Alto Commissariato per la lotta alla mafia: differenze tra le versioni
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Lo scontro più acceso con Falcone avvenne sull'intromissione di Sica nel rapporto che il giudice antimafia stava coltivando con Tano Badalamenti, nella speranza di convincerlo a collaborare. Benché l'impresa fosse ardua, il vecchio boss aveva dato qualche segnale, solo che a quel punto piombarono negli USA gli uomini di Sica, che portarono i giornali a concludere che "''Badalamenti si è pentito''". Tutto falso, ma la soffiata e l'indagine parallela mandarono Falcone su tutte le furie, perché | Lo scontro più acceso con Falcone avvenne sull'intromissione di Sica nel rapporto che il giudice antimafia stava coltivando con Tano Badalamenti, nella speranza di convincerlo a collaborare. Benché l'impresa fosse ardua, il vecchio boss aveva dato qualche segnale, solo che a quel punto piombarono negli USA gli uomini di Sica, che portarono i giornali a concludere che "''Badalamenti si è pentito''". Tutto falso, ma la soffiata e l'indagine parallela mandarono Falcone su tutte le furie, perché fecero sfumare un'occasione storica. | ||
Per questo attivismo, che andava ben oltre l'attività di coordinamento, Sica finì di fronte alla Commissione Parlamentare antimafia. Tuttavia, di fronte alle richieste da più parti di ridurgli i super-poteri che aveva ottenuto, l'Alto Commissario trovò uno scudo nell'allora Presidente del Consiglio [[Giulio Andreotti]]. | Per questo attivismo, che andava ben oltre l'attività di coordinamento, Sica finì di fronte alla Commissione Parlamentare antimafia. Tuttavia, di fronte alle richieste da più parti di ridurgli i super-poteri che aveva ottenuto, l'Alto Commissario trovò uno scudo nell'allora Presidente del Consiglio [[Giulio Andreotti]]. |
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L'Alto Commissariato per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, meglio conosciuto come Alto Commissariato per la lotta alla mafia, è stato un organo istituito all'indomani della Strage di Via Isidoro Carini, al fine di garantire un più efficace contrasto alla mafia, in particolare a Cosa nostra. Fu soppresso a seguito dell'istituzione della Direzione Investigativa Antimafia, il 31 dicembre 1992.
Storia
L'organismo venne istituito col decreto legge 6 settembre 1982, n. 629[1], recante Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, poi convertito nella legge 726 del 12 ottobre 1982[2].
Come già ricordava Giovanni Falcone[3], la figura dell'Alto commissario non era un istituto nuovo del diritto pubblico italiano, poiché varie volte, specialmente nell'immediato dopoguerra, il Governo italiano se ne era avvalso per fronteggiare particolari contingenze, conferendo a determinate personalità politiche delle ampie ed autonome competenze amministrative, in settori più o meno estesi.
Rispetto però agli altri Alti commissari nominati nel passato, quello per la lotta alla mafia veniva nominato con decreto del Ministro dell'Interno (e non del Presidente della Repubblica, come in passato avveniva), doveva essere necessariamente un Prefetto della Repubblica ed esercitava "poteri di coordinamento" nella lotta alla mafia anche sul piano nazionale, ai fini della prevenzione e della lotta al fenomeno mafioso, tra gli organi amministrativi e di polizia, secondo le modalità e con i limiti stabiliti dal Ministro dell'Interno nel proprio decreto.
Inoltre, l'Alto Commissario doveva riferire, di volta in volta, al Ministro dell'Interno sulle direttive che aveva intenzione di emanare agli organi amministrativi e di polizia, nonché sui risultati delle operazioni compiute e sulle esigenze di personale e di mezzi. A ciò si aggiungeva l'obbligo di trasmettere periodicamente al Ministro relazioni informative sull’attività svolta e valutazioni sull'andamento della criminalità mafiosa, formulando eventuali proposte in ordine all’organizzazione dei servizi.
Tra gli altri specifici poteri attribuiti all'Alto commissario, rientravano:
- il potere di accesso e di accertamento presso le pubbliche amministrazioni (ivi compresi gli enti pubblici anche economici), le banche e gli istituti di credito, pubblici e privati, con possibilità di avvalersi della polizia tributaria;
- il potere di richiedere ogni informazione ritenuta utile alle imprese, partecipanti o aggiudicatarie di appalti pubblici, e alle amministrazioni appaltanti;
- ogni altro potere attribuito all’autorità di pubblica sicurezza, compreso quello di intercettazione telefonica previsto dall’art. 226 sexies dell'allora codice di procedura penale.
Inoltre, l'Alto commissario era destinatario di tutte le comunicazioni del Sisde che riguardassero fatti comunque connessi ad attività mafiose, e poteva valersi delle strutture e dei mezzi del Servizio.
Alto Commissario | Mandato |
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Emanuele De Francesco | 6 settembre 1982 - 22 marzo 1985 |
Riccardo Boccia | 22 marzo 1985 - 30 dicembre 1986 |
Pietro Verga | 30 dicembre 1986 - 5 agosto 1988 |
Domenico Sica | 5 agosto 1988 - 2 agosto 1991 |
Angelo Finocchiaro | 2 agosto 1991 - 31 dicembre 1992 |
La nomina di Emanuele De Francesco
Il giorno successivo all'emanazione del decreto istitutivo dell'Alto Commissariato, il Governo Spadolini II nominò Emanuele De Francesco, direttore del SISDE, primo Alto Commissario e prefetto di Palermo. Al nuovo prefetto vennero concessi subito da Roma tutti i poteri che erano stati negati al Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, dall'accesso ai segreti bancari al potere di intercettazione telefonica, fino al coordinamento su tutto il territorio nazionale. Tanto che l'interessato si affrettò a dichiarare: «Io non mi sento abbandonato dallo Stato»[4].
Tra i suoi primi atti vi fu la conferma della fiducia «a tutti i dipendenti di ogni ordine e grado» di Villa Whitaker, la residenza privata del Prefetto, e il reintegro di tutti quegli impiegati della prefettura allontanati dal Generale. Infine, chiamò Bruno Contrada, che sarà poi arrestato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, a coordinare una «struttura» di intelligence.
L'Alto Commissariato da quel momento diventò un centro di potere investigativo che iniziò sì un'opera di contrasto senza fine, ma non verso la mafia, bensì verso due giudici palermitani: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino[5], impegnati nel Pool antimafia a istruire il Maxiprocesso di Palermo.
La gestione Boccia
Quando De Francesco venne sostituito, su sua stessa richiesta, il 22 marzo 1985, il Governo Craxi I nominò Riccardo Boccia, già prefetto di Napoli, dove si era fatto notare nella sua attività contro la Camorra. Tuttavia, la gestione da Roma del nuovo Alto Commissario destò più di una critica, anche per via dei pochi risultati conseguiti mentre a Palermo imperversava la Seconda Guerra di Mafia.
Dopo un anno e mezzo di gestione poco incisiva, Boccia si decise a lasciare l'Alto Commissariato per accettare la presidenza di una società della Italstat[6]. Nel messaggio inviato all'allora Ministro degli Interni Oscar Luigi Scalfaro, il prefetto sostenne l'impossibilità di risolvere i problemi delle regioni meridionali soltanto con l'impiego delle Forze dell'Ordine ma occorrono interventi integrati in tutti i settori. Ecco perché accettava l'incarico su altri fronti. L'8 aprile 1988 l'ex-Alto Commissario venne designato alla presidenza della Italispaca, una società per azioni a controllo pubblico che avrebbe gestito per conto del Governo gli appalti in Sicilia<ref>Citato in progetto di legge n. 171, XIII Legislatura</ref>.
La gestione Verga
Al posto di Boccia, il Governo Craxi II nominò il 30 dicembre 1986 il prefetto di Catania Pietro Verga, che si era distinto per un'importante opera "scomoda" per una certa parte della città che continuava a negare la presenza della mafia, nonostante l'omicidio di Pippo Fava[7]. Rispetto al suo predecessore, Virga dichiarò sin da subito che avrebbe fatto tutto il possibile per intensificare al massimo la propria presenza nelle realtà locali[8].
Tuttavia, nonostante la buona volontà di Verga, anche la sua gestione non brillò affatto. Inoltre, negli ultimi mesi del suo mandato, infuriò a Palermo la polemica sulla distruzione del Pool antimafia ad opera di Antonino Meli, iniziata da Paolo Borsellino. Anche per provare a ridare slancio all'organismo, il Governo De Mita affrettò la nomina del successore di Verga, il cui mandato scadeva il 31 agosto 1988.
La bocciatura di Giovanni Falcone e la nomina di Domenico Sica
La candidatura di Giovanni Falcone all'Alto Commissariato circolava da settimane negli ambienti governativi, fortemente sostenuta dall'allora Ministro Sergio Mattarella e da importanti settori della Democrazia Cristiana siciliana e del Partito Repubblicano Italiano[9]. Tuttavia, proprio la polemica innescata da Borsellino contro Meli determinò la sua bocciatura: affidare l'Incarico a Falcone, secondo la versione del governo, sarebbe apparsa un'aperta sconfessione degli orientamenti maturati proprio dal Csm in relazione alla polemica che lo aveva opposto al capo dell'Ufficio Istruzione.
Il 5 agosto 1988 fu nominato quindi il magistrato romano Domenico Sica, famoso per l'apertura di migliaia di inchieste, raramente portate a termine. Nell'ottobre 1988 il Parlamento approvò un disegno di legge che ampliava a dismisura i poteri dell'Alto Commissario, nella speranza di ridare slancio all'istituzione[10].
Ciononostante, Sica iniziò coi suoi uomini una sotterranea guerra contro il pool antimafia[11], e in particolare Giovanni Falcone. Non solo fu protagonista della vicenda del Corvo, prima accusando il giudice Di Pisa, sostenendo di essere certo che fosse l'autore delle missive anonime che lanciavano più di un'ombra sul lavoro del giudice antimafia grazie a un'impronta, poi disse che era stato Falcone a fargli il nome di Di Pisa per primo, circostanza smentita dall'interessato.
Lo scontro più acceso con Falcone avvenne sull'intromissione di Sica nel rapporto che il giudice antimafia stava coltivando con Tano Badalamenti, nella speranza di convincerlo a collaborare. Benché l'impresa fosse ardua, il vecchio boss aveva dato qualche segnale, solo che a quel punto piombarono negli USA gli uomini di Sica, che portarono i giornali a concludere che "Badalamenti si è pentito". Tutto falso, ma la soffiata e l'indagine parallela mandarono Falcone su tutte le furie, perché fecero sfumare un'occasione storica.
Per questo attivismo, che andava ben oltre l'attività di coordinamento, Sica finì di fronte alla Commissione Parlamentare antimafia. Tuttavia, di fronte alle richieste da più parti di ridurgli i super-poteri che aveva ottenuto, l'Alto Commissario trovò uno scudo nell'allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
La nomina di Angelo Finocchiaro
Il 2 agosto 1991 il Governo Andreotti VII nominò l'ultimo Alto commissario, l'ex prefetto di Firenze e Palermo Angelo Finocchiaro, dall'agosto 1992 nominato anche direttore del SISDE. Fu lui a gestire le ultime fasi di vita di un istituto oramai considerato più un ostacolo che una risorsa nella lotta alla mafia, tanto da convincere il Parlamento ad anticiparne la chiusura al 31 dicembre 1992[12].
Critiche
I risultati raggiunti dall'Alto Commissariato nei suoi dieci anni attività sono unanimemente considerati poco efficaci, se non addirittura di intralcio al lavoro di quei magistrati impegnati a portare alla sbarra Cosa Nostra. A tal proposito, Giovanni Falcone scrisse:
«i politici si sono preoccupati di votare leggi di emergenza e di creare istituzioni speciali, che sulla carta, avrebbero dovuto imprimere slancio alla lotta antimafia, ma che, in pratica, si sono risolte in una delega delle responsabilità proprie del governo a una struttura dotata di mezzi inadeguati e priva dei poteri di coordinare l’azione anticrimine. Il famoso Alto Commissario per la lotta contro la mafia, creato sull’onda emotiva suscitata dall’assassinio di Dalla Chiesa, ne è l’esempio lampante: da allora il ministro dell’Interno e il governo nel suo insieme hanno potuto scaricare sull’istituto la colpa delle inefficienze attribuendogli la responsabilità di ogni insuccesso»[13].
Note
- ↑ Il testo completo del decreto è disponibile su Normattiva
- ↑ Il testo completo del decreto è disponibile su Normattiva
- ↑ Si veda La posta in gioco, p. 77 e ss.
- ↑ Citato in Uomini Soli, p. 102
- ↑ Ibidem
- ↑ Attilio Bolzoni, Il prefetto Boccia si dimette dal vertice dell'antimafia, la Repubblica, 30 dicembre 1986[1]
- ↑ Al riguardo, si veda "Non sarà una comparsa", la Repubblica, 30 dicembre 1986[2]
- ↑ Dichiarazione resa in sede di audizione innanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia, nella seduta di giovedì 16 aprile 1987, p. 4[3]
- ↑ Citato in Federico Geremicca, Il giudice Sica sulla trincea antimafia, l'Unità, 5 agosto 1988
- ↑ Silvia Mazzocchi, Sica diventa superprefetto, la Repubblica, 6 ottobre 1988[4]
- ↑ Citato in Bolzoni, Uomini Soli, p. 139
- ↑ La Repubblica, Alto Commissariato Antimafia, un addio tra polemiche e sospetti, 2 gennaio 1993[5]
- ↑ Citato in Cose di cosa Nostra, p. 163
Bibliografia
- Bolzoni Attilio (2012). Uomini soli, Milano, Melampo editore.
- Falcone Giovanni (2021). La posta in gioco, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli.
- Falcone Giovanni (1991). Cose di Cosa Nostra, Milano, Rizzoli.