Filippo Marchese
Filippo Marchese, detto Milinciana (Melanzana), mafioso di Corso dei mille, è tra i protagonisti più feroci e sanguinari della cosiddetta Seconda guerra di Mafia che provoca centinaia di morti tra il 1978 e il 1984.
Cocainomane, sadico, con una passione quasi erotica per la violenza, è celebre per la sua "camera della morte" in piazza Sant'Erasmo, dove tortura e uccide decine di persone, strangolate e sciolte nell'acido, oppure fatte a pezzi e buttate a mare.
Inoltre, è il principale responsabile dei numerosi omicidi del Triangolo della morte Bagheria-Casteldaccia-Altavilla, che insanguinano la provincia palermitana durante la permanenza del prefetto di Carlo Alberto Dalla Chiesa (dal 2 maggio al 3 settembre 1982).
Diventato capo di uno dei principali gruppi di fuoco dei Corleonesi, ma Totò Riina lo fa uccidere tra il 1983 e il 1984 dal killer Pino Greco U' Scarpuzzedda, perchè considerato troppo pericoloso e instabile. Il suo cadavere non sarà mai ritrovato.
Biografia
Carriera in Cosa nostra
Il triangolo della morte
Dopo i primi scontri tra la fazione di Totò Riina e quella di Stefano Bontade, Filippo Marchese passa con i corleonesi, diventando uno dei loro killer più fidati (insieme a Pino Greco detto U' Scarpuzzedda, di Ciaculli). Partecipa all'omicidio di Pio La Torre e dei boss Bontade e Inzerillo.
Il suggello dell'affiliazione ai corleonesi di Filippo Marchese è l'omicidio del cognato Pietro Marchese (fratello della moglie, che di cognome fa pure Marchese), che viene ammazzato in carcere nel luglio 1982.
Ma le cose non vanno come devono andare e – la sera del 3 agosto 1982 – viene ammazzato l'altro fratello della moglie, il trentottenne Gregorio Marchese, con una fucilata in faccia durante un banchetto con 11 invitati.
La sede dell'imboscata è la villa a mare di Filippo Marchese a Casteldaccia, che – all'oscuro dell'identità dei killer del cognato – comincia a colpire quasi a caso, lasciando una lunga scia di sangue nei giorni successivi.
Nella sua vendetta, Marchese è indirizzato da Salvatore Montalto di Villabate, un mafioso appena passato con i corleonesi che vuole diventare reggente della cosca del paese alle porte di Palermo (Montalto verrà arrestato il 7 novembre 1982).
È per fare un "regalo" a Salvatore Montalto, per esempio, che i corloenesi incaricano Filippo Marchese e il suo gruppo di killer – il 25 dicembre 1981 – di compiere la famigerata "Strage di Natale" di Bagheria. Una folle sparatoria e inseguimento per tutta Bagheria. Due automobili - una Bmw e una Fiat 127 – che inseguono una Golf
bianca con a bordo il boss di Villabate Giovanni Di Peri, insieme a Biagio e Antonino Pitarresi, padre e figlio. Di Peri e Biagio Pitarresi vengono ammazzati, Antonino Pitarresi viene rapito e sparirà nel nulla. Nella sparatoria, viene colpito pure Onofrio Valvola, un pensionato che si è affacciato per vedere cosa sta succedendo, e che muore in un lago di sangue.
Filippo Marchese, dunque, nell'agosto 1982, comincia a insanguinare i comuni della provincia. Si mette a caccia dei membri della banda Parisi di Altavilla Milicia, una banda di briganti – capeggiati da Antonino Parisi, latitante dai tempi dell'omicidio del carabiniere Orazio Costantino (1969) – che operano nelle campagne tra Pizzo Cane e Grotta Mazzamuto.
Giovedì 5 agosto i killer di Marchese ammazzano, ad Altavilla, il fratello del latitante, Giusto Parisi, 39 anni. Poi è la volta di Cosimo Manzella, 47 anni, consigliere comunale di Casteldaccia, dalla Dc da poco passato al Psi, e del suo portaborse Michelangelo Amato, 26 anni. I due vengono colpiti dai proiettili dei killer in piena mattinata, davanti al municipio di Bagheria.
Venerdì 7 e sabato 8 agosto Casteldaccia e Altavila contano sei morti: Pietro Martorana ad Altavilla Milicia, Santo Grassadonia e Michele Carollo a Casteldaccia, poi Francesco Pinello a Casteldaccia e infine, poco prima la mezzanotte il macabro ritrovamento a pochi metri dalla stazione di carabinieri a Casteldaccia. Una Fiat 127 rossa con dentro due cadaveri incaprettati. Sono Cesare Peppuccio Manzella, ex operaio Fiat, e Ignazio Pedone, meccanico. I due sono stati sequestrati e interrogati da Filippo Marchese, che poi li ha strangolati e resi protagonisti del macabro gesto plateale.
Il ritrovamento avviene dopo una chiamata alla stazione dei carabinieri. "Se vi volete divertire, andate a guardare nella macchina che è posteggiata proprio davanti alla vostra caserma".
Con Filippo Marchese, la mafia si mette a scimmiottare le brigate rosse, rivendicando gli omicidi al telefono. Un chiaro segno di sfida al Prefetto Dalla Chiesa, che si ripete martedì 9 agosto quando gli uomini di Marchese uccidono quasi in contemporanea - alle ore 8.20 e 8.25 – parenti del boss Giovanni Di Peri, ucciso nella strage di Natale di Bagheria. Salvatore Di Peri viene ammazzato a Palermo, in via dei Tornieri, presso il mercato della Vucciria. Pietro Di Peri viene ammazzato a Villabate, in via Alcide De Gasperi. Arriva una telefonata al quotidiano L'Ora: “Pronto, siamo l'equipe dei killer del triangolo della morte: con i fatti di stamattina l'operazione che chiamiamo "Carlo Alberto", in onore del prefetto, è quasi conclusa. Dico quasi conclusa”. Dalla Chiesa verrà ammazzato una ventina di giorni dopo: il 3 settembre. Il giorno dopo, alla redazione palermitana de La Sicilia, arriva la chiamata: "L'operazione Carlo Alberto si è conclusa".
Giovedì 11 agosto, nella mattinata, gli ultimi due omicidi degli uomini di Filippo Marchese, a Palermo. Nei vialetti del Policlinico viene ucciso Paolo Giaccone, medico legale che si rifiuta di falsificare la perizia sulla strage di Natale del 1981.
Dopo l'omicidio – intorno alle dieci di mattina - i killer Salvatore Rotolo, Angelo Baiamonte, i fratelli Vincenzo e Antonino Sinagra e il loro cugino Vincenzo Sinagra (detto U' Ndli) si incontrano in via Messina Marine e si recano in via 4 aprile, tra via Alloro e piazza Marina, per ammazzare Diego Di Fatta, colpevole di uno scippo ad un'anziana signora protetta dalla mafia di Corso dei Mille.
Dopo aver sparato a Di Fatta, la macchina con a bordo i 5 killer si infila in un vicolo cieco. Riesce a fuggire soltanto Salvatore Rotolo, mentre gli altri quattro vengono arrestati dai carabinieri che avevano assistito all'omicidio.
Uno dei killer, Vincenzo Sinagra U' Ndli, diventerà tempo dopo un importante collaboratore di giustizia, svelando numerosi particolari di questo periodo.
Dopo questi omicidi, di Filippo Marchese si perderanno le tracce. Secondo quanto raccontano i pentiti, Filippo Marchese verrà ammazzato e fatto sparire da Pino Greco Scarpuzzedda, per volontà di Totò Riina.
La famiglia di Corso dei Mille
Corso dei Mille è il quartiere che si estende da Piazza Scaffa a Brancaccio ad Acqua dei Corsari fino a lambire Ciaculli e Croceverde Giardini.
A fine anni '70, nella zona, viene rinvenuta una grossissima raffineria d'eroina, controllata direttamente dal boss Pietro Vernengo: 80 chili di polvere bianca, fornelli ancora accesi, ampolle e strumenti rudimentali per la lavorazione della droga.
Sempre in una traversa di Corso dei Mille, in Via Pecori Girardi, il capo della squadra mobile Boris Giuliano individuò il covo di Leoluca Bagarella, uno degli uomini di punta del clan dei corleonesi, alleati dei Marchese. Dentro il bunker c' erano quattro chili di eroina.
Per quella scoperta e per il ritrovamento all' aeroporto di Punta Raisi di una valigia con 500 mila dollari, Giuliano pagò un prezzo altissimo. Fu ucciso la mattina del 21 luglio del 1979 in un bar di Via Evangelista Di Blasi, mentre ordinava un caffè. Dell' omicidio fu accusato Pietro Marchese, in quel periodo uno degli "uomini d' onore" più sicuri del clan di Corso dei Mille, che viene fatto ammazzare da Filippo Marchese nel luglio 1982.
Il potere della famiglia mafiosa sul territorio era vastissimo, e le loro misure autoritarie e ferocissime.
Corso dei mille fu teatro di numerosi fatti di sangue, anche molto cruenti, anche per un controllo dello Stato molto lacunoso.
La "famiglia" di Corso dei Mille usava tantissimo lo strumento della corruzione delle forze dell'ordine. Filippo Marchese pagava regolarmente tre dirigenti della polizia palermitana, un commissario, un tenente e un colonnello che lavoravano alla Questura di via Roma.
La camera della morte
Sono i pentiti Vincenzo Sinagra e Stefano Calzetta che ricostruiscoo, durante gli interrogatori per il Maxiprocesso, decine di omicidi compiuti da Filippo Marchese e dai suoi fianchieggiatori. Nuove rivelazioni arriveranno dal 1992 dopo il pentimento di suo nipote Giuseppe "Pino" Marchese.
A piazza Sant'Erasmo, Filippo Marchese installa la sua personale "camera della morte".
Il 13 luglio 1982 viene sequestrato il commerciante Antonio Militello, parente di Totuccio Contorno. Racconta Sinagra che ad attenderlo c'erano gli uomini più spietati del clan di corso dei Mille, con lo stesso Filippo Marchese. Prima di essere ucciso, Militello fu torturato, seviziato e alla fine il suo cadavere sotterrato per sempre in uno dei tanti cimiteri di mafia esistenti a Palermo.
Il 16 maggio 1982 il giovane muratore Rodolfo Buscemi e il cognato Matteo Rizzuto vengono portati nella camera della morte dagli uomini di Filippo Marchese, che li interroga su alcuni questioni legate al pizzo dei commercianti di Villabate. Buscemi ha chiesto il pizzo senza nessuna autorizzazione. Nella stanza c'è pure il boss di Ciaculli Pino Greco Scarpuzzedda, che – insieme a Filippo Marchese – ha sotto protezione il territorio di Villabate.
Buscemi all'inizio mente, dicendo che non sapeva che fossero zone protette, ma poi confessa e fa il nome del complice Antonino Migliore. Rodolfo Buscemi viene quindi strangolato poi anche il cognato fa la stessa fine. Poiché l'acido è finito, i due corpi vengono inseriti nel bagagliaio di una Fiat Ritmo rubata, da questo caricati poi su una barca ed infine gettati in fondo al mare, in un punto profondo oltre settanta metri (il cimitero marino della "famiglia" di Corso dei Mille. e forse non l'unico della baia di Palermo), legati a due commune (vecchie vaschette di pietra recuperate in una discarica pubblica).
Antonino Migliore, 26enne, che risiede vicino a piazza Scaffa, viene sequestrato mentre sta aspettando nella sua Fiat davanti al passaggio a livello del Brancaccio, dopo di cui viene condotto in una villetta protetta da un giardino, non lontano da via Giafar, a cinque minuti dal passaggio a livello del Brancaccio. Qui, dopo l'interrogatorio davanti a Filippo Marchese, fa la stessa fine del suo compare: strangolato e gettato in mare.
Un altro caso è quello di Carmelo Lo Iacomo. L'uomo viene sequestrato dagli uomini di Marchese in piazza Torrelunga, che lo infilano in una Mini Minor, si allontanano a grande velocità, si scontrano con un altra Mini Minor parcheggiata e scappano via. Ma il proprietario dell'automobile vede tutto, si mette in moto e comincia a inseguire i pirati della strada. È un carabiniere in pensione, Antonio Peri. Giunta all'altezza di largo Grandi, la Mini Minor dei killer si ferma e uno di questi esce dall'abitacolo della vettura, si avvicina. alla macchina che li inseguiva e spara tre colpi contro Di Peri. Viene ammazzato pure Carmelo Lo Jacomo, il cui corpo viene portato nella camera della morte e qui sciolto con l'acido. Il cadavere dell'ex carabiniere viene invece lasciato sul posto.