Commissione provinciale
La Commissione provinciale, chiamata anche Cupola, era l’organismo istituito per regolare e coordinare i mandamenti e le famiglie mafiose della città di Palermo e della provincia. Costituita da 18 capimandamento (i rappresentanti) in un primo momento, successivamente il numero fu ridotto a circa 13/14 e in alcuni momenti anche 8/10, soprattutto per spinta di Totò Riina. La Commissione provinciale ha sempre assunto in Cosa nostra un rilievo di gran lunga maggiore di quella regionale.
Nelle altre province della Sicilia, a causa del minor numero di uomini d’onore, non esisteva una vera e propria Commissione provinciale sul modello di quella palermitana. Ad esempio a Catania in un primo momento esisteva solo una famiglia mafiosa, dunque non c’era la necessità di una coordinazione pari al palermitano, dove operavano circa sessanta famiglie. Persisteva anche nelle altre province una suddivisione territoriale articolata in mandamenti, che tuttavia non trovava espressione in un organo di controllo come la Commissione.
Storia
L'istituzione
Strutture simili alla Commissione provinciale, oltre a quelle già citate del Rapporto Sangiorgi, erano emerse nel processo di Catanzaro per quanto riguardava la strutturazione delle famiglie di Palermo centro nei primi anni '50.
Dopo il famoso Summit Grand Hotel et des Palmes, Tommaso Buscetta, ottenuto l'assenso delle famiglie mafiose siciliane, si adoperò per l’organizzazione della Commissione.
Inizialmente la struttura era composta da soldati, e non dai capi delle maggiori famiglie, ma successivamente l’organismo divenne sempre più potente e fu occupato dai boss più importanti del palermitano. Insieme a Gaetano Badalamenti e Salvatore “Cicchiteddu” Greco, fu introdotto il sistema prima descritto, con le famiglie, i mandamenti e i relativi rappresentanti. Furono introdotte alcune regole che avrebbero dovuto garantire una sorta di "democraticità" all’interno di Cosa nostra, come, ad esempio, il principio secondo cui il rappresentante di un mandamento in Commissione non poteva essere nello stesso momento il capo della famiglia. Dopo un governo ad interim di Giuseppe Panzeca di Caccamo, il controllo della Commissione viene assunto da “Cicchiteddu” Greco.
La Commissione in questo primo momento va inquadrata come un’assicurazione di maggiore libertà e sicurezza per le famiglie siciliane. Non a caso, Buscetta la definì «uno strumento di moderazione e di pace interna» e «un buon sistema per ridurre la paura e i rischi che corrono tutti i mafiosi». In una fase successiva, a causa della crescente sete di potere dei boss, la Commissione degenerò e dopo la Seconda guerra di Mafia divenne semplicemente un organismo svuotato di potere succube di un governo dittatoriale.
Dopo i primi assestamenti, nel 1957 la composizione era la seguente:
- Salvatore “Cicchiteddu” Greco (capomandamento di Ciaculli), Segretario
- Calcedonio Di Pisa (capomandamento della Noce)
- Michele Cavataio (capomandamento dell'Acquasanta)
- Antonino Matranga (capomandamento di Resuttana)
- Mariano Troia (capomandamento di San Lorenzo)
- Salvatore La Barbera (capomandamento di Palermo Centro)
- Cesare Manzella (capomandamento di Cinisi)
- Antonio Salamone (capomandamento di San Giuseppe Jato)
- Giuseppe Panno (capomandamento di Casteldaccia)
- Francesco Sorci (capomandamento di Villagrazia)
- Salvatore Galioto (capomandamento di Bagheria)
- Mario Di Girolamo (capomandamento di corso Calatafimi)
- Salvatore Manno (capomandamento di Boccadifalco)
La Prima Guerra di Mafia
- Per approfondimenti, vedi Prima Guerra di Mafia
La Commissione, tuttavia, non riuscì ad attenuare i conflitti che portarono allo scoppio della Prima Guerra di Mafia, ma al contrario divenne sede di ulteriori scontri e giochi di potere sulla strada del narcotraffico.
Il crescente potere dei La Barbera aveva portato alla formazione di una corrente interna alla Commissione che si oppose loro. Le motivazioni dello scoppio della Guerra di Mafia sono probabilmente riconducibili proprio a questioni di potere e predominanza delle singole famiglie. Buscetta affermò invece che il conflitto sarebbe esploso a causa dell’omicidio di Calcedonio Di Pisa, ordinato da Michele Cavataio per far ricadere la responsabilità sui La Barbera e legittimare così la risposta violenta della fazione opposta che faceva riferimento ai Greco.
L’ultimo atto di questa guerra fu la strage di Ciaculli: il 30 giugno 1963 un’autobomba uccise sette esponenti delle forze dell’ordine intervenuti per disinnescarla. La risonanza che ebbe un tale evento portò ad una fortissima reazione delle forze dell’ordine: a fronte delle migliaia di arresti, i boss delle famiglie ormai disarticolate si riunirono nell’estate del 1963 e decisero di sciogliere la Commissione.
Intanto, lo Stato italiano organizzava la propria controffensiva e il 14 febbraio 1963 si insediò la prima Commissione parlamentare antimafia, che purtroppo ebbe vita breve a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Antonino Calderone descrive la situazione in cui era precipitata la mafia palermitana: «Cosa nostra non è più esistita nel palermitano dopo il 1963. Era KO. La mafia fu sul punto si sciogliersi e sembrò andare allo sbando»[1]
Dopo la conclusione del processo di Catanzaro del 1968, la Strage di Viale Lazio in cui fu ucciso il boss Michele Cavataio portò alla conclusione di un ciclo. Ma anche all’apertura di un altro, dato che alla strage parteciparono personaggi come Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella, che morì durante l'esecuzione della strage. I Corleonesi facevano ufficialmente il loro ingresso sulla scena della mafia palermitana.
Dopo i processi di Catanzaro e Bari (1969), i boss assolti o usciti con lievi condanne ripresero i loro posti in città, e la mafia iniziò a guarire dalla crisi in cui era precipitata.
Il Triumvirato della Ricostituzione
Poco dopo, nel giugno 1970, si tenne un incontro a Roma tra Buscetta, Bontate, Greco e Badalamenti per discutere della ricostituzione della Commissione. Tale ricostituzione risultò con una composizione differente da quella che aveva avuto in precedenza. I membri provvisoriamente furono Gaetano Badalamenti, capofamiglia di Cinisi, Stefano Bontate, il boss palermitano della nuova mafia "droga & appalti", e Luciano Leggio, capo della famiglia di Corleone: un triumvirato che riformasse Cosa nostra. Tutto ciò in aperta violazione del principio che impediva ai capifamiglia di avere un posto in Commissione. Ogni triumviro aveva un sostituto: Giovanni Teresi per Bontate, Antonino Badalamenti per il cugino Gaetano, Riina e Provenzano per Leggio. Stava prendendo forma la situazione che portò alla Seconda guerra di Mafia. Gaetano Badalamenti, alla fine del 1973 si nominò rappresentante della Commissione provinciale di Palermo, con Stefano Bontate come suo vice e Luciano Leggio consigliere provinciale. Una decisione del genere non poté che alimentare ulteriormente la distanza con i Corleonesi, che già meditavano il loro golpe.
La Commissione fu poi ricostituita con tutti i capimandamento nel 1974:
- Gaetano Badalamenti (capomandamento di Cinisi), capo Commissione
- Luciano Leggio (capomandamento di Corleone)
- Antonino Salamone (capomandamento di San Giuseppe Jato)
- Stefano Bontate (capomandamento di Santa Maria di Gesù)
- Rosario Di Maggio (capomandamento di Passo di Rigano)
- Salvatore Scaglione (capomandamento della Noce)
- Giuseppe Calò (capomandamento di Porta Nuova)
- Rosario Riccobono (capomandamento di Partanna-Mondello)
- Filippo Giacalone (capomandamento di San Lorenzo)
- Giuseppe Greco (capomandamento di Ciaculli)
Con l’arresto di Leggio il 15 maggio 1974, il suo posto fu preso da Totò Riina e Bernardo Provenzano, e nell’ottobre 1979 Salvatore Inzerillo sostituì lo zio Rosario “Sasà” Di Maggio, morto di infarto alla notizia dell’arresto di Rosario Spatola. Bernardo Brusca prese il posto di Salamone, che secondo l’interpretazione di Buscetta, era andato in Brasile per non “sporcarsi le mani” con i Corleonesi.
La Commissione fu ampliata con l’inserimento di:
- Francesco Madonia (capomandamento di Resuttana)
- Nenè Geraci (capomandamento di Partinico)
- Calogero Pizzuto (capomandamento di Vicari)
Già analizzando questa composizione si può notare l’emergere dei protagonisti delle vicende di mafia degli anni seguenti: da una parte Riina e Provenzano, i “peri incritati” corleonesi, diretti alla conquista di Cosa nostra; dall’altra parte Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, i palermitani grandi re del narcotraffico di eroina.
L'ascesa dei Corleonesi
Il 5 maggio 1971 i corleonesi uccisero il procuratore capo di Palermo Pietro Scaglione. Con questo omicidio si aprì la caccia a esponenti di primo piano delle istituzioni, che sarebbe finita soltanto nel 1992. Salvatore Inzerillo il 6 agosto 1980 fece uccidere il procuratore di Palermo Gaetano Costa che aveva firmato gli ordini di cattura dell’indagine che coinvolse il gruppo Spatola-Inzerillo-Gambino-Di Maggio. Questo omicidio fu compiuto non per una semplice questione punitiva, ma per dimostrare di fronte alla Commissione che anche i palermitani erano in grado di compiere delitti eccellenti al pari dei corleonesi.
Ma già da metà anni ’70 si accentuarono i conflitti all’interno di Cosa nostra per il controllo sia del narcotraffico sia dell’organizzazione. Con l’omicidio di Giuseppe Di Cristina, di Pippo Calderone e l’espulsione di Gaetano Badalamenti da Cosa nostra nel 1977, i Corleonesi posero le basi per la conquista del potere. L’ascesa di Michele Greco al posto di Badalamenti assicurò anche il controllo della Commissione. Dopo la fuga di Tommaso Buscetta nel gennaio 1981, i Corleonesi prepararono il terreno per scatenare l’attacco definitivo ai boss palermitani.
Bibliografia
- Moiraghi Francesco, Cosa Nostra, in Strutture: Cosa Nostra e ‘ndrangheta a confronto, WikiMafia - Libera Enciclopedia sulle Mafie, dicembre 2013
Note
- ↑ P. Arlacchi, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone, p.67