Mafie a Latina

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La provincia di Latina, data la sua vicinanza alla provincia di Caserta, è caratterizzata da una forte presenza camorristica[1]. Diverse attività giudiziarie hanno documentato l’interesse dei sodalizi camorristici ad investire in questo territorio poiché ricco di importanti attività commerciali come stabilimenti balneari, servizi turistici e i grandi mercati ortofrutticoli di Fondi e Guidonia[2].

Mafie a Latina

Il trasferimento nel territorio pontino di soggetti appartenenti alle organizzazioni mafiose tradizionali ha contribuito alla nascita di sodalizi mafiosi autonomi[3].

I clan della provincia di Latina

Oltre ai clan di camorra, nella provincia di Latina hanno convissuto vari gruppi autoctoni come quello dei Ciarelli-Di Silvio, alcuni criminali stranieri di origine indiana nell'Agro Pontino e alcuni clan di 'ndrangheta come i Tripodo e i Gallace[4].

Il Procuratore generale Giovanni Salvi affermò nel 2019 nella sua relazione generale presso la Corte d'Appello di Roma che la provincia di Latina:

«continua ad essere teatro di una plurima presenza criminale costituita in primo luogo dalle attività criminali riferibili a gruppi criminali organizzati, soprattutto di matrice campana e calabrese, invogliati, per la vicinanza geografica e per la minore pressione investigativa rispetto ai territori di origine, ad estendere la loro operatività nel Basso Lazio, come accertato da vari procedimenti penali»[5].

Di Silvio-Ciarelli

Nella città di Latina operò un agguerrito clan di origine nomade composto dalle famiglie Di Silvio e Ciarelli, entrambe di etnia rom[6] e imparentate con i Casamonica[7]. Nel 2010 presero il sopravvento sugli altri gruppi criminali della zona[8], assumendo così il controllo del territorio[9]. Il capo indiscusso del clan fu Armando Di Silvio detto Lallà[10].

I Di Silvio gestirono il  traffico degli stupefacenti e varie attività di carattere estorsivo a danno di imprenditori, commercianti e liberi professionisti [11].

«Per la prima volta sono stati sottoposti ad estorsioni avvocati, che hanno ricevuto la visita dei componenti di questo gruppo anche all’interno degli studi legali.  Queste condotte hanno suscitato un grandissimo allarme all’interno della categoria degli avvocati del foro di Latina. Tanto è vero che questi avvocati si sono rivolti, durante le indagini, ai loro organi di rappresentanza che si sono pronunciati, anche pubblicamente»[12].

Grazie alla loro fama criminale, i Di Silvio riuscirono a penetrare in alcuni ambienti politico-amministrativi locali. Un esempio lampante fu la campagna elettorale del 2016 tenutasi nei comuni di Latina e Terracina dove avvennero episodi di compravendita del consenso elettorale[13]. Michele Prestipino raccontò dinanzi alla Commissione antimafia che:

«I rapporti con la politica locale non sono rapporti che servono al clan per guadagnare in termini economici: l’attacchinaggio non viene fatto per i soldi che il servizio rende. E’ chiaro che dietro ci sono delle utilità in più, al di là del pagamento, che avvantaggiano sia il clan, ma anche chi dal punto di vista politico si serve del clan per attaccare i propri manifesti. (…) L’attacchinaggio (...) quando viene fatto dai Di Silvio, significa che in modo visibile i Di Silvio appoggiano quel tipo di candidato e quella soluzione in quella competizione elettorale[14].

Nel 2018 con l’operazione “Alba Pontina” furono arrestati 25 componenti del clan Di Silvio[15]. Durante la conferenza stampa relativa agli arresti di questa operazione, il Procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Michele Prestipino, dichiarò che:

«Siamo in presenza di un salto di qualità criminale. C’è un gruppo autoctono che, da sempre da molti anni è insediato sul territorio di Latina che a seguito di una serie di vicende criminali, anche particolarmente cruente, a partire dal 2010 è diventato un sodalizio che ha esercitato, in maniera egemone, il controllo del territorio, attraverso una serie di condotte che costituiscono indici di una mafiosità. Questo ci consente per la prima volta sul territorio di contestare l’associazione mafiosa ad un gruppo autoctono sul territorio di Latina»[16].

Il 6 ottobre 2021 arrivò la storica sentenza: la Suprema Corte di Cassazione riconobbe la sussistenza dei requisiti di mafiosità per i membri del clan Di Silvio[17].

I Tripodo

Tra gli anni Settanta ed Ottanta del Novecento, i fratelli Carmelo e Antonino Tripodo, originari di Bovalino, si stabilirono a Fondi[18].

L'ex Questore De Matteis, in audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia raccontò che:

«Nell’area di Fondi imperversa da anni una serie di famiglie di provenienza calabrese. Si parla di ‘ndrangheta di serie A. Attenendomi a dati ufficiali (...) la suprema Corte di cassazione, relativamente al processo “Damasco” ha sancito processualmente l’esistenza nel comune di Fondi di una consorteria locale della ’ndrangheta riferibile alla famiglia Tripodo, da circa trent’anni stanziale in questo territorio»[19].

I fratelli Tripodo, sfruttando la loro fama, furono i primi ad utilizzare il metodo mafioso in questo territorio[20].

A partire dagli anni Novanta i Tripodo, grazie all'appoggio di fiancheggiatori esterni, assunsero il controllo di svariati settori economici, in particolare quello delle pompe funebri e del mercato ortofrutticolo. Si infiltrarono inoltre negli apparati comunali, favorendo politici nelle competizioni elettorali e stringendo patti con personaggi insospettabili[21].

Il 19 dicembre 2011 il Tribunale di Latina affermò che l'associazione presa in esame presenta  connotati di mafiosità in considerazione della sua stabile e perdurante operatività con metodi intimidatori sin dai primi anni '90 in un territorio come quello di Fondi, in passato estraneo, per collocazione geografica, a vicende di criminalità organizzata e per questo più fragile ed esposto ad interventi e forzature esterne[22].

La varietà dei reati, quali traffico di droga, armi, usura ed estorsioni, i legami di parentela fra soci, il ricorso al metodo intimidatorio negli affari e nelle trattative con terzi , la solidarietà dei soci in caso di aggressione esterne o per modificare esiti di processi, intestazioni fittizie di beni e società, furono sintomatiche dell'esistenza del carattere mafioso dell'associazione[23].

Il 4 settembre 2014 la Suprema Corte di Cassazione stabilì in via definitiva la qualificazione mafiosa dell'associazione facente capo ai fratelli Tripodo[24].

I Gallace-Novella

Nella zona di Anzio e Nettuno operò una «'ndrina distaccata riconducibile alla locale di Guardavalle, in provincia di Catanzaro, denominata "Gallace-Novella"» formata da diversi componenti del clan Gallace[25].

Questa 'ndrina ha controllato diversi settori di attività criminali quali il traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni ad imprese, rapine e truffe alle assicurazioni, creando così un clima di omertà ed intimidazione fra gli abitanti[26].

Il 21 ottobre 2013 il Tribunale di Velletri, all'esito del primo grado di giudizio, condannò per il reato di associazione mafiosa dieci imputati appartenenti al clan Gallace[27].

Gli Schiavone-Noviello

Nella zona di Latina, di Anzio e di Nettuno risultò attivo il clan Schiavone-Noviello, legato al clan dei Casalesi facente capo a Francesco Schiavone detto Sandokan[28].

La sentenza del Tribunale di Latina datata 16 novembre 2012, confermata in appello il 20 febbraio 2014 e dalla Corte di Cassazione il 29 ottobre 2014, delineò i contatti tra l'associazione operante nel litorale laziale e il sodalizio casalese[29]. Secondo i giudici di primo grado il sodalizio di stampo camorristico faceva capo a Pasquale Noviello e Maria Rosaria Schiavone[30]. Attraverso le estorsioni e una forte capacità intimidatoria, questo gruppo realizzò profitti economici illeciti cercando al contempo di farsi riconoscere come clan egemone nel territorio[31].

Formia e Sperlonga

Nella relazione conclusiva della Commissione Parlamentare D'Inchiesta sulle mafie del 7 febbraio 2018 si legge che «il sud pontino appare sempre di più come l’avamposto di una sorta di grande camera di compensazione dei sistemi criminali»[32]. Tra Formia e Sperlonga investì infatti il "re delle ecomafie", l’avvocato Cipriano Chianese ritenuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli la mente dei grandi traffici di rifiuti del cartello dei casalesi[33].

Formia fu definita anche la "Las Vegas del sud pontino", a causa delle numerose sale da giochi presenti in città. L'indagine “sistema Formia” della procura di Latina, ha visto all’esito dell’udienza preliminare il rinvio a giudizio nei confronti di 13 imputati, tra cui politici, amministratori e imprenditori, accusati a vario titolo di corruzione, concussione, abuso d’ufficio e falso[34].

Note

  1. Vittorio Martone (2017). "Le Mafie di mezzo - Mercati e reti criminali a Roma e nel Lazio", Roma, Donzelli editore, p.49
  2. Osservatorio Tecnico-Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, "IV Rapporto Mafie nel Lazio", 2019,pp.191-192
  3. Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino (2019). "Modelli criminali - Mafie di ieri e di oggi", Bari, Laterza editori, p.121
  4. Martone, op.cit., p.124
  5. "IV rapporto Mafie nel Lazio", op.cit., p.191
  6. "IV Rapporto Mafie nel Lazio",op.cit.,p.194
  7. Ivi,p.192
  8. Pignatone,Prestipino op.cit.,p.125
  9. "IV Rapporto Mafie nel Lazio", op.cit., p.194
  10. Carmine Mosca, Radio Radicale, https://www.radioradicale.it/scheda/544240/conferenza-stampa-per-illustrare-i-dettagli-delloperazione-alba-pontina-25-arresti-per
  11. Pignatone, Prestipino,op.cit.,p.125
  12. Michele Prestipino, Radio Radicale
  13. Pignatone,Prestipino,op.cit.,p.126
  14. Michele Prestipino, Audizione dinanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, 29 gennaio 2020[1]
  15. Citato in Redazione, "Operazione Alba Pontina, al via i primi interrogatori degli arrestati del clan Di Silvio", LatinaToday, 14 giugno 2018
  16. Citato in Michele Prestipino, Radio Radicale,12 giugno 2018[2]
  17. Direzione Investigativa Antimafia, "Relazione semestrale", Gennaio-Giugno 2021, p.261
  18. Pignatone, Prestipino,op.cit., p.121
  19. Commissione Parlamentare D'Inchiesta sul Fenomeno delle Mafie e sulle Altre Associazioni Criminali anche Straniere, XVII legislatura, "Resoconto Stenografico", n.155, 18 maggio 2016, pp.8-9
  20. Pignatone,Prestipino,op.cit.,p.121
  21. Ivi, pp.121-122-123
  22. Ivi, p.122
  23. Ivi, pp.122-123
  24. Ivi, p.122
  25. Ivi, p.123
  26. Ibidem
  27. Ibidem
  28. Ivi, p.124
  29. Ibidem
  30. Ibidem
  31. Ivi, p.124
  32. Commissione Parlamentare D'inchiesta sul Fenomeno Delle Mafie e sulle Altre Associazioni Criminali anche Straniere, "Relazione Conclusiva", Doc. XIII n.38, 7 febbraio 2018, p. 97
  33. Ibidem
  34. Ibidem

Bibliografia

  • Commissione Parlamentare D'Inchiesta sul Fenomeno delle Mafie e sulle Altre Associazioni Criminali anche Straniere (2016). "Resoconto stenografico", XVII legislatura, n.155, 18 maggio.
  • Commissione Parlamentare D'Inchiesta sul Fenomeno Delle Mafie e sulle Altre Associazioni Criminali Anche Straniere (2018). "Relazione conclusiva", XVII legislatura, Doc. XIII n.38, 7 febbraio.
  • Direzione Investigativa Antimafia (2021). "Relazione semestrale", Gennaio-Giugno.
  • Martone, Vittorio (2017). Le Mafie di Mezzo-Mercati e reti criminali a Roma e nel Lazio, Roma, Donzelli editore.
  • Osservatorio Tecnico-Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio (2019). "IV Rapporto Mafie nel Lazio".
  • Pignatone, Giuseppe, Prestipino, Michele (2019). Modelli criminali - Mafie di ieri e di oggi, Bari, Laterza editori.