Giuseppe Insalaco
Giuseppe Insalaco (San Giuseppe Jato, 12 ottobre 1942 - Palermo, 12 gennaio 1988) è stato un politico italiano, Sindaco di Palermo per 100 giorni, ucciso da Cosa Nostra a seguito delle sue denunce sul rapporto mafia e politica nella sua città.
Biografia
Giuseppe Insalaco, figlio di carabiniere, nacque a San Giuseppe Jato in provincia di Palermo. Cresciuto negli ambienti della Democrazia Cristiana siciliana, si distinse per un forte carattere che lo portò a tentare un rinnovamento sia all'interno del partito sia, più tardi, nel Comune di Palermo. Peppuccio, come lo chiamavano le persone a lui più vicine, era noto in particolare per il suo coraggio e la sua forza nel non cedere ai compromessi. Sposato, era padre di due figli, Ernesta e Luca.
Le elezioni del 1980
Le elezioni amministrative del 1980 vennero vinte dalla Democrazia Cristiana che, provvista di una maggioranza enorme in Consiglio comunale, avrebbe potuto governare con tranquillità. Invece non andò così, perché da una parte vi era il progetto di rinnovamento di Insalaco, dall'altra la cordata di Vito Ciancimino, legato a Cosa Nostra.
La legislatura iniziò con la nomina a sindaco di Nello Martellucci, a cui succedette Elda Pucci (prima sindaco donna di una grande città italiana, che costituì parte civile in un processo di mafia il Comune di Palermo), a cui poi subentrò Peppuccio Insalaco.
Il Sindaco dei 100 giorni
Alla sua prima uscita pubblica da sindaco, nell'anniversario dell'omicidio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, fece tappezzare gran parte della città con manifesti dell'amministrazione comunale, in cui venivano denunciati gli omicidi per mano mafiosa. Fu la prima volta in cui comparvero dei manifesti con la parola mafia commissionati dal Comune di Palermo[1].
Nel progetto di rottura col passato, Giuseppe Insalaco si concentrò soprattutto sul sistema degli appalti. Egli voleva che non ci fossero più trattative private in base alle quali assegnare gli appalti, bensì gare pubbliche aperte a tutti. Il 6 luglio 1984 venne ratificata questa decisione, durante il Consiglio comunale. Gli atti vennero poi trasferiti dallo stesso sindaco alla Procura della Repubblica ed alla Commissione antimafia [2].
In un'intervista rilasciata a Saverio Lodato, Giuseppe Insalaco disse: “Ci sono gruppi economici e affaristici i cui interessi spesso coincidono con quelli della pubblica amministrazione. Per il loro peso e i loro intrecci riescono spesso a condizionare scelte che in situazioni normali dovrebbero essere di competenza della classe politica” [3].
Inevitabilmente, Giuseppe Insalaco cominciò ad essere un problema per le famiglie mafiose di Palermo e chi faceva affari con loro. Così, nel tentativo di isolarlo, vennero gettati su di lui sospetti di collusione e, inoltre, venne accusato di interesse privato in atti d'ufficio. A quel punto, Giuseppe Insalaco si dimise dalla carica di sindaco.
L'incontro con Giovanni Falcone
Tutte le accuse su Giuseppe Insalaco arrivarono in forma anonima in due esposti. Insalaco venne arrestato per una vicenda legata alla cessione di terreni di un istituto del quale era commissario ed iniziò un processo che non ebbe mai una conclusione.
Il 3 ottobre 1984, in una deposizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia, Insalaco disse: “Non sono un democristiano pentito, ma sono venuto qui per dire quello che penso della DC palermitana, degli affari, dei grandi appalti, di Ciancimino, dei perversi giochi che mi hanno costretto alle dimissioni dopo appena tre mesi” [4].
Giuseppe Insalaco andò 5 volte da Giovanni Falcone per denunciare legami e situazioni che non lo convincevano. Dopo la sua morte, Giovanni Falcone, durante un Convegno all’inizio degli anni Novanta disse queste parole: “L’omicidio Insalaco costituisce l’eloquente conferma che gli antichi ibridi connubi fra la criminalità mafiosa e occulti centri di potere costituiscono tuttora nodi irrisolti con la conseguenza che, fino a quando non sarà fatta piena luce su moventi e mandanti dei nuovi come dei vecchi omicidi eccellenti, non si potranno fare molti passi avanti” [5].
L'avvertimento
Dopo la deposizione in Commissione antimafia, mentre Giuseppe Insalaco si stava recando a Roma per un'intervista in Rai la sua auto, parcheggiata sotto casa (nello stesso palazzo di Giovanni Falcone), venne rubata e data alle fiamme[6].
L'arresto
Nel febbraio 1985 Giuseppe Insalaco venne arrestato e, dopo aver rilasciato molte deposizioni al Consigliere Antonino Caponnetto ed al Giudice istruttore Giovanni Falcone, ad agosto ottenne la libertà provvisoria[7].
L'omicidio
Dopo essere stato lasciato solo per molto tempo, il 12 gennaio 1988 Giuseppe Insalaco venne assassinato. Due ragazzi, a bordo di una vespa, si avvicinarono alla sua auto parcheggiata in Via Cesareo a Palermo e spararono cinque colpi di pistola[8].
Indagini e processo
L'indagine per l’omicidio di Giuseppe Insalaco venne avviata a carico di ignoti. Ci furono due anni di indagini senza ottenere nulla. I primi ad occuparsi del caso furono i Pm Ayala e Di Pisa. Poi, finalmente, le carte arrivano a Giovanni Falcone. I killer lasciarono numerose tracce: la pistola abbandonata sul luogo del delitto (una 357 Magnum), un casco, un ciuffo di capelli e tracce di sterco di gallina. Per quattro mesi la polizia scientifica lavorò alle tracce.
Poi, una mattina del novembre 1989, vennero riesumati tre cadaveri appartenenti a tre ragazzi uccisi in un mercato qualche settimana prima. Le ricerche della polizia dissero, però, che quei ragazzi non c'entravano niente con la morte di Insalaco. Tuttavia, successivamente si scoprì che il killer dei tre ragazzi era un professionista appartenente ad una cosca potentissima. L'inchiesta ripartì, a quel punto, da zero [9]
Gli esecutori dell’omicidio di Giuseppe Insalaco vennero identificati in Antonino Galliano e Domenico Guglielmini che, insieme a Domenico Ganci, vennero considerati i componenti del commando: Galliano era il conducente della Vespa con cui il killer (Guglielmini) raggiunse Insalaco, coperti da Ganci (l’organizzatore) a bordo di un'auto.
Galliano decise di collaborare con la giustizia e fu condannato in primo grado a 15 anni e in Appello a 11 anni e 5 mesi. Gli altri due vennero condannati all'ergastolo.
Cassazione
Il 9 aprile 2001 la prima sezione penale della Cassazione confermò le condanne inflitte in appello, respingendo il ricorso degli imputati.[10].
L'eredità di Giuseppe Insalaco
Giuseppe Insalaco, che viene ricordato come “il sindaco dei cento giorni”, lasciò in eredità alla sua città molte carte e documenti che fecero tremare Palermo. Il materiale venne pubblicato da Saverio Lodato per L'Unità e da Attilio Bolzoni per La Repubblica. In quelle carte, Insalaco faceva i nomi di personaggi noti ed esponenti della DC palermitana, denunciando il sistema di gestione degli appalti [11]. Tra i nomi più importanti contenuti in quei documenti vi erano quelli dell'eurodeputato Salvo Lima, dei finanzieri Nino e Ignazio Salvo, del funzionario del Sisde Bruno Contrada, di Vito Ciancimino, di Giulio Andreotti, del ministro per gli Affari regionali Aristide Gunnella, dei giudici Salvatore Palazzolo e Carmelo Carrara, e di Arturo Cassina signore degli appalti comunali e cavaliere del Santo Sepolcro [12]. Nel suo memoriale scrisse: “Ho paura, me la faranno pagare” [13].
In ricordo di Giuseppe Insalaco
Il 21 marzo 2016, a San Giuseppe Jato in piazza della Libertà, è stata scoperta una targa in memoria di Giuseppe Insalaco. A scoprire la targa i figli Ernesta e Luca, il fratello Mimmo e la moglie Piera Salamone. L’iniziativa è stata organizzata in collaborazione con l’istituto comprensivo “Riccobono”. La targa è stata donata da una fabbrica di marmi di Piana degli Albanesi [14].
L'11 ottobre 2016, in Via Cesareo a Palermo, sul luogo dell’omicidio, è stata scoperta una targa in memoria di Giuseppe Insalaco [15].
Per saperne di più
Video
Sergio Ruffino, I due volti di Palermo, Documentario, 2016.
Note
- ↑ Giorgio Bongiovanni, Giuseppe Insalaco il sindaco dei cento giorni ucciso dallo Stato mafia, Antimafia Duemila, 13 gennaio 2017
- ↑ Giuseppe Insalaco vittima di mafia, 12 gennaio 2011, 19luglio1992
- ↑ Giorgio Bongiovanni, Giuseppe Insalaco il sindaco dei cento giorni ucciso dallo Stato mafia, Antimafia Duemila, 13 gennaio 2017
- ↑ Giuseppe Insalaco vittima di mafia, 12 gennaio 2011, 19luglio1992
- ↑ Giorgio Bongiovanni, Giuseppe Insalaco il sindaco dei cento giorni ucciso dallo Stato mafia, Antimafia Duemila, 13 gennaio 2017
- ↑ Biografia di Giuseppe Insalaco, Ministero dell'Interno
- ↑ Giuseppe Insalaco vittima di mafia, 12 gennaio 2011, 19luglio1992
- ↑ Maria Francesca Chiappe, Conosceva mafia e potere ecco perchè morì Insalaco, Unione Sarda, 16 marzo 2016
- ↑ Attilio Bolzoni, [https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/11/03/misteri-del- delitto-insalaco.html I misteri del delitto Insalaco], La Repubblica, 3 novembre 1989
- ↑ Fabbri, Gianvittore (Presidente). Sentenza n. 557/01 contro Ganci Domenico + 5, R.G. 46451/200, Roma, Corte Suprema di Cassazione, 9 aprile 2001, p.19.
- ↑ Biografia di Giuseppe Insalaco, Ministero dell'Interno
- ↑ Giorgio Bongiovanni, Giuseppe Insalaco il sindaco dei cento giorni ucciso dallo Stato mafia, Antimafia Duemila, 13 gennaio 2017
- ↑ Maria Francesca Chiappe, Conosceva mafia e potere ecco perchè morì Insalaco, Unione Sarda, 16 marzo 2016
- ↑ Leandro Salvia, San Giuseppe Jato il Comune scopre una targa in memoria di Giuseppe Insalaco Monreale News.it, 22 marzo 2017
- ↑ [https://newsicilia.it/cronaca/palermo-scoperta-targa-in- memoria-insalaco-sindaco-dei-100-giorni/185030 Palermo scoperta la targa in memoria di Insalaco il sindaco dei 100 giorni] New Sicilia.it, 11 marzo 2016
Bibliografia
- Archivio Antimafia Duemila
- Archivio New Sicilia
- Archivio Monreale News
- Stancanelli, Bianca (2016). La città marcia, Venezia, Marsilio Editore.
- Fabbri, Gianvittore (Presidente). Sentenza n. 557/01 contro Ganci Domenico + 5, R.G. 46451/200, Roma, Corte Suprema di Cassazione, 9 aprile 2001. Si ringrazia Lorenza Pleuteri per aver fornito la fonte e aver segnalato alcune imprecisioni nella voce enciclopedica, riportate da fonti inesatte (tra le quali la nota preparata dal Ministero dell'Interno).