Cosa Nostra Americana

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cosa nostra americana

Con il termine Cosa Nostra americana (o Cosa nostra statunitense o mafia americana) si intende l’organizzazione di stampo mafioso fondata verso la Seconda metà dell'Ottocento da mafiosi siciliani emigrati negli Stati Uniti d'America. La sua esistenza fu rivelata nei dettagli per la prima volta al mondo intero dal killer italo-americano Joseph Micheal Valachi, che nel 1963 decise di collaborare con la giustizia statunitense.

Storia ed evoluzione

La prima volta in cui venne fatto un esplicito riferimento all'organizzazione risale all'ottobre 1888, in un rapporto dell'allora ispettore capo di New York City Thomas Byrnes, in riferimento all'omicidio di un siciliano per il quale erano fortemente sospettati due corregionali, proprietari del ristorante “La Trinacria[1].

Il linciaggio di New Orleans

linciaggio di New Orleans
Il linciaggio di New Orleans, in una rappresentazione dell'epoca

Due anni dopo, nel 1890, l'organizzazione balzò agli onori della cronaca dopo l’assassinio del comandante della polizia locale David Hennessy, avvenuto la notte del 15 ottobre. In città, quell'anno, su 274mila abitanti, ben 30mila erano immigrati italiani, definiti in maniera dispregiativa col termine dagoes[2]. In città le due famiglie mafiose che si contendevano il controllo del territorio erano i Provenzano e i Matranga. Secondo quanto documentò Giuseppe Prezzolini[3], Hennessy venne ucciso perché legato ai primi. Nonostante i tempestivi soccorsi, il comandante morì, non prima di aver confidato ai suoi soccorritori: "Dagoes did it", cioè "i dagoes lo hanno fatto".

Anche per questo, nei giorni successivi la polizia indagò quasi esclusivamente nella comunità italiana, arrestando 19 persone, di cui 11 accusate di aver avuto un ruolo nell'omicidio del comandante. Tuttavia, nel marzo 1891, otto degli undici imputati vennero assolti, scatenando la rabbia della comunità americana.

Istigati anche dall'allora sindaco Joseph Shakespeare, che definì gli italiani «gli individui più abietti, più pigri, più depravati, più violenti e più indegni che esistono al mondo, peggiori dei neri e più indesiderabili dei polacchi», il 14 marzo un gruppo di manifestanti, tra le 3mila e le 20mila persone (le fonti sono incerte) assaltò la prigione, linciando gli undici imputati. Secondo Prezzolini, dopo il linciaggio di New Orleans «il nome mafia è rimasto collegato con quello degli italiani acquistando anzi forza e diffusione con il tempo».

L'emigrazione negli Stati Uniti e la nascita della «Mano Nera»

D'altronde, ben prima del linciaggio, la presenza di esponenti mafiosi a New Orleans era già stata documentata. Nel 1879 un confidente della polizia americana aveva portato dalla capitale della Louisiana delle lettere di alcuni capi-mafia delle borgate palermitane, trovate tra le carte di un mafioso di alto rango ricercato dalle autorità, il quale operava nel commercio della frutta sotto falso nome. Sempre nella città americana si rifugiò, nel 1898, un guardiano di agrumeti del palermitano, Santo Vassallo, in fuga per aver rivelato alla polizia alcune informazioni. Nonostante la sua morte per febbre gialla, il questore palermitano dell’epoca sostenne invece fosse stato «avvelenato dalla mafia che in America, e particolarmente a New Orleans è largamente rappresentata»[4].

Lo sviluppo verso la fine dell'Ottocento dei mafiosi siciliani aveva a che fare anzitutto con l'importazione degli agrumi, soprattutto palermitani, dalla Sicilia. Molti mafiosi iniziarono a curare direttamente i propri affari commerciali negli USA, dapprima a New York, poi a New Orleans e a Philadelphia. A New Orleans si rifugiò anche un boss del calibro di Francesco Motisi, anch'egli esportatore di agrumi, per sfuggire a una condanna per associazione per delinquere[5].

Nel primo decennio del novecento gli Stati Uniti conobbero un ingente flusso migratorio proveniente da tutta Europa, e tra i tanti italiani la maggior parte erano meridionali. L'arrivo negli USA di molti mafiosi siciliani è da ricondurre all'attivismo dell'allora questore di Palermo Ermanno Sangiorgi, che a cavallo tra i due secoli rappresentò una risposta al primo delitto eccellente della storia italiana, quello di Emanuele Notarbartolo.

In quella che poi divenne Little Italy a Manhattan iniziarono ad approdare criminali provenienti dalla Calabria e dalla Campania, le cui imprese alimentarono non poco il clima di razzismo e xenofobia degli americani contro gli immigrati italiani.

Fu proprio in quel periodo che la parola “mafia” venne affiancata nel dibattito politico all’espressione “Black Hand” (Mano Nera), sigla che comparve a New York intorno al 1903 all’interno di lettere estorsive indirizzate a uomini d’affari italiani[6]. Pur trattandosi di un consorzio criminale, non era un'organizzazione mafiosa vera e propria, data la sua frammentazione in numerose e piccole bande, che condividevano tuttavia lo stesso metodo criminale. Tuttavia, per lungo tempo, le due espressioni vennero usate nel dibattito pubblico americano come equivalenti.

Giuseppe Morello e la prima gang siculo-americana

Giuseppe Morello
Giuseppe Morello, in una foto del 1902

Tra le prime manifestazioni del fenomeno mafioso a New York vi è certamente la gang guidata da Giuseppe Morello, balzata agli onori delle cronache giudiziarie per il c.d. "omicidio del barile", su cui si trovò a indagare il poliziotto Joe Petrosino. Morello, nato a Corleone il 2 maggio 1867, era noto con diversi soprannomi ("Piddu", "Fritteddu" e “Joe l’artiglio”, per via del fatto che avesse solo il mignolo alla mano destra a causa di una malformazione). Emigrò negli Stati Uniti probabilmente dopo il 1894, anno in cui subì una condanna per omicidio aggiuntasi a un’altra per spaccio di banconote false. A Manhattan aveva un negozio di barbiere e uno di scarpe e amava fregiarsi del titolo di “banchiere”, in quanto concedeva prestiti ai compaesani[7].

Anche suo cognato Ignazio Lupo, nato il 21 marzo 1877 a Palermo, si fregiava del titolo di "banchiere" e conduceva un tenore di vita altissimo. Da un ufficio in pieno centro a Manhattan, al numero 10 di Mott Street, gestiva l'importazione di olio d'oliva e di limoni, diventando ben presto uno dei maggiori importatori italo-americani. Fuggito a New York nel 1898 per evitare la condanna a 21 anni per un omicidio compiuto nel suo negozio di tessuti, aveva assunto il cognome della madre "Saitta" per depistare le autorità locali[8].

Vito Cascio Ferro
Vito Cascio Ferro

Un altro esponente ben conosciuto dalla polizia italiana era invece Vito Cascio Ferro, accusato di essere l'organizzatore del delitto Petrosino. Nato a Palermo il 21 giugno 1862, fin da giovanissimo si stabilì in un paesino della provincia, Bisacquino, per seguire il padre incaricato da un latifondista dell’esazione delle rendite. Inizialmente attivista politico radicale, una volta tornato da Tunisi dove era finito come rifugiato politico si dedicò esclusivamente ad attività criminali, dalle estorsioni agli incendi e ai sequestri di persona. Nel 1899 venne sottoposto a vigilanza speciale di polizia per aver stuprato una baronessa, così nel 1901 decise di emigrare negli USA. Dopo essere passato a New Orleans, tornò dopo qualche tempo a Bisacquino, stringendo relazioni in tutta l'area circostante, e intrecciando nuovi rapporti in campo politico a Palermo. Per sancire il proprio successo si iscrisse al Circolo dei Civili, tradizionalmente frequentato dai notabili del luogo, ma ciononostante non riuscì nell'impresa di guadagnare la stima dei propri concittadini[9].

Va infine citato come trait d’union con la mafia palermitana il già citato Francesco Motisi, stabilitosi sotto il falso nome di Francesco Genova a New Orleans, che intratteneva più di una relazione con Morello come dimostrò una lettera ritrovata dopo il delitto del barile[10].

Le relazioni tra tutti questi soggetti che andavano da New York a New Orleans, coinvolgendo altre città della East Cost, veniva spiegata dai servizi segreti con lo spaccio di monete false. Nella stessa area iniziò ad operare anche la Ignazio Florio Association of Corleone, una società per azioni che si sarebbe occupata della costruzione di “tenements” (caseggiati) per italo-americani, creata proprio da Lupo e Morello per ottenere la fiducia degli immigrati italiani, nello specifico dei siciliani. Tuttavia, nonostante il tentativo di salvarla dalla bancarotta con soldi frutto delle attività illecite, nel 1907 la società fallì e tutti i principali esponenti di quella che era stata la prima gang sicula-americana sparirono dalla circolazione. Anche Motisi liquidò le sue attività a New Orleans per trasferirsi a Liverpool e aprire in loco una nuova ditta di importazione di limoni e altri prodotti alimentari.

Dopo una scrupolosa attività di indagine, le autorità emisero un mandato di cattura per diciotto persone, tra cui anche Cascio Ferro, imputati a vario titolo di reati come l’estorsione, l’omicidio, il tentato omicidio, la subornazione di testimoni in occasione del processo Notarbartolo e lo spaccio di denaro falso in Sicilia e America[11].

Nel 1911, la sezione d’accusa della Corte d’Appello di Palermo decretò il non luogo a procedere nei confronti di tutti gli indiziati, mentre Morello e Lupo a New York furono condannati rispettivamente a trenta e venticinque anni di reclusione per falsificazione di banconote. Motisi ritornò quindi nella sua città natale da uomo libero e si inserì nuovamente nel “gotha mafioso”, fregiandosi del soprannome di “l’americano[12].

I precursori e il radicamento mafioso negli USA

Paul Kelly e i Five Points Gang

Paul Kelly
Paul Kelly

Un precursore assoluto di ciò che sarebbe diventata Cosa nostra americana fu sicuramente Paul Kelly, all'anagrafe Paolo Antonio Vaccarelli, il primo a concepire il crimine come business organizzato negli USA. Nato a New York il 23 dicembre 1876 in una famiglia originaria di Potenza, iniziò la sua carriera di pugile nei pesi gallo, divenendo abbastanza famoso. In seguito, adottò il nome che poi lo rese celebre nel mondo criminale. Dapprima coi soldi delle gare investì in bordelli nel quartiere Bowery di New York, poi aprì una catena di club sportivi, dove si riunivano giovani delinquenti che ben presto riunì verso la fine dell'Ottocento nella Five Points Gang.

Ben presto, l'influenza della gang la portò nell'orbita della Tammany Hall, un'associazione newyorkese del Partito Democratico americano nata per dare assistenza agli immigrati irlandesi e che ben presto poté contare anche sul sostegno degli italiani. Kelly e altri mafiosi, infatti, iniziarono a portare pacchetti di voto ai candidati sostenuti dall'associazione.

All'apice della carriera, Kelly aprì il "New Brighton Athletic Club": situato a Great Jones Street, il Club poteva contare su una caffetteria, una sala da ballo e ospitava anche incontri di pugilato, oltre ad essere il quartier generale della Five Points. Rispetto ai boss del suo periodo, Kelly si distingueva per la sua cultura elevata (parlava italiano, francese, spagnolo; apprezzava l'arte e la musica classica) e per la sua immagine elegante e raffinata che affascinarono l'élite newyorkese, la quale frequentava spesso il suo locale[13].

Johnny Torrio, dalla James Street Gang ai Chicago Outfit

Johnny Torrio
Johnny Torrio, nel 1939

Mentre Kelly espandeva i suoi traffici e conquistava le simpatie della classe dirigente della città, nei bassifondi del Lower East Side di Manhattan iniziò a farsi strada un altro nome destinato ad avere un peso rilevante nel radicamento della mafia negli USA: Donato Torrio, meglio conosciuto come John o Johnny Torrio. Nato a Montepeloso nel 1882, in provincia di Matera, emigrò con la madre a New York nel dicembre 1884. Da adolescente, Torrio iniziò a lavorare come portiere della drogheria del patrigno, che era un centro di ritrovo per lustrascarpe e alcolizzati; divenne in seguito buttafuori in un bar della malavita locale, imparando a destreggiarsi in quel mondo, tanto da fondare una sua banda di strada, la James Street Gang. Dopo aver aperto una sala da biliardo per il suo gruppo, cominciò sempre più a sviluppare attività illegali, dal gioco d'azzardo all'usura[14].

Il suo fiuto per gli affari attirò l'attenzione di Kelly e nel 1905 la James Street Gang venne trasformata nel ramo giovanile della Five Points, con Torrio che divenne il fedele discepolo di Kelly. Il boss italo-americano istruì il giovane boss a comportarsi e a vestirsi elegantemente, da rispettabile affarista. Per le sue doti diplomatiche e astuzia, Torrio ben presto si guadagnò il soprannome di "The Fox" (la Volpe).

Per conto di Kelly, Torrio iniziò a controllare gli affari legali e illegali della sua zona, allevando nella James Street giovani come Lucky Luciano e Al Capone, che si guadagnarono presto la sua completa fiducia. Capone in particolare entrò ben presto di diritto nella Five Points e nel 1917 Torrio gli diede il posto di barista e buttafuori all'Harvard Inn, un night club di Coney Island che serviva da copertura ad un bordello gestito da un socio in affari, Frankie Yale, cui nel 1909 aveva lasciato il controllo delle attività di New York dopo essersi trasferito a Chicago, per lavorare con lo zio, il gangster Giacomo “Big Jim” Colosimo.

Dopo aver fatto uccidere lo zio nel 1920, dopo il divorzio con la sorella della madre, Torrio si impossessò del suo impero criminale e fondò una sua gang, i Chicago Outfit, diventando uno dei principali boss statunitensi.

Ciro Terranova e la Morello Gang

Ciro Terranova
Ciro Terranova

Un altro boss destinato ad avere un peso nella storia criminale statunitense fu Ciro Terranova, nato il 20 luglio 1889 a Corleone e arrivato a New York nel 1893 con la famiglia per raggiungere il fratellastro Giuseppe Morello, di cui si è già parlato. Nonostante l'arresto e la condanna di Morello e Lupo nel 1911, la Morello Gang continuò le sue attività, aggiudicandosi una serie di attività legali e illegali dopo aver vinto la guerra contro una gang di napoletani avversari (passata alla storia come camorra newyorkese)[15], ma spostando il centro delle sue attività dal Lower East Side verso East Harlem e il Bronx.

La guerra costò la vita il 7 settembre 1916 al fratello di Ciro, Nicolò, noto anche con lo pseudonimo di Nicholas o Nick Morello, che aveva ereditato il comando dal fratellastro Giuseppe. Gli succedette poi Vincenzo, anche lui tuttavia vittima di un agguato a Manhattan l'8 maggio 1922. Ciro, più volte arrestato dal 1907 anche per gravi reati ma riuscendo sempre a cavarsela per insufficienze di prove, riuscì ad assurgere al rango di boss solo nel primo dopoguerra.

Nel “suo” quartiere, il Bronx, Ciro gestiva il traffico di alcool e cocaina e proteggeva i gestori del gioco d’azzardo. Si occupava altresì di aziende e commerci leciti, come le panetterie e i carciofi provenienti dalla California da cui derivò il suo soprannome “artichoke king” (Re dei carciofi). Al pari di Torrio, anche Terranova Intratteneva buoni rapporti la politica democratica, in particolare col magistrato Albert H. Vitale, politicamente appoggiato dalla già citata Tammany Hall[16].

Joe Masseria, "The Boss"

Joe Masseria
Joe Masseria

Infine, in quegli anni si affacciò sul panorama criminale Giuseppe Joe Masseria, destinato ad essere il successore di Vincenzo Terranova a capo di quella che sarebbe diventata anni dopo la Famiglia Genovese. Nato a Menfi, in provincia di Agrigento, il 17 gennaio 1886, Masseria sbarcò a New York nel 1903 per sottrarsi a un'accusa di omicidio. Subito entrò nella gang di Morello, dedicandosi a furti, rapine, fino a diventare il killer di fiducia del boss nella guerra che scoppiò per il controllo della città con la famiglia di Salvatore D'Aquila. Ucciso Terranova nel 1922, Masseria vinse la guerra e ottenne il comando della famiglia, guadagnandosi l'appellativo di The Boss a New York, reclutando Lucky Luciano come suo fido braccio destro.

L'ascesa negli anni del Proibizionismo

Al Capone
Al Capone

L'ascesa di Cosa Nostra americana negli anni '20 del Novecento coincise con un provvedimento governativo adottato il 17 gennaio 1920, il diciottesimo emendamento, che inaugurò la buia stagione del Proibizionismo: da quel giorno divenne illegale negli Stati Uniti d'America la fabbricazione, il trasporto o la vendita di alcolici. L'effetto di questa norma, che nelle intenzioni dei suoi promotori doveva far tornare la società americana ai valori dei padri fondatori, ebbe l'unica conseguenza di arricchire col mercato nero il frastagliato panorama della criminalità organizzata statunitense[17]. E, al suo interno, di Cosa Nostra americana.

Rimanendo infatti la domanda elevata, quello degli alcolici divenne un grande affare e la merce arrivò ai consumatori in barba alle nuove leggi, grazie ai carichi spediti dal Canada, dal Messico, oppure da navi inglesi collocate fuori delle acque territoriali o da una miriade di distillerie clandestine[18]. D'altronde, per usare le parole di Al Capone: «Tutto quello che faccio è rispondere alla domanda del pubblico»[19].

Proprio Al Capone divenne il simbolo di quegli anni, riuscendo a imporre il proprio dominio nel campo criminale, eliminando ogni forma di concorrenza nella città di Chicago, dove era stato chiamato da Torrio dopo l'omicidio di Colosimo. Quando nel 1925 rimase quasi ucciso in un agguato della North Side Gang, in risposta all'omicidio del suo capo, il gangster irlandese Charles Dean O'Banion, Torrio decise di ritirarsi e lasciare il comando a Capone. Anche grazie a lui alla fine la futura Cosa Nostra americana si impose una volta per tutte sugli altri gruppi criminali nel racket degli alcolici.

La guerra castellammarese e l'ascesa di Lucky Luciano

Lucky Luciano
Lucky Luciano

Dopo aver ereditato il comando da Morello, Joe Masseria era diventato una sorta di "Capo dei Capi" di Cosa Nostra americana, tanto da affiliare Al Capone nonostante si occupasse di sfruttamento della prostituzione. Il dominio incontrastato di Masseria venne meno con lo scoppio della cosiddetta guerra castellammarese, poi vinta dal rivale Salvatore Maranzano a causa del tradimento di Lucky Luciano che vendette The Boss per porre fine alla guerra che stava pesantemente danneggiando gli affari. Divenuto nuovo capo della Famiglia, Luciano fece uccidere anche Maranzano, che si era fatto nominare "Capo dei Capi", e gettò le basi per la fondazione della nuova Cosa Nostra americana.

Nacque infatti la Commissione, che avrebbe dovuto evitare guerre come quella appena conclusa, governando gli affari dell'organizzazione e ripartendo le aree di competenza tra i diversi Stati. Ne facevano parte le Cinque Famiglie di New York, la Chicago Outfit di Al Capone e la Famiglia di Buffalo di Stefano Magaddino, in rappresentanza delle altre Famiglie minori degli Stati Uniti. Inoltre Luciano autorizzò gli altri boss a collaborare con gangster non-siciliani e non-italiani per formare quello che sarebbe stato soprannominato "Sindacato nazionale del crimine" (national crime syndicate), che sarebbe servito per controllare il contrabbando di alcolici e stupefacenti, la prostituzione, il gioco d'azzardo, i sindacati del porto di New York e l'industria dell'abbigliamento.

A confermare questa versione fu lo stesso Luciano, in un'intervista:

«Ai tempi del proibizionismo non esisteva un sindacato nazionale, c’erano solo un sacco di bande che si ammazzavano tra loro e si facevano guerra una contro l’altra. Così dopo la prima grande guerra io organizzai il sindacato nazionale. Divisi i ragazzi in famiglie e diedi qualche regola. Poi creai la Commissione, il consiglio supremo, con i grandi boss e gli altri membri, per risolvere i contrasti tra le famiglie e mantenere l’ordine»[20].

In seno alla sua nuova Famiglia, Luciano affiliò quali suoi luogotenenti anche napoletani e calabresi, elevandoli in posizioni di comando: il napoletano Vito Genovese divenne vicecapo, mentre Frank Costello (al secolo Francesco Castiglia) fu nominato "consigliere", insieme a Meyer Lansky e Johnny Torrio, che però ricoprivano il ruolo in veste non ufficiale in quanto non affiliati a Cosa nostra americana.

Il ruolo di Cosa nostra americana nello sbarco alleato in Sicilia

Il primo a denunciare il ruolo che ebbe la mafia tra la Sicilia e New York fu il politico e saggista Michele Pantaleone, col suo libro "Mafia e Politica". Tuttavia per anni la sua ricostruzione è stata duramente contestata da alcuni storici[21], benché nel 1993 sia stata pienamente accolta dalla Commissione parlamentare antimafia nella sua relazione sui rapporti tra mafia e politica:

«Cosa nostra ricompare in Sicilia nel 1943 , alla vigilia dell’occupazione alleata. Gli Usa si avvalsero dei rapporti tra mafiosi italiani o italoamericani che erano nel loro territorio e mafiosi che erano in Sicilia per preparare il terreno dello sbarco: Il caso più noto fu quello di Lucky Luciano, che essendo detenuto, fu contattato dall’autorità degli Stati Uniti per saggiare la sua disponibilità a favorire lo sbarco alleato. Luciano si adoperò positivamente. Quindi fu espulso dagli Usa e iniziò il suo soggiorno a Napoli. Altri mafiosi detenuti negli Usa seguirono la sua sorte. Questa degli “espulsi” fu una questione posta più volte all’attenzione della prima Commissione antimafia, all’interno della quale si rilevò che l’elevato numero degli espulsi dagli Usa, immediatamente dopo la fine della guerra, non poteva che corrispondere ad una ricompensa per il contributo fornito nella preparazione e nell’esecuzione dello sbarco. Dalla documentazione prodotta a quella Commissione e acquisita da questa, risulta che complessivamente i mafiosi espulsi dagli Usa nel primissimo dopoguerra furono 65»[22].

I rapporti tra Cosa nostra americana e i servizi segreti vennero avviati nel 1942, dopo l'incendio della Normandie, una nave di linea di lusso che prese fuoco e si rovesciò mentre si trovava alla fonda nelle acque dello Hudson. All'epoca non era chiaro se si trattasse di un incidente o di un sabotaggio da parte di spie italiane e tedesche, ma per sicurezza i servizi segreti, guidati dal maggiore Radcliffe Haffenden, cercarono la collaborazione coi mafiosi italo-americani che controllavano i traffici del porto, prima incontrando Joseph Lanza, boss del mercato del pese di Fulton, e poi, su consiglio di quest'ultimo, con Lucky Luciano, il quale, benché in carcere per una condanna a 50 anni di reclusione per sfruttamento della prostituzione, continuava a controllare le attività illecite del porto[23].

Il boss si mise a disposizione, segnalando agli americani i mafiosi residenti in Sicilia che avrebbero certamente cooperato al momento dello sbarco alleato, che aveva preso il nome di operazione Husky. L’Office of Strategic Services (Oss) il servizio segreto statunitense, si preoccupò anche di selezionare militari di origine siculo-americana e di creare una rete di contatti con tutti coloro che, nella Trinacria, fossero ostili al regime, non ultimi gli influenti membri del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia.

Calogero Vizzini
Calogero "don Calò" Vizzini

Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 le truppe alleate sbarcarono sulle coste siciliane, gli inglesi nella parte orientale dell’isola, tra Pozzallo e Avola, gli americani nella parte occidentale, tra Gela e Licata. Nonostante la resistenza di italiani e tedeschi (ci furono battaglie a Gela, nella piana di Catania, ad Agira, a Troina), l'isola fu conquistata in soli 38 giorni: il 22 luglio gli alleati entrarono a Palermo, il 5 agosto a Catania, il 17 agosto a Messina. Nei sei mesi di governo dell'AMGOT, gli americani reclutarono tra le fila mafiose per reggere i comuni appena liberati: tra gli altri, don Calogero Vizzini divenne sindaco di Villabate, Giuseppe Genco Russo fu nominato sovrintendente all'assistenza pubblica di Mussomeli e Vincenzo Di Carlo (capo della cosca di Raffadali) divenne responsabile dell'ufficio locale per la requisizione dei cereali.

Le relazioni che si crearono in quei mesi ridiedero linfa vitale alla mafia siciliana, almeno in quella parte che più di tutte aveva subito la repressione del regime fascista (che tuttavia inglobò tra le sue fila gli esponenti dell'aristocrazia mafiosa, dopo la rimozione di Cesare Mori dalla Sicilia). In particolare, sfruttando la guerra, i vari boss mafiosi si dedicarono a un’attività lucrosa più rapida, redditizia e sicura, sotto la protezione più o meno inconsapevole delle autorità alleate: il mercato nero[24]. Il nuovo business era alimentato dagli esponenti mafiosi che si erano infiltrati nella nuova amministrazione alleata e riuscivano in questo modo a controllare il movimento delle merci e dei mezzi di trasporto.

Tra questi, vi fu anche Vito Genovese, il vicecapo di Luciano nonché vecchio amico di don Calogero Vizzini, il quale ricopriva una carica importante e delicata all’interno del comando alleato di Nola, in Campania: era l’interprete di fiducia del colonnello Charles Poletti, capo del comando militare alleato in Italia[25]. Il connubio tra Genovese e Vizzini nel traffico illecito di generi alimentari si basava su una procedura relativamente semplice: dalla stazione ferroviaria di Villalba partivano per il continente vagoni carichi di tonnellate di pasta, oltre che camion e treni colmi di farina, sale, olio, legumi e grano con destinazione Nola. La preziosa merce, provvista di regolari documenti di trasporto rilasciati dall’AMGOT, una volta giunta a destinazione, veniva presa in consegna da Genovese che la rivendeva al mercato nero[26]. Il business della borsa nera andò avanti dal 1943 al 1946 e praticamente tutti gli esponenti della mafia siciliana si dedicarono a questo lucroso commercio[27].

Il Comitato di inchiesta di Kefauver nel 1950

Carey Estes Kefauver
Carey Estes Kefauver

Il 3 maggio 1950 il Senato degli Stati Uniti d'America varò il Comitato Speciale di indagine sul crimine organizzato nel commercio interstatale (Special Committee on Organized Crime in Interstate Commerce[28]), di cui divenne Presidente il senatore democratico Carey Estes Kefauver, che ne aveva proposto l'istituzione il 5 gennaio precedente. Il Comitato tenne audizioni in 14 città, ascoltando oltre 600 persone, molte delle quali boss di alto profilo, inclusi Joe Adonis e Frank Costello. La popolarità del suo presidente e del comitato crebbero perché tutte le audizioni vennero trasmesse per la prima volta in diretta televisiva.

Alla conclusione dei suoi lavori, un anno dopo, il Comitato concluse che «la mafia ha il suo Gran Consiglio e i suoi capi nazionali e regionali nei vari paesi in cui opera, Stati Uniti compresi», ma «ha le sue origini e il suo quartier generale in Sicilia» e «ha in Italia un capo internazionale - che le autorità americane ritengono essere Charles (Lucky) Luciano»[29].

La mafia non esiste

John Edgar Hoover
John Edgar Hoover

Ciononostante, l'esistenza della mafia fu messa in discussione sia dalla influente sociologia americana[30], che riduceva il tutto a forme di razzismo nei confronti degli italiani, sia da esponenti di vertice delle istituzioni, come il direttore del Federal Bureau of Investigation (FBI) J. Edgar Hoover. Su quest'aspetto, il suo biografo Anthony Summers nel 1993 rivelò che per anni il potente direttore dell'agenzia era stato ricattato dal boss mafioso Meyer Lansky, che minacciava di rendere pubbliche alcune fotografie in cui era ritratto in pose compromettenti in compagnia del suo vice, Clyde Tolson[31].

L'unico ente governativo che all'epoca si occupò seriamente di contrastare le attività criminali di Cosa nostra americana fu il Federal Bureau of Narcotics, allora diretto da Harry J. Anslinger, il quale tuttavia poteva contare su mezzi inferiori e anche minore esposizione mediatica del potente direttore dell'FBI.

I summit del 1957 a Palermo e New York

Grand Hotel et des Palmes di Palermo
Il Grand Hotel et des Palmes di Palermo

Un passaggio fondamentale nella storia di Cosa nostra americana fu rappresentato dallo storico summit tenutosi a Palermo al Grand Hotel et des Palmes coi capi di Cosa Nostra siciliana, tra il 12 e il 16 ottobre 1957, durante il quale vennero ricuciti i rapporti tra le due organizzazioni e si discusse l'ingresso dei siciliani nel business del traffico di stupefacenti. Con la commissione Kefauver che aveva acceso i riflettori sugli affari dei boss italo-americani e la rivoluzione cubana in corso che avrebbe spazzato via la dittatura corrotta e brutale di Fulgencio Batista, Cosa Nostra Americana aveva infatti bisogno per continuare il traffico di stupefacenti di una rete fidata di uomini, di un socio a cui poter affidare una gestione divenuta troppo pericolosa, se condotta esclusivamente negli USA, e di una nuova base per lo smistamento: da questo punto di vista, i mafiosi siciliani, già impegnati nel contrabbando di sigarette per tutto il Mediterraneo, rappresentavano il partner ideale per ritirare l'eroina raffinata nel sud della Francia e poi spedirla negli USA.

Durante un banchetto offerto in onore di Joe Bananas da Spanò, all'epoca uno dei ristoranti di pesce più rinomati della città di Palermo, Tommaso Buscetta riferì poi che quasi per caso il boss americano confidò al futuro "boss dei due mondi" che nell'organizzazione della mafia siciliana vi era una lacuna, cioè un coordinamento tra le varie famiglie per impedire le uccisioni facili tra famiglie e all'interno della stessa famiglia, un organismo che centralizzasse le decisioni sugli affari e mantenesse la pace tra i vari capi di Cosa Nostra[32]. Fino a quel momento, infatti, ogni capomandamento aveva potere di vita e di morte illimitati sui propri affiliati. Fu così che nacque la Commissione provinciale, nota anche come Cupola, definita da Buscetta «uno strumento di moderazione e di pace interna» e «un buon sistema per ridurre la paura e i rischi che corrono tutti i mafiosi»[33].

Dopo quello di Palermo, vi fu un altro Summit svoltosi all'albergo Arlington di Binghamton (New York) dal 17 al 19 ottobre 1957, le cui conclusioni vennero discusse il 14 novembre 1957 nella villa di Joseph Barbara ad Apalachin (New York) dove si ritrovarono i reduci del vertice palermitano. Tuttavia, la polizia dello Stato di New York fece irruzione al summit, arrestando diversi boss e costringendo a quel punto l'FBI e il governo statunitense a riconoscere l'esistenza di Cosa nostra americana e delle sue attività, dal traffico di droga al controllo del voto alle elezioni.

Da quel momento, e fino al 1965, la sottocommissione di inchiesta guidata dal senatore John L. McClellan (Homeland Security Permanent Subcommittee on Investigations) iniziò ad occuparsi delle attività di Cosa Nostra americana. Nel giugno 1968 venne pubblicato invece dalla Central Research Section dell'FBI un primo rapporto sulla mafia americana, dove tuttavia veniva definita improbabile un’unica organizzazione intercontinentale con a capo Lucky Luciano, pur riconoscendogli un ruolo importante nel mantenimento delle relazioni bilaterali tra mafiosi americani e siciliani[34].

Il primo pentito, Joe Valachi

Joe Valachi

La definitiva conferma dell'esistenza di un'unica organizzazione mafiosa negli Stati Uniti si ebbe con la decisione nel 1963 del mafioso Joe Valachi di collaborare con la giustizia. Nonostante le feroci critiche che provenivano sempre dalla sociologia americana e da più commentatori, i quali definivano incoerenti le dichiarazioni di Valachi trasmesse in diretta televisiva, l'allora Attorney General (l'equivalente del Ministro della Giustizia) Robert F. Kennedy, fratello dell'allora Presidente USA John, e la sottocommissione di inchiesta del Senato presieduta dal senatore McClellan ne approfittarono per avviare un'azione di repressione inedita nei confronti di Cosa nostra americana.

A questa sorta di "tradimento" dei Kennedy, il cui padre era in stretti rapporti con la mafia italo-americana, molti storici e commentatori ricollegano l'omicidio prima del Presidente a Dallas il 22 novembre di quell'anno, poi di suo fratello Robert in corsa per la Casa Bianca il 6 giugno 1968 a Los Angeles. Ad avvalorare la tesi, oltre ad alcuni documenti recentemente dissecreati[35], anche l'impossibilità a distanza di decenni di ricostruire nei minimi dettagli i retroscena dei due omicidi politici eccellenti degli anni Sessanta.

L'adozione del Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act (RICO)

Commissione Cosa Nostra Americana
La Commissione Cosa Nostra Americana nel 1963, secondo le ricostruzioni dell'FBI dell'epoca

Si dovette tuttavia attendere il 1970 per l'adozione della bozza di legge preparata da McClellan, emanata il 15 ottobre dal presidente Richard Nixon col nome di Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act (RICO). La legge, inserita al Titolo IX del più generale Organized Crime Control Act, prevede il congelamento dei beni dei sospettati di reati legati al crimine organizzato, permettendo anche cause civili delle parti offese contro gli autori dei delitti.

Il processo Pizza Connection

Gaetano Badalamenti
Gaetano Badalamenti

La prima vera e grande inchiesta su Cosa nostra americana iniziò solamente alla fine degli anni '70, con l'indagine Pizza Connection. Dopo l'omicidio del boss italo-americano, reggente della Famiglia Bonanno, Carmine Galante, l'FBI iniziò a indagare sul ritrovamento di alcune valigie piene di eroina provenienti da Palermo all’aeroporto J.F.K di New York e prima ancora, circa la scoperta di due valige contenenti 500.000 dollari all’aeroporto di Palermo-Punta Raisi, avvenuta il 19 giugno 1979. Proprio da questo episodio, seguito dal capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano, poi ucciso il 21 luglio successivo, iniziò la collaborazione tra le autorità statunitensi e quelle palermitane, rappresentate da Giovanni Falcone e dal Pool antimafia. Le indagini della Pizza Connection finirono per intrecciarsi con quelle dell'istruttoria che avrebbe portato al Maxiprocesso di Palermo.

La complessità delle operazioni di indagine, che passò anche per l'arresto di Tommaso Buscetta, permise di accertare la rete del traffico di stupefacenti tra gli USA, l'Italia e il Sudamerica, gestita dalle due organizzazioni mafiose. Il processo, iniziato il 24 ottobre 1985, si concluse il 2 marzo 1987 con pesanti condanne, a partire da quella contro Gaetano Badalamenti.

Situazione attuale

Anche a seguito della repressione operata tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 del Novecento in Italia, Cosa Nostra siciliana e Cosa Nostra americana hanno perso gran parte del loro potere[36], benché risultino ancora fortemente attive nel crimine mondiale, come dimostrano recenti indagini, una su tutte la New Bridge del 2014[37], che documentò il suo rapporto con la 'ndrangheta, oggi la più potente organizzazione mafiosa al mondo.

Secondo osservatori interni all’FBI, Cosa nostra americana rimane ancora oggi l’organizzazione mafiosa più potente degli USA, continuando a prosperare nel sottosuolo delle sue storiche aree di influenza, come New York, Chicago e il New England[38]. A causa del RICO Act, oggi l'organizzazione si serve di bande di strada per il traffico di stupefacenti, adottando un sistema di rotazione delle cariche per impedire colpi mortali all'associazione in caso di arresti o indagini di polizia.

In ragione di questa nuova strategia di sopravvivenza, la Direzione Investigativa Antimafia, nelle sue ultime relazioni, ha intensificato i rapporti con le autorità statunitensi per colpire in maniera più efficace l'organizzazione e i suoi referenti siciliani.

La Struttura

Struttura Famiglia Cosa Nostra Americana. Schema di Pierpaolo Farina, sulla base delle informazioni dell'FBI.
Struttura Famiglia Cosa Nostra Americana. Schema di Pierpaolo Farina, sulla base delle informazioni dell'FBI.

La Famiglia di Cosa Nostra americana ha una struttura pressoché identica a quella siciliana. Ai vertici vi è sempre il Capo (o Don), vertice indiscusso della Famiglia, il quale sceglie un vice-capo, nonché da uno fino a un massimo di tre consiglieri, che si occupano della contabilità finanziaria dell'organizzazione e risolvono eventuali questioni tra i boss e i capi-decina. Questi ultimi comandano un gruppo di soldati (o uomini d'onore) che generalmente consta 10 membri.

I soldati svolgono tutte quelle attività illegali, dagli omicidi al traffico di droga, all'usura alle estorsioni, alla base dell'economia della Famiglia. Spesso, e questa è la differenza con Cosa Nostra siciliana, sono presenti in fondo alla gerarchia della Famiglia i c.d. Associati, criminali privi dei requisiti per essere affiliati ma che collaborano alle attività illegali e portano avanti affari, pagando una percentuale al Capo.

Codice, riti, simboli

Il Rito della Punciuta e il giuramento

Come in Cosa nostra siciliana, anche in quella americana l'ingresso nell'organizzazione passa da una cerimonia di iniziazione, in cui il futuro affiliato pronuncia il giuramento di eterna fedeltà all'organizzazione. A descrivere per primo nel dettaglio la cerimonia americana fu Joe Valachi, seguito 19 anni dopo da Tommaso Buscetta, che rivelò i particolari anche di quella siciliana. Il rito della punciuta è pressoché identico per entrambe le organizzazioni.

Il candidato non può fare domanda di affiliazione, viene dapprima "avvicinato" e poi scelto, sulla base dell'affidabilità provata in una serie di incarichi preliminari (nel caso di Buscetta fu un omicidio).

In linea di massima, la sequenza di affiliazione è la seguente: al nuovo affiliato, presentato ai membri della commissione che ne deve decretare l’ingresso in Cosa nostra, viene punto un dito con uno spillo, o anche una spina di arancio amaro a seconda delle diverse tradizioni. Dopo aver versato il sangue su un santino (spesso la Madonna dell'Annunziata, santa patrona di Cosa nostra) mentre brucia, l'affiliato deve pronunciare una formula proposta in varie versioni più o meno di questo tipo: «Possano bruciare le mie carni come questa santina se non terrò fede al giuramento». In questo modo viene sancito il legame di sangue e a vita con l'organizzazione[39].

Il Codice d'onore

Ogni "made man", nel momento in cui presta giuramento di fedeltà eterna alla Famiglia, deve rispettare un codice d'onore ben preciso, fondato su prescrizioni precise che vietano l'adulterio, comandano l'assoluta omertà e obbedienza agli ordini del Capo, fino addirittura all'obbligo di radersi e non farsi crescere la barba. La sua violazione è punita con la morte. Sebbene ufficialmente l'omosessualità non sia vietata dal Codice d'onore, l'omosessualità è punita con la morte (è il caso di John D'Amato, boss provvisorio della famiglia DeCavalcante, assassinato nel 1992 quando la Famiglia scoprì la sua bisessualità).

Le Famiglie di Cosa Nostra americana

Le Famiglie certamente più note dell'organizzazione sono le c.d. "Cinque Famiglie" attive a New York, cui se ne aggiungono altre 9 sparse nel resto degli Stati Uniti d'America.

  1. Famiglia Genovese (New York City)
  2. Famiglia Gambino (New York City)
  3. Famiglia Lucchese (New York City)
  4. Famiglia Bonanno (New York City)
  5. Famiglia Colombo (New York City)
  6. Chicago Outfit (Chicago)
  7. Detroit Partnership (Detroit)
  8. Famiglia di Filadelfia (Filadelfia)
  9. Famiglia Magaddino (Buffalo)
  10. Famiglia DeCavalcante (New Jersey)
  11. Famiglia Patriarca (Boston, New England)
  12. Famiglia di Cleveland (Ohio)
  13. Famiglia di Los Angeles (California)
  14. Famiglia Trafficante (Florida)

Note

  1. Salvatore Lupo (2008). Quando la mafia trovò l’America. Storia di un intreccio continentale (1888-2008), Torino, Einaudi, p. 11.
  2. Il termine Dago (pronuncia [dey-goh]), a volte italianizzato in Dègo o Dego, è uno degli epiteti spregiativi tra i più utilizzati negli Stati Uniti d'America e in Canada per indicare una persona di origini latina, soprattutto italiana, spagnola o portoghese. Il termine probabilmente ha origine dall'inglese dagger (coltello) sulla scia dello stereotipo dell'italiano come popolo facile all'utilizzo del coltello. Venne utilizzato anche da Giovanni Pascoli nel poemetto Italy. Per approfondire, si veda Patrizia Salvetti (2003). Corda e sapone: storie di linciaggi degli Italiani negli Stati Uniti, Donzelli Editore.
  3. Prezzolini, che dagli anni Trenta era professore alla Columbia University, nel 1958 iniziò una sua personale ricerca a New Orleans negli archivi di giornale dell'epoca, scrivendo poi il libro "La strage di New Orleans".
  4. Citato in Salvatore Lupo, Quando la mafia trovò l’America, p. 17.
  5. Ibidem.
  6. Il termine rimandava ad una società anarchica spagnola, appunto detta “Mano nera”. Al riguardo, si veda: Thomas Pitkin e Francesco Cordasco (1977). The Black Hand. A Chapter in Ethnic Crime, Littlefield, Adam & Co., Totowa (N.J.) Una sintesi della discussione, con particolare riferimento alle posizioni della stampa italo-americana, si può trovare in Robert Ezra Park e Herbert Adolphus Miller (1921). Old World Traits Transplanted, Harper & Brothers, New York, p. 241 e ss.
  7. Lupo, op.cit., p. 26.
  8. Ivi, p. 28.
  9. Ivi, p. 30.
  10. Ivi, p. 31.
  11. Ivi, p. 32.
  12. Ivi, p. 33.
  13. La storia di Kelly è ben riassunta nel libro The Gangs of New York: An Informal History of the Underworld, scritto da Herbert Asbury e pubblicato per la prima volta nel 1927 dalla casa editrice Garden City Publishing Company.
  14. Lupo, op.cit., p. 56.
  15. Si veda al riguardo Nelli, op.cit., pp. 129-131.
  16. Lupo, op.cit., pp. 58-59.
  17. Butts, Edward (2004). Outlaws of The Lakes – Bootlegging and Smuggling from Colonial Times To Prohibition, Toronto, Linx Images, p. 230.
  18. Lupo, op.cit., p. 49.
  19. Humbert Steven Nelli (1976). The Business of Crime: Italians and Syndicate Crime in the United States, Oxford University Press, p. 218
  20. Citato da Lupo, op.cit., p. 113.
  21. Tra tutti, Salvatore Lupo.
  22. Commissione Parlamentare Antimafia (1993). Relazione sui rapporti tra mafia e politica, Relatore: Luciano Violante, Roma, 6 aprile, p. 44 e ss. Disponibile sul sito della Camera dei Deputati.
  23. I contatti di Haffenden con Luciano sono confermati dai microfilm pubblicati per un breve periodo sul sito del Freedom information act (Foia) che riporta i resoconti delle indagini della stessa Fbi su Haffenden.
  24. Citato in Pantaleone, op.cit., pp. 58-59.
  25. Ibidem.
  26. Costanzo, Enzo (2006). Mafia & alleati. Servizi segreti americani e sbarco in Sicilia. Da Lucky Luciano ai sindaci «uomini d'onore», Catania, Le nove muse editore, p. 155.
  27. Pantaleone, op.cit., p. 62.
  28. Per approfondire, si veda la scheda presente sul sito del Senato degli Stati Uniti d'America.
  29. Estes Kefauver (1953). Il gangsterismo in America, Torino, Einaudi, 1953, p. 38 e p. 31.
  30. Sul tema si veda la ricostruzione storica fatta da Pierpaolo Farina in: Farina, Pierpaolo (2021). Le Affinità elettive: il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di Dottorato - XXXIII Ciclo, Università degli Studi di Milano.
  31. Archivio Adnkronos, USA: Hoover e l'FBI per anni nelle mani della mafia, 5 febbraio 1993[1].
  32. Lodato, p.312
  33. Dickie (2009), p.315
  34. Lupo, op.cit., p. 172.
  35. Adnkronos, Cia, mafia e Castro: ecco il dossier Jfk, 15 dicembre 2020.
  36. Arturo Zampaglione, Negli USA Cosa Nostra è vicina al tramonto, la Repubblica, 24 ottobre 1990.
  37. Roberto Galullo, La potenza mondiale della 'ndrangheta nel narcotraffico dopo l'operazione New Bridge, il sole 24 ore, 11 febbraio 2014[2].
  38. Si veda FBI, Mafia Org Chart[3].
  39. Si veda al riguardo il racconto di Buscetta in Enzo Biagi (1986). il Boss è solo, Milano, Mondadori.

Bibliografia

  • Biagi, Enzo (1986). il Boss è solo, Milano, Mondadori.
  • Butts, Edward (2004). Outlaws of The Lakes – Bootlegging and Smuggling from Colonial Times To Prohibition, Toronto, Linx Images.
  • Commissione Parlamentare Antimafia (1993). Relazione sui rapporti tra mafia e politica, Relatore: Luciano Violante, Roma, 6 aprile.
  • Costanzo, Enzo (2006). Mafia & alleati. Servizi segreti americani e sbarco in Sicilia. Da Lucky Luciano ai sindaci «uomini d'onore», Catania, Le nove muse editore.
  • Dickie, John (2005). Cosa Nostra - storia della mafia siciliana, Roma-Bari, Laterza.
  • Direzione Investigativa Antimafia (2021). Relazione I Semestre 2020, Roma.
  • Direzione Investigativa Antimafia (2022). Relazione I Semestre 2021, Roma.
  • Falcone, Giovanni (1991). Cose di Cosa Nostra, Milano, Rizzoli.
  • Humbert Steven Nelli (1976). The Business of Crime: Italians and Syndicate Crime in the United States, Oxford University Press.
  • Kefauver, Estes (1953). Il gangsterismo in America, Torino, Einaudi, 1953.
  • Lupo, Salvatore (2008). Quando la mafia trovò l’America. Storia di un intreccio continentale (1888-2008), Torino, Einaudi.
  • Salvetti, Patrizia (2003). Corda e sapone: storie di linciaggi degli Italiani negli Stati Uniti, Donzelli Editore.