Mafie a Lecce

«Lecce non è più la piccola città tranquilla, amica dei poeti, la Firenze del barocco, dove non succede mai niente. Ora succede di tutto: la Sacra Corona Unita ha preso possesso dei gangli nervosi di questa provincia un tempo mite[…]. Che senso ha la poesia in tutto questo?» [1]

La provincia di Lecce è un territorio interessato dal fenomeno mafioso a partire dagli anni ’70, a causa della presenza di alcune figure legate al clan dei Corleonesi di Cosa Nostra, stabilitesi lì dopo essere state colpite dalla misura del soggiorno obbligato, e per via della presenza di esponenti della camorra nelle carceri locali[2].

mafie a lecce

La provincia è finita per essere prevalentemente dominata dalla Sacra Corona Unita a partire dagli anni ‘80 fino ad oggi. L'organizzazione, ritenuta estinta per diverso tempo, continua invece a manifestare un’allarmante capacità di controllare il territorio attraverso la capillare suddivisione delle aree su cui esercitare le attività illecite e la sempre più frequente infiltrazione all'interno della pubblica amministrazione [3].

Storia e attività

Il territorio della provincia di Lecce, originariamente conosciuto come Isla felix, fu soggetto a un processo di mafiosizzazione principalmente per due ragioni:

  1. negli anni '70, potenti boss di Cosa Nostra, tra i quali i Buscemi, Pietro Vernengo e Francesco Lamanna della famiglia di Tanino, furono inviati in soggiorno obbligato nel leccese[4];
  2. tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 la faida tra la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia si estese anche all'interno delle carceri campane, portando l'organizzazione penitenziaria a separare esponenti delle due fazioni, alcuni dei quali furono confinati nelle carceri pugliesi[5].

Questi eventi facilitarono l'infiltrazione delle tradizionali organizzazioni mafiose nel territorio leccese, provocando una ristrutturazione della criminalità locale nel tentativo di distaccarsi dall'influenza camorristica. In risposta al tentativo di Cutolo di espandersi e creare la Nuova Camorra Pugliese, che avrebbe dovuto includere figure della criminalità regionale, la criminalità locale rappresentata da Giuseppe Rogoli creò il 1º febbraio 1983 la Sacra Corona Unita[6].

La presenza della Sacra Corona Unita

Secondo il progetto originario di Rogoli, la Sacra Corona Unita avrebbe dovuto unire tutte le componenti della criminalità regionale, ma di fatto aderirono soltanto il sud Barese, la provincia di Brindisi e solamente in parte la provincia di Lecce, mentre i clan foggiani e tarantini vollero restare leali alla camorra cutoliana[7].

Successivamente, sull’intero territorio pugliese si presentarono una serie di scissioni, riunificazioni e costituzioni di nuove organizzazioni di stampo mafioso, tutte frutto della fragile unità interna e dell’influenza delle altre organizzazioni (non pugliesi) che avevano adottato in Puglia il principio del divide et impera[8].

La Famiglia Salentina Libera

Tra le celle del carcere dell’isola di Pianosa, nella provincia di Livorno, nel febbraio del 1983 il leccese Salvatore Rizzo battezzò la “Famiglia Salentina Libera”, con lo scopo di rendere autonoma la criminalità del Salento: la nuova formazione rivendicava l'indipendenza dei criminali salentini da qualsiasi organizzazione criminale esterna, senza dunque alcuna ingerenza cutoliana o rogoliana.

Tre anni dopo, nel 1986, da essa nacque anche la “Nuova Famiglia Salentina”, voluta dal cognato di Salvatore Rizzo e il pregiudicato Pantaleo De Matteis, detto "Pantaluccio"[9]. La Famiglia Salentina Libera poteva contare su un numero rilevante di seguaci, nonché su un proprio codice criminale, il cosiddetto “codice Salentino”, redatto in articoli che prescrivevano le regole dell’associazione criminale e prevedevano sanzioni per chi le trasgrediva[10].

Tuttavia, questo tentativo di indipendenza ebbe breve durata: di fronte alla superiorità della Sacra Corona Unita, gli indipendentisti furono costretti ad essere riaccorpati ad essa[11].

La Remo Lecce Libera

Nonostante i precedenti e vani tentativi di rivendicare l’autonomia della provincia di Lecce da parte della Famiglia Salentina Libera, il gruppo leccese si rifondò nel 1986 sotto la guida di Romolo Morello (futuro collaboratore di giustizia, poi assassinato) con una nuova organizzazione denominata “Remo Lecce Libera”, in onore del pregiudicato Remo Morello (fratello di Romolo), ucciso dalla Camorra poiché si batté contro le mafie esterne per l’indipendenza del territorio leccese[12].

La Remo Lecce Libera richiedeva infatti l'indipendenza dei criminali leccesi da qualsiasi organizzazione criminale che non fosse la 'ndrangheta, ma venne stroncata sul nascere dalla Sacra Corona Unita, che minacciò pesantemente di uccidere i suoi affiliati[13].

La Rosa dei Venti

Negli anni successivi, i criminali locali continuarono a opporsi alla volontà della Sacra Corona Unita di ottenere il monopolio del territorio e insistettero per ottenere la loro totale indipendenza criminale. Nel 1990, nel carcere di Lecce, Giovanni De Tommasi, Vincenzo Stranieri e Cosimo Cirfeta (futuro collaboratore di giustizia) fondarono una nuova associazione mafiosa chiamata la “Rosa dei Venti”. I fondatori di questa nuova associazione chiesero il permesso alla ‘ndrangheta di separarsi dalla Sacra Corona Unita a causa di conflitti con Basile. La nuova organizzazione divenne attiva a Campi Salentina, Manduria, Salice Salentino, Surbo, Veglie, Copertino e Taranto, e ai vari affiliati furono assegnate precise zone di competenza nella provincia. Ad esempio, De Tommasi fu responsabile dell’area nord-ovest di Lecce [14].

Cosimo Cirfeta divenne collaboratore di giustizia e grazie all'intenso lavoro della magistratura e delle forze di polizia, numerosi arresti furono effettuati e l’organizzazione venne presto smantellata[15].

I maxiprocessi di Lecce alla Sacra Corona Unita

Il 24 ottobre 1986 rappresenta una data cruciale che segnò una sconfitta per la magistratura e una vittoria per la Sacra Corona Unita, in quanto il tribunale di Bari escluse la qualificazione mafiosa dell'associazione, non considerandola strutturata come richiesto dall’articolo 416-bis del codice penale. Il processo si concluse con l'assoluzione della maggior parte degli imputati, a causa della mancanza di prove concrete sulla reale operatività delle nuove consorterie.

Ciò rafforzò il legame associativo all'interno della Sacra Corona Unita: vennero introdotti nuovi rituali e aumentarono le affiliazioni. Di conseguenza, l'organizzazione divenne più consolidata, determinata e, nonostante l'intensa attività di contrasto da parte delle istituzioni e delle forze dell'ordine, si radicò nella zona di Lecce e nel Salento, contribuendo a creare una sottocultura mafiosa. Le sue forze furono alimentate dal silenzio omertoso e dal clima di terrore che si diffuse rapidamente tra la popolazione, a seguito di brutali eliminazioni di esponenti della vecchia malavita, estorsioni, attentati mirati con l’uso di esplosivi e altre attività criminali[16].

Fu solo il 23 maggio 1991, durante il processo nell’aula-bunker (presso la scuola media “Stomeo-Zimbalo”, adibita per l'occasione), che il presidente della Corte d’Assise, Francesco Cosentino, pronunciò il verdetto storico riconoscendo il carattere di stampo mafioso della Sacra Corona Unita, emettendo oltre 73 condanne e 57 assoluzioni[17].

Il verdetto della corte d’Assise (confermato poi in Cassazione) intimorì numerosi sacristi, non solo per le sue condanne ultraventennali, ma anche per il rigore del regime carcerario del 41 bis. Sempre più numerosi furono gli affiliati che iniziarono a collaborare con la giustizia, tanto da far registrare un picco di collaborazioni nel 1993[18].

La città di Lecce fu protagonista anche di un ulteriore maxiprocesso alla Sacra Corona Unita nel 1994, con un ulteriore contenzioso, frutto delle numerose collaborazioni avute negli ultimi due anni, terminato poi il 13 febbraio 1997. Quest’ultimo non venne visto come una mera replica del precedente, poiché nella stessa aula bunker si respirava un’atmosfera diversa: non c’erano più le urla rivolte ai magistrati, l’affollamento delle gabbie era stato sostituito dalla lunga sfilata dei collaboratori di giustizia, gli imputati non mostravano più la stessa sicurezza di quelli del '91 ed erano quasi rassegnati. Anche la sentenza finale fu diversa e, a differenza del primo, non vennero assegnate più condanne decennali o ventennali, ma una serie di ergastoli[19].

La stagione degli attentati

La mafia salentina diede vita a una serie di attentati nel suo territorio tanto da far rinominare gli anni dal 1989 al 1992 il “quadriennio caldo[20].

Nella notte del 7 luglio 1990, echeggiò per le vie periferiche di Lecce il frastuono di un’esplosione. Una bomba esplose nei pressi della scuola media Stomeo-Zimbalo, luogo destinato a ospitare l’aula-bunker del maxiprocesso. Il mandante che fece piazzare la bomba fu Alessandro Macchi, il cui scopo era quello di rallentare i lavori del Tribunale. Tuttavia, i suoi uomini posizionarono la bomba leggermente fuori dal raggio d’azione e non causarono nessun grave danno e i lavori poterono continuare come originariamente previsto[21].

I sacristi provarono a fermare il processo anche posizionando un ordigno di fronte alla casa del Presidente della Corte d’Assise, Francesco Cosentino, l’11 novembre dello stesso anno. Il messaggio d’intimidazione tuttavia non fermò il giudice, ma era chiara ormai la sfida lanciata dall’organizzazione mafiosa locale allo Stato[22].

Gli attentati che vennero eseguiti negli anni seguenti adoperavano lo stesso schema. Ad esempio, il 10 novembre 1991 una bomba esplose nei pressi del Tribunale penale e degli uffici della Procura di Lecce, creando seri danni strutturali[23].

Il 5 gennaio 1992, alla stazione del comune di Surbo, si verificò una grande esplosione sul binario che collegava le province di Lecce e Brindisi e circa un metro della rotaia venne tranciata. Qualche minuto dopo, proprio su quei binari passò un treno diretto a Zurigo. Il treno, sebbene viaggiasse a 90km/h sul binario danneggiato, fortunatamente non deragliò. Il ferroviere avvertì solo dei sobbalzi insoliti e una volta arrivato alla stazione successiva segnalò l’incidente[24].

Tra i vari episodi delittuosi, vi è anche la strage della Madonna della Grottella che si verificò lungo la strada provinciale tra Copertino e San Donato di Lecce, la mattina del 6 dicembre 1999. Due furgoni di una ditta di vigilanza privata e trasporto valori, con a bordo sei guardie incaricate di consegnare denaro agli uffici postali del basso Salento, vennero assaltati a mano armata. I furgoni furono bloccati da un camion e un gruppo di criminali aprì il fuoco e utilizzò esplosivi per forzare i portelloni blindati. In questo tragico evento persero la vita tre delle guardie giurate[25].

Situazione attuale

Attualmente, la struttura originaria della mafia salentina, inizialmente di tipo verticistico, si articola in diversi clan che controllano e dominano i vari territori dei comuni salentini. I membri attuali della Sacra Corona Unita continuano a condividere rispetto per la tradizione, ideali comuni, riti e strutture organizzative, utilizzando metodiche per regolare le dispute interne ed esterne.

Pur mantenendosi attiva nelle tradizionali attività illecite, la mafia leccese proietta il proprio sguardo verso il futuro, investendo proventi illeciti in settori altamente redditizi come turismo, ristorazione, gaming, commercializzazione degli idrocarburi e smaltimento dei rifiuti[26], infiltrandosi anche nei mercati legali «grazie a rapporti con imprenditori e professionisti compiacenti, nonché funzionari infedeli»[27].

Si può affermare che all’interno del territorio salentino la Sacra Corona Unita ha cambiato rotta: dopo il periodo di grande violenza, si è orientata verso una linea di invisibilità per condurre affari e guadagnare consenso sociale. L’organizzazone si occupa oggi anche di prerogative e funzioni che dovrebbero essere competenza degli organi istituzionali, «agevolata da una sorta di disponibilità della gente»[28].

Tuttavia, il suo attuale silenzio non deve ingannare, facendo erroneamente pensare a una "pax mafiosa". La sua capacità di rimanere non identificabile la rende ancora più pericolosa[29].

Rapporto tra mafia e politica locale

Le consorterie mafiose locali hanno sempre mostrato un forte interesse per la politica e gli enti locali della provincia di Lecce[30].

Utilizzando la loro arma principale, il voto di scambio politico-mafioso, le organizzazioni hanno iniziato a dominare e influenzare le amministrazioni territoriali. Il 7 dicembre 2020, la sentenza di condanna nel processo “Contatto” del 2017 ha confermato l’infiltrazione mafiosa nelle amministrazioni pubbliche, a causa di pubblici amministratori corrotti[31].

Fra tanti altri, il clan Coluccia ha perseguito i suoi fini criminali con «la compiacenza di pubblici amministratori che si rivolgono all’associazione mafiosa per ottenere l’appoggio necessario al perseguimento dei propri interessi»[32]. L'inchiesta "Insidia" ha rivelato invece l'infiltrazione mafiosa nell'amministrazione comunale di Neviano, basata sul presunto scambio elettorale politico-mafioso[33], che ha portato allo scioglimento del comune il 5 agosto 2022. Ulteriori conferme sono emerse dall'indagine "Morfeo", che ha evidenziato come alcuni pubblici amministratori di enti locali leccesi abbiano favorito l'assegnazione di servizi e appalti pubblici a gruppi criminali[34].

Sono 9 i consigli comunali sciolti per infiltrazione mafiosa nella provincia di Lecce, dal 1991 ad oggi[35].

Famiglie

All’interno della provincia di Lecce operano numerose famiglie e clan che impongono il loro potere in diverse realtà comunali[36]:

  • Amato, nelle cittadine di Maglie e di Scorrano;
  • Coluccia, nei comuni di Aradeo, Cutrofiano, Galatina, Noha e Soleto;
  • De Paola, a Presicce ed Acquarica del Capo;
  • De Tommasi e Pellegrino, a Squinzano, Campi Salentina e Trepuzzi;
  • Durante, a Nardò;
  • Giannelli, a Parabita e nei comuni di Casarano, Matino, Collepasso, Ugento, Alezio e Sannicola;
  • Leo, nei comuni di Melendugno e Vernole;
  • Padovano e Torrese, nella città di Gallipoli;
  • Penza, presente nel capoluogo ma anche nei comuni di Melendugno e zone litoranee: Vernole, Caprarica, Calimera e Lizzanello;
  • Pepe e Briganti, all’interno della città di Lecce;
  • Scarlino, nel comune di Taurisano;
  • Tornese, nei comuni di Monteroni di Lecce, Guagnano, Carmiano, Veglie, Leverano, Arnesano, Porto Cesareo, Sant’Isidoro, San Pietro in Lama, San Cesario, San Donato, e Lequile;
  • Troisi, a Racale e Taviano.

Principali operazioni antimafia

La prima grande operazione di contrasto contro la Sacra Corona Unita nel territorio leccese avvenne con un maxi-blitz nella notte del 14 giugno 1989, durante il quale furono eseguiti 300 mandati di comparizione e 100 mandati di cattura. L'obiettivo era fermare il consolidamento di della realtà criminale emergente dell’organizzazione, che stava affermando il suo potere e la sua autonomia totale[37].

La svolta giudiziaria avvenne il 23 maggio 1991, nel processo “De Tommasi + 133”, quando la Corte d’Assise di Lecce riconobbe la Sacra Corona Unita come associazione di stampo mafioso[38].

Ulteriori colpi alla Sacra Corona Unita furono inferti con l' "Operazione Salento" dell’Esercito Italiano, avviata il 10 maggio 1995, inizialmente con l'obiettivo di contrastare l'immigrazione clandestina. Tuttavia, essa portò anche risultati significativi nella lotta alla criminalità organizzata salentina. Inoltre, gli esponenti dell'organizzazione mafiosa erano a capo del traffico e della distribuzione illecita di sigarette. Le coste della provincia erano quotidianamente teatro di traffici e contrabbando di sigarette, un fenomeno che si cercò di contrastare definitivamente con l'operazione "Primavera" del 2000[39].

Note

  1. Andrea Apollonio, Storia della Sacra Corona Unita. Ascesa e declino di una mafia anomala, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, p. 176.
  2. Andrea Apollonio, Storia della Sacra Corona Unita. Ascesa e declino di una mafia anomala, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, p. 184
  3. Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Relazione sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1° luglio 2018 – 31 dicembre 2019, Atto n. 643, XVIII Legislatura, Roma, 24 novembre 2020, p. 95.
  4. Mara Chiarelli, Da Riina ai Buscemi, quei patti di sangue nati in Puglia, Archivio - La Repubblica, 21 agosto 2016, consultato il 28 marzo 2024
  5. Luciano Violante (1994), Non è La Piovra, Torino, Einaudi, p. 117
  6. Nadia Stefanelli, L'estate mafiosa del Salento, alle origini della Sacra Corona Unita, Diritto di critica, dirittodicritica.com, 10 novembre 2011
  7. Citato in Rossano Adorno, “Le radici della mafia nel Salento”, in Ricerche sul Salento. Il Contributo del Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo alla conoscenza del territorio. Rapporto 2018, a cura di Fabio Pollice, Università del Salento, p. 107.
  8. Luciano Violante (1994). Non è La Piovra, Torino, Einaudi, p. 120.
  9. Andrea Leccese, Malapuglia. Le Organizzazioni Mafiose in Puglia, Castelvecchi, 2019, p. 30.
  10. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia, 1993, Doc. XXIII, n. 7, XI Legislatura, p. 55.
  11. Ibidem
  12. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia, Doc. XXIII n. 7, XI Legislatura, 5 ottobre 1993, p. 57.
  13. Ibidem
  14. Commissione parlamentare antimafia, Rapporto sulla criminalità organizzata, Doc. XXXVIII- bis n. 2, XII Legislatura, 1994, p. 32
  15. La Repubblica, Dalla procura di Bari parte il tam-tam. Altre accuse ad Andreotti, 31 marzo 1993. Consultato il 23 dicembre 2023.
  16. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia, Doc. XXIII n. 7, XI Legislatura, 5 ottobre 1993, pp. 56-58.
  17. Marcello Cometti, La Sacra Corona è la quarta mafia. Al Maxiprocesso raffica di condanne, La Repubblica, 24 maggio 1991. Consultato il 24 dicembre 2023.
  18. Apollonio, op.cit., p. 164.
  19. Ivi, p. 167
  20. Andrea Leccese, Malapuglia. Le Organizzazioni Mafiose in Puglia. Castelvecchi, 2019, p. 33.
  21. Apollonio, op.cit., p. 177.
  22. Ibidem
  23. Ibidem
  24. L'Unità, Strage mancata per due minuti, 7 gennaio 1992. Consultato il 5 gennaio 2024.
  25. Ministero dell'Interno, Testimonianze di coraggio: la strage della Grottella, la vita di tre guardie giurate per i soldi delle pensioni, 6 dicembre 2017. Consultato il 4 gennaio 2024.
  26. Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, op.cit., p. 95.
  27. Citato in Direzione Investigativa Antimafia, Relazione II semestre 2022, Roma, 2023, p. 221.
  28. Commissione parlamentare antimafia (2013). Relazione conclusiva, Doc. XXIII, n.38, XVII Legislatura, p. 73.
  29. Apollonio, op. cit., p. 178.
  30. Direzione Investigativa Antimafia (2023). Relazione I semestre 2022, Roma, pp.173-178.
  31. Ibidem
  32. Citato in L’azienda mafia e i suoi intrecci nel Salento, fra traffici di droga e colletti bianchi, LeccePrima, 15 gennaio 2024.
  33. Ibidem
  34. Ibidem
  35. Per approfondire, vedi Comuni sciolti per mafia
  36. Direzione Investigativa Antimafia, Relazione II semestre, Roma, 2022, p. 222.
  37. Citato in Giuseppe D’Avanzo, Cento mandati di cattura. Altri 300 gli incriminati, La Repubblica, 14 giugno 1989. Consultato il 4 gennaio 2024.
  38. Antonio Nicola Pezzuto, Criminalità organizzata in Puglia, così cresce la mafia del click, Antimafia Duemila, 24 luglio 2021.
  39. Apollonio, op. cit., pp. 175-187.

Bibliografia

  • Apollonio, Andrea (2016). Storia della Sacra Corona Unita. Ascesa e declino di una mafia anomala, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore.
  • Archivio Storico de “La Repubblica”.
  • Archivio Storico de “l’Unità”.
  • Commissione parlamentare antimafia (1993). Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia, Doc. XXIII n. 7, XI Legislatura, 5 ottobre.
  • Commissione parlamentare antimafia (1994). Rapporto sulla criminalità organizzata, Doc. XXXVIII- bis n. 2, XII Legislatura.
  • Commissione parlamentare antimafia (2013). Relazione conclusiva, Doc. XXIII, n.38, XVII Legislatura.
  • Direzione Investigativa Antimafia (2023). Relazione I semestre 2022, Roma.
  • Direzione Investigativa Antimafia (2023). Relazione II semestre 2022, Roma.
  • Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (2020). Relazione sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1° luglio 2018 – 31 dicembre 2019, atto n. 643, XVIII Legislatura, Roma, 24 novembre.
  • Leccese, Andrea (2019). Malapuglia. Le Organizzazioni Mafiose in Puglia, Castelvecchi.
  • Pollice, Fabio (a cura di) (2018). Contributo del Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo alla conoscenza del territorio. Ricerche sul Salento. Rapporto 2018, Università del Salento.
  • Violante, Luciano (1994). Non è La Piovra, Torino, Einaudi.