Strage di Gioia Tauro

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“Una terrificante sciagura sulla quale pesano gravi interrogativi”


Il 22 luglio del 1970 si ricorda la strage di Gioia Tauro, un deragliamento del treno Palermo-Torino che causa la morte di sei passeggeri e settantadue feriti; una tragedia ferroviaria, avvenuta sulla linea della costa tirrenica, a circa una sessantina di chilometri da Reggio Calabria.

Inizialmente, dalle prime indagini si pensa ad una tragedia causata da un errore umano; successivamente, sopraggiunge l’idea di un ipotetico guasto sulla linea ferroviaria ma, nel 1993, durante una maxi inchiesta sulla criminalità organizzata calabrese – Olimpia 1°-, si giunge, finalmente, a considerare l’evento per quello che realmente è stato, ovvero una strage, organizzata e di origine criminale; una strage progettata da esponenti della destra estremista con la collaborazione della criminalità organizzata locale.

La Calabria in questi anni è colpita da alcuni attentati che interessano anche la linea ferroviaria da parte dei moti rivoltosi a causa della scelta politica di promuovere Catanzaro come capoluogo di regione piuttosto che la città di Reggio Calabria. Sulla scia delle rivolte dei “Boia chi molla”, si scopre successivamente, che Avanguardia nazionale e Fronte nazionale organizzano una serie di blocchi, compreso quello che colpisce la freccia del Sud, il 22 luglio 1970 .


La strage

Sono le 17:08 del 22 luglio 1970 quando nei pressi della stazione di Gioia Tauro, a circa sessanta chilometri da Reggio Calabria, la freccia del Sud Palermo-Torino, detta anche treno del Sole perché collega il Sud al Nord Italia, deraglia causando la morte di sei persone. Il lungo convoglio ferroviario che viaggia alla velocità di 90 chilometri orari termina la sua corsa nei pressi del ponticello sul fiume Petrace, a pochi metri dalla stazione di Gioia Tauro: il macchinista, infatti, avverte un forte colpo sotto i carrelli e così decide di azionare la leva della frenata rapida. Il meccanismo si avvia per le prime cinque carrozze che iniziano a rallentare normalmente mentre la sesta carrozza deraglia, il carrello anteriore esce dai binari e così, una dopo l’altra, si trascina dietro otto di diciassette vagoni che la seguono. Infine, il convoglio si spezza e le carrozze sganciate si accasciano per terra su di un fianco. [1].

Il boato viene avvertito nei locali vicini alla stazione ferroviaria; subito molte persone si dirigono nei pressi della ferrovia per capire cosa sia potuto succedere; molti si prestano nei primi soccorsi; immediatamente vengono allertate le forze dell’ordine e sopraggiungono le ambulanze per trasportare i feriti nelle strutture ospedaliere più vicine di Palmi, Polistena e Reggio Calabria.

Sulla freccia del Sud, il 22 luglio del 1970, viaggiano circa 200 persone tra le quali anche un gruppo di pellegrini diretti a Lourdes. La scena che si presenta agli occhi dei soccorritori è tragica: alcuni vagoni sono schiacciati tra loro e le manovre di soccorso sono rese ancora più faticose dal forte caldo. Molte persone sono rimaste incastrate tra le lamiere mentre altri riescono ad uscire dal groviglio di ferro dai finestrini. Alla fine, si contano circa settanta feriti, dei quali molti in condizioni disperate e sicuramente sei persone morte.

Le vittime

Le vittime della strage di Gioia Tauro sono, complessivamente sei di cui cinque donne e un uomo, tutti siciliani, tranne uno [2]:

  1. Rita Cacicia, 35 anni, di Bagheria (PA), insegnante presso una struttura per sordomuti;
  2. Rosa Fassari, 68 anni, di Catania, casalinga;
  3. Andrea Gangemi , 40 anni, di Napoli, funzionario di Banca;
  4. Nicolina Mazzocchio , 70 anni, di Casteltermini (AG), casalinga;
  5. Letizia Concetta Palumbo, 48 anni, di Casteltermini (AG), sarta;
  6. Adriana Maria Vassallo, 49 anni, di Agrigento, insegnante.


Le indagini

Subito dopo la strage ferroviaria vengono avviate le indagini per cercare di dare una motivazione a quello che è accaduto durante il tragitto della freccia del Sud diretta a Torino.

Le prime ipotesi

In una fase preliminare, si pensa che a causare la tragedia sia stato un cedimento della struttura di un carrello del convoglio ferroviario: il questore di Reggio Calabria, infatti, individua l’origine del deragliamento nello sbullonamento del carrello n.2 della nona carrozza; ancora, a rafforzare questa ipotesi, i marescialli del commissariato di polizia del reparto FS escludono la possibilità di un eventuale attentato affermando con un rapporto del 28 agosto 1970 che nessuno dei passeggeri della freccia del Sud, quel giorno, confermarono di aver sentito qualsivoglia forma di boato [3].

Successivamente, in una seconda fase delle indagini, viene avanzata l’ipotesi di una possibile negligenza del personale ferroviario a bordo e alla guida del convoglio. Nel settembre del 1971, tra le pagine di un’ulteriore relazione sul caso di Gioia Tauro, si legge che “se non vi fu detonazione non poté esservi attentato dinamitardo”. Per questo motivo, ulteriori indagini, portano gli investigatori a puntare il dito contro il personale ferroviario, considerato colpevole per non aver rispettato i limiti di velocità stabiliti: nello stesso periodo, infatti, si stabilisce una riduzione della velocità a tutti i treni sulla tratta Palmi-Gioia Tauro per l’attuazione di alcuni lavori di manutenzione.

Il 7 luglio del 1971 una nuova relazione stabilisce che la strage di Gioia Tauro non può essere associata ad alcuno errore umano del personale ferroviario né tanto meno a nessuno mal funzionamento dei binari [4]; si definisce così la causa dolosa dell’evento. La presenza di un ordigno esplosivo sembra la spiegazione più plausibile [5].

Nonostante queste nuove considerazioni, il capostazione e i tre ferrovieri coinvolto nell'evento vengono chiamati a rispondere di disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Alla fine, il 30 maggio del 1974 le accuse vengono considerate nulle e le indagini vengono archiviate.

La verità sulla strage

Dopo anni di silenzio, bisogna aspettare il 16 luglio del 1993 per sentire parlare nuovamente della strage di Gioia Tauro. E’ in occasione della maxi inchiesta Olimpia 1° - sui rapporti tra la criminalità organizzata e politica in Calabria - che il pentito Giacomo Lauro, collaboratore di giustizia, confessa la matrice criminale del disastro ferroviario alla base del quale viene individuata una strategia della tensione, tutto per preparare il terreno favorevole ad un vero e proprio golpe, ad una svolta autoritaria.

Lauro inizialmente fa il nome di Vito Silverini detto “Ciccio il biondo” neofascista, come esecutore della strage: secondo le dichiarazioni, infatti, a confidare i retroscena del disastro ferroviario a Lauro è lo stesso Silverini, conosciuto in carcere –nella cella numero 10 del carcere di Reggio Calabria- nel 1979; ancora, si scopre che dietro il deragliamento della freccia del Sud c’è il Comitato d’azione per Reggio capoluogo e che a sistemare il materiale esplosivo sulle rotaie è lo stesso Silverini con l’aiuto di Vincenzo Caracciolo – quest’ultimo mette a disposizione la propria moto Ape per il trasporto dell’ordigno - che fanno esplodere ancor prima dell’arrivo del convoglio ferroviario [6].

Nel 1994 Lauro rende noto un’ulteriore particolare della strage di Gioia Tauro: confessa, infatti, di averne preso parte, procurando l’esplosivo a Vincenzo Caracciolo, Giovanni Moro e Silverini Vito, e ricevendo un pagamento in denaro per conto del Comitato d’azione per Reggio capoluogo. A convalidare le dichiarazioni di Lauro è la testimonianza fatta da un altro pentito, Dominici Carmine, nel novembre del 1993. A seguito delle nuove testimonianze e delle informazioni raccolte vengono considerati mandanti della strage di Gioia Tauro: Caracciolo Vincenzo, Moro Giovanni, Silverini Vito. Sono considerati finanziatori della strage gli imprenditori locali Mauro Demetrio e Matacena Amedeo.

Il processo

Nel febbraio del 2001 la sentenza di 1° grado della Corte d’assisi di Palmi riconosce:

Lauro Giacomo come fornitore dell’esplosivo servito per preparare la bomba; Silverini Vito e Caracciolo Vincenzo come esecutori della strage. I mandanti ed i finanziatori della strage di Gioia Tauro non vengono riconosciuti, infatti, anche se vengono proposti diversi nomi di imprenditori e personaggi politici di Reggio Calabria, alla fine, l’insufficienza di prove comporta la chiusura del caso con diverse incognite.

Nel gennaio del 2006, il processo si conclude con una sola condanna certa, ovvero, quella stabilita nei confronti del collaboratore di giustizia Lauro che viene accusato di “concorso anomalo in omicidio plurimo” anche se per finire il reato viene estinto per prescrizione.


La strage dei cinque ragazzi della “Baracca”

Aricò Gianni (22 anni), Casile Angelo (20 anni), Scordo Franco (18 anni) di Reggio Calabria insieme a Lo Celso Luigi (26 anni) di Cosenza e Annalise Borth (18 anni), tedesca e fidanzata di Scordo, vengono ricordati come i ragazzi della “Baracca”, rimasti uccisi in uno strano incidente stradale il 27 settembre del 1970.

I cinque ragazzi, tutti ventenni, si fanno largo tra le file dei movimenti anarchici degli anni ’70 e subito dopo la strage di Gioia Tauro sono tra quei pochi a non lasciarsi convincere dalla spiegazione divulgata alla fine delle indagini sul deragliamento, ovvero l’incidente casuale. Il gruppo di ragazzi decide di raccogliere maggiori informazioni sul caso e quindi portare avanti una sorta di controinformazione sulla tragedia ferroviaria, incontrandosi abitualmente presso “la Baracca”, una vecchia casa.

«Abbiamo scoperto cose che faranno tremare l’Italia» queste le parole di Arciò alla madre in riferimento all'inchiesta raccolta con gli amici; il 6 settembre 1970, le stesse informazioni giungono a Roma, presso la sede operativa degli anarchici.

Il 27 settembre i cinque ragazzi sono coinvolti in un incidente stradale con un autotreno. Aricò, Casile e Lo Celso muoiono sul colpo, Scordo dopo ventiquattro ore mentre la giovane Borth resta in coma profondo per venti giorni prima di morire [7].

Le indagini sul caso terminano molto velocemente e alla morte dei cinque ragazzi della “Baracca” non si darà mai una risposta. Allo stesso modo, del dossier raccolto non si avranno mai testimonianze in quanto una copia inviata per posta alla Fai di Roma non è mai giunta mentre la copia originale è sparita all’interno della Mini Morris con a bordo i giovani anarchici del Sud.

Qualche anno dopo, il 17 maggio 1973, viene pubblicato un volantino di denuncia sulla tragedia dei ragazzi della “Baracca” da parte del gruppo anarchico salernitano “Bielli”.

Il dubbio sulla morte dei giovani militanti non trova pace e anche se Dominici Carmine, testimone di giustizia, nel 1993, rivela al giudice istruttore di Milano la sua personale convinzione che la morte dei cinque ragazzi può considerarsi un vero e proprio omicidio e non un banale incidente automobilistico, come dichiarato dalle indagini [8]. Ciononostante, la mancanza di nomi certi sugli organizzatori della strage, la morte dei giovani anarchici del Sud viene archiviata.


Note

  1. Il Palermo-Torino deraglia. La Stampa, 23 luglio 1970
  2. Sconvolgente bilancio del disastro in Calabria. l’Unità, 24 luglio 1970
  3. www.vittimedimafia.it
  4. Un attentato fascista provocò il deragliamento a Gioia Tauro, l'Unità, 3 novembre 1972
  5. Come i periti hanno potuto stabilire che a Gioia Tauro ci fu un attentato. La Stampa, 10 novembre 1972
  6. Tolto il segreto sulla strage di Gioia Tauro. Il Quotidiano della Calabria, 23 aprile 2014
  7. Cinque anarchici morti e una strage. Scoprirono la verità, li uccisero. La Repubblica, 10 aprile 2001
  8. Quei 5 anarchici ancora senza giustizia. Corriere della Calabria, 26 settembre 2015


Fonti

'Ndrangheta eversiva, Badolati A.

Blu Notte (quarta stagione, ep. 4) – La strage di Gioia Tauro del 1970