Rosalia Pipitone: differenze tra le versioni

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  <center>''Non bisogna mai spaventarsi di parlare e confrontarsi''</center>
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[[File:Lia pipitone.jpg|300px|thumb|right|Lia Pipitone]]
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'''Rosalia Pipitone''', detta Lia (Palermo,  [[16 Agosto]]  [[1958]] – Palermo, [[23 Settembre]]  [[1983]]) è stata una donna, madre e artista palermitana uccisa con il consenso del padre [[Antonino Pipitone]], capomafia della [[famiglia dell'Acquasanta]] di Palermo, per aver intrattenuto una presunta relazione extraconiugale, violando in questo modo l'onore della sua famiglia, secondo le regole [[Cosa Nostra]].                                                                               
' ' 'Rosalia Pipitone' ' ', detta Lia (Palermo,  [[16 Agosto]]  [[1958]] – Palermo, [[23 Settembre]]  [[1983]]) è stata una donna, madre e artista palermitana uccisa con il consenso del padre [[Antonino Pipitone]], capomafia della [[Famiglia dell'Acquasanta|famiglia Acquasanta]] di Palermo, per aver intrattenuto una presunta relazione extraconiugale, violando in questo modo l'onore della sua famiglia, secondo le regole Cosa Nostra.                                                                               


== Biografia  ==
== Biografia  ==

Versione delle 19:16, 1 nov 2021

"Non bisogna mai spaventarsi di parlare e confrontarsi"
(Lia Pipitone)
Lia Pipitone

Rosalia Pipitone, detta Lia (Palermo, 16 Agosto 1958 – Palermo, 23 Settembre 1983) è stata una donna, madre e artista palermitana uccisa con il consenso del padre Antonino Pipitone, capomafia della famiglia dell'Acquasanta di Palermo, per aver intrattenuto una presunta relazione extraconiugale, violando in questo modo l'onore della sua famiglia, secondo le regole Cosa Nostra.

Biografia

Figlia di Antonino Pipitone e Rosa Cinà, Lia frequentò il liceo artistico Catalano, dove conobbe Gero Cordaro, che poi divenne suo marito. Le ore a scuole erano le uniche ore di libertà che Lia potesse respirare al di fuori dell'opprimente ambiente familiare, che le vietava persino di fare una passeggiata pomeridiana da sola, tanto da aver detto una volta che la sua vita era a scuola[1].

Impegnata attivamente all'interno dell'ambiente scolastico, amava il mare, la musica (la sua canzone preferita era Wish You Were Here>> dei Pink Floyd), leggere ed anche scrivere; in definitiva, Lia era un'artista. La sua gioia di vivere e l'entusiasmo contagioso si scontrarono con l'autoritarismo del padre, motivo per cui decise di fuggire di casa nell'estate del 1977.

Dopo un soggiorno di circa una settimana a Ragusa, tornò a Palermo dopo aver saputo che il padre aveva iniziato a cercarla e a fare domande ai suoi amici. Si trasferì quindi a San Giovanni Gemini, dove abitava il suo futuro marito e dove organizzò il matrimonio in chiesa, come avrebbe voluto il padre, che nonostante l'invito non partecipò. Tornata a Palermo da donna sposata, affrontò il padre che, nonostante l'offesa, decise di aiutarla, liberando una casa per la giovane coppia nel quartiere dell'Arenella e facendo impiegare il genero presso una società di servizi che operava per i cugini Salvo, grazie all'aiuto dell’amico Giuseppe Lauricella.

Lia Pipitone col figlio Alessio

Per circa 20 Lia continuò a vivere privata di quella libertà sempre desiderata e pronta a riconquistare. Iniziò per questo motivo ad uscire sempre più spesso, anche senza il marito e nonostante le brutte voci che giravano nel quartiere, sino ad arrivare a prendere la decisione di andare a vivere senza di lui. Quando lo comunicò al padre, questi le sputò in faccia. Era il 1983, Lia decise di tagliarsi i capelli e tingerli di scuro.

Antonino Pipitone

"Pipitone era un uomo d’onore vecchio stampo"[2], dichiarò in sede processuale il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, motivo per il quale, dopo la morte del boss Michele Cavataio nella Strage di viale Lazio, fu lasciato in vita nonostante ne fosse un fedelissimo.

Dopo la strage, la famiglia dell'Acquasanta venne sciolta, sostituita da una decina controllata da Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi, per poi tornare autonoma al fine di costituire il mandamento di San Lorenzo. Sotto la guida di Rosario Riccobono, Pipitone venne nominato consigliere della famiglia. All'interno di questo nuovo mandamento emerse la figura di Francesco Madonia, vicino a Totò Riina, che dopo aver fatto sorgere il mandamento di Resuttana, iniziò a controllare anche la famiglia dell'Acquasanta.

Tra l'Arenella e l'Acquasanta sorgeva il “fondo Pipitone”, luogo che veniva utilizzato per prendere le decisioni più importanti, e dal quale partirono gli assassini di Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Rocco Chinnici.

Una posizione di prestigio e di potere, quella occupata dal padre di Lia che insieme a Tommaso Cannella muoveva l'economia mafiosa e che non poteva certo essere infangata da una figlia desiderosa di vivere libera e senza condizionamenti. Ecco perché le voci di una relazione extraconiugale risultarono intollerabili per il padre, che portò subito la questione all'interno di Cosa Nostra per poterla risolvere. Fu in quella sede che si decise che era meglio "avere una figlia morta che separata".

L’omicidio e le prime indagini

Alle 18:30 circa del 23 settembre 1983 presso il negozio di prodotti sanitari e per l'infanzia Farmababy, Lia Pipitone, all'interno del locale per fare una telefonata, venne colpita da tre proiettili sparati da due malviventi che, dopo aver chiesto al titolare dell’esercizio tutti i soldi in cassa, prima di scappare la ferirono gravemente. Lia morì verso le 22:20 nell'Ospedale Civico di Palermo. Le dichiarazioni dei due testimoni, Giovanni Lo Monaco e Rosalia Sciortino, titolari dell'esercizio commerciale, lasciarono forti dubbi sull'autenticità della rapina, anomalie confermate anche dagli inquirenti in dibattimento nel 2003.

Nonostante i sospetti che la rapina fosse stata simulata, il ritrovamento del corpo di Simone Di Trapani, amico e lontano parente di Lia, il 24 settembre 1983, portarono le indagini a seguire un nuovo corso. La notizia della relazione di Lia con Simone, proveniente da una fonte della polizia, avallò l’ipotesi che la finta rapina fosse stata organizzata dal marito per vendicarsi del tradimento. I sospetti caddero a seguito degli esiti di intercettazione telefonica a suo carico.

La morte di Simone Di Trapani venne fatta passare come gesto disperato del ragazzo, incapace di accettare la morte di Lia, che decise allora di lanciarsi dal balcone di casa.

Processi

Nel 1984 le indagini che seguirono al fatto delittuoso non portarono a nessuna identificazione dei responsabili, venne così ordinato dal Giudice Istruttore con sentenza di non doversi a procedere. La riapertura delle indagini nel 2002 furono possibili grazie alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Francesco Onorato, Giovanni Brusca, Francesco Paolo Anzelmo, Calogero Ganci, Salvatore Cancemi, Antonino Giuffrè , Ciro Vara. A seguito delle dichiarazioni dei teste, Antonino Pipitone sarebbe risultato il mandante dell'uccisione della figlia attraverso l’organizzazione della finta rapina, per punirla in quanto colpevole di aver offeso, intrattenendo una relazione extraconiugale o quantomeno per le voci che ne seguirono, il suo onore.

Il beneplacito del padre alla condanna della figlia giustificherebbero anche la mancanza di intervento da parte dell'organizzazione mafiosa per la ricerca dei responsabili, procedura seguita di regola in casi simili. Tuttavia, Pipitone venne assolto, in quanto quelle raccolte furono dichiarazioni de relato, ossia provenienti da chi non effettivamente legati ai fatti, ma a conoscenza delle stesse tramite voci. Un dato importante emerse nella sentenza, ossia la differente tempistica intercorrente tra il rapporto con Di Trapani, fatto risalire a quando Lia era in attesa del suo primo figlio, e la morte avvenuta 4 anni dopo.

Le nuove indagini e la sentenza di condanna

Per la riapertura del caso, fondamentali furono la pubblicazione del libro “Se muoio, sopravvivimi” scritto dal figlio di Lia, Alessio Cordaro insieme al giornalista Salvo Palazzolo, che ripercorre tutte le fasi della sua vita e le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, rese solo nel 2016 al pm Francesco Del Bene. L'omicidio era stata una grande messinscena e Di Trapani era stato buttato giù dal balcone dagli stessi assassini di Lia, Vincenzo e Angelo Galatolo, dopo averlo costretto a scrivere una lettera che riportava la seguente frase: "Mi suicido per amore".

Il 17 luglio 2018 la sentenza del Gup Maria Cristina Sala condannò Nino Madonia in quanto mandante dell’omicidio e Vincenzo Galatolo esecutore materiale, alla pena di anni 30 di reclusione. Antonino Pipitone era nel frattempo morto nel 2010[3].

In memoria di Lia Pipitone

Spettacoli Teatrali

  • La stanza di Lia. Storia di una ragazza che voleva solo vivere' ', di Angelo Sicilia[4].
  • Nel nome di Lia, realizzata dagli alunni del Liceo delle Scienze Umane e Linguistico Danilo Dolci, di Palermo[5].

Musica

  • Come vorrei che fossi qui, di Fabio Guglielmino[6].

Premi

  • Premio Lia Pipitone, istituito in occasione del XXXIII anniversario della sua morte dall'associazione Millecolori onlus

Le Associazioni

  • Associazione ' 'Millecolori onlus' '
  • Centro Antiviolenza ' 'Lia Pipitone' ', gestito dall’Associazione ' 'Millecolori onlus' ' e sorto su un bene confiscato al boss Cesare Cannella.

Note

  1. Alessio Cordaro, Salvo Palazzolo, Se muoio, sopravvivimi, Milano, Melampo, 2012, p.51
  2. Alessio Cordaro, Salvo Palazzolo, op. cit. p.47
  3. Mafia, Lia Pipitone uccisa perchè disonorava la famiglia: 30 anni a due boss, la Stampa, 17 luglio 2018
  4. Mafia: Premio Lia Pipitone al marionettista Angelo Sicilia [1] ANSA, 13Settembre 2017
  5. Silvia Buffa, Premio Lia Pipitone. La cerimonia al Danilo Dolci [2], MeridioNews , 23 settembre 2016
  6. Silvia Buffa, Premio Lia Pipitone. La cerimonia al Danilo Dolci [3], MeridioNews , 23 settembre 2016

Bibliografia

  • Archivio Ansa
  • Archivio La Spia
  • Archivio MeridioNews Palermo
  • Cordaro Alessio, Salvo Palazzolo, Se muoio, sopravvivimi, Milano, Melampo, 2012
  • Procedimento penale n. 2412/02 R.G.N.R, Corte di Assise di Palermo, sezione Terza, 16 luglio 2004
  • Sito dell’Associazione Millecolori