura Distefano, L’omicidio di un poliziotto. Le indagini per inchiodare i killer, LiveSicilia, 28 luglio 2018).
La testimonianza di Di Raimondo inserì l'omicidio Lizzio come uno dei tasselli della sfida di Totò Riina allo Stato, con il benestare di Nitto Santapaola, che pur all'inizio si dimostrò titubante.
Il processo "Orsa Maggiore"
Dopo indagini lunghe e complesse, si arrivò al processo "Orsa Maggiore", alla fine del quale Nitto Santapaola fu condannato all'ergastolo come mandante dell'omicidio, mentre vennero assolti i boss Aldo Ercolano e Calogero Campanella[4].
Nel giugno 1998, venero condannati in qualità di esecutori materiali del delitto Natale Di Raimondo e Umberto Di Fazio a 12 anni di reclusione. Vennero condannati a 30 anni di reclusione, inoltre, Francesco Squillaci e Giovanni Rapisarda, poi assolto in Appello. Assolti Filippo Branciforti e Francesco Di Grazia.
In memoria di Giovanni Lizzio
A Catania, attorno alle mura che costeggiano il carcere di Piazza Lanza, è stato dedicato un murales all’ispettore Lizzio, insieme ad altre vittime della mafia, curato dall’associazione AddioPizzo. A Giovanni Lizzio è dedicata anche una targa all’interno della squadra mobile di Catania ed una nella caserma Cardile della Polizia di Stato, oltreché un parco. Secondo l'analisi di Attilio Bolzoni, la ragione per cui si parla ancora oggi poco della mafia catanese risiede nel suo modus operandi:
«Abbiamo sempre fatto fatica a parlare di Catania e della sua mafia. Prigionieri in qualche modo di una visione palermo-centrica di Cosa Nostra [...] Poi sono arrivati i Santapaola (e gli Ercolano) e anche loro ci sono sembrati da lontano appendici dei Palermitani e dei Trapanesi o degli Agrigentini, pericolosi e intraprendenti ma sempre catanesi [...] Molto più americana come indole, rispetto alla vasta parentela che ha vissuto e vive ancora dall’altra parte della Sicilia, la mafia di Catania ha sempre cercato di mischiarsi con la città e con i suoi governanti piuttosto che manifestarsi come un’entità diversa, minacciosa e aggressiva. Una scelta che, nel lungo periodo, si è rivelata vincente[5]».
Per lo stesso motivo, Catania non si identifica ancora oggi pienamente con la figura di Pippo Fava, percepito come un corpo estraneo per via delle sue denunce antesignane sul potere mafioso catanese.
Note
- ↑ citato in "Giovanni Lizzio", Polizia di Stato
- ↑ Manuela de Quarto, Giovanni Lizzio: c’era una volta un ispettore catanese contro la Mafia, CataniaItaliani.it, 8 novembre 2018
- ↑ Lucio Luca, Ucciso il Poliziotto Antiracket, la Repubblica, 28 luglio 1992[1]
- ↑ citato in Fernando Massimo Adonia, Menzogne e stragismo mafioso. Così uccisero l'ispettore Lizzio, LiveSicilia, 28 luglio 2018
- ↑ citato in Ibidem
Bibliografia
- Archivio LiveSicilia.it
- Archivio Polizia di Stato
- Archivio Italiani.it
- Sicurella Sandra (2017). Da quel giorno che mia madre ha smesso di cantare: Storie di mafia, Torino, Giappichelli Editore.