Giorgio Ambrosoli: differenze tra le versioni

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<center>''È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.''<ref>Stajano C., Un eroe borghese, il Saggiatore, 2016 p.100</ref>  </center>
<center>''È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.''<ref>Stajano C., Un eroe borghese, il Saggiatore, 2016 p.100</ref>  </center>
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<center>('''Giorgio Ambrosoli''')</center>
<center>('''Giorgio Ambrosoli''')</center>


'''Giorgio Ambrosoli''' (Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) è stato un avvocato italiano. Fu assassinato da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano [[Michele Sindona]], sulle cui attività Ambrosoli stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.
'''Giorgio Ambrosoli''' (Milano, [[17 ottobre]] [[1933]] – Milano, [[11 luglio]] [[1979]]) è stato un avvocato italiano. Fu assassinato da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano [[Michele Sindona]], sulle cui attività Ambrosoli stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.
[[File:Giorgio Ambrosoli.jpg|250px|thumb|right|Giorgio Ambrosoli]]


[[File:Giorgio Ambrosoli.jpg|400px|thumb|right|Giorgio Ambrosoli]]


== Biografia ==
=== Infanzia e adolescenza ===
Figlio primogenito di Omero Riccardo e Piera Agostoni, '''Giorgio Ambrosoli''' nacque a Milano in via Paolo Giovio e frequentò le scuole elementari in via Crocefisso fino al 1943, quando la famiglia fu sfollata a Ronco di Ghiffia, sul Lago Maggiore, a causa dei bombardamenti. Qui Ambrosoli frequentò elementari e medie, mentre continuò gli studi al Liceo Classico Manzoni a Milano, dove non si distinse per lo studio e fu anche costretto a ripetere l'anno della maturità. Nell'anno accademico 1952-53 Giorgio s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e negli stessi anni s’impegnò attivamente nell’Unione monarchica Italiana, partito politico italiano volto a instaurare in Italia la monarchia costituzionale. Qui conobbe la sua futura moglie Anna Lorenza Goria, che sposò nel [[1962]] nella chiesa di San Babila e con la quale ebbe tre figli: Francesca, Filippo e [[Umberto Ambrosoli|Umberto]].
Nel [[1958]] si laureò con una tesi in Diritto Costituzionale dal titolo “''il Consiglio Superiore della Magistratura''”. Subito dopo iniziò la pratica forense, diventando procuratore ed esercitando la professione legale nello studio dell’avvocato Cetti Serbelloni. Nel [[1964]] Ambrosoli ebbe l’occasione di specializzarsi nel settore del diritto societario e fallimentare, essendo stato chiamato a collaborare con i commissari liquidatori della Società Finanziaria Italiana. Tale collaborazione durò diversi anni, durante i quali Giorgio maturò qualità professionali ma anche umane, tra cui un profondo senso di giustizia.
=== La nomina a commissario liquidatore della Banca Privata Italiana ===
Il [[27 settembre]] [[1974]], dieci anni dopo la vicenda SFI, Ambrosoli fu nominato dal governatore della Banca d’Italia [[Guido Carli]]<ref>Decreto del ministro del Tesoro del 27 settembre 1974</ref> commissario liquidatore unico della '''Banca Privata Italiana''' di [[Michele Sindona]], nata il [[1° agosto]] dello stesso anno dalla fusione tra la Banca Privata Finanziaria e la Banca Unione. Nonostante due prestiti di 100 milioni di dollari con cui il Banco di Roma (braccio operativo della Banca d'Italia) aveva acquisito il pacchetto di maggioranza della Banca Unione, il patrimonio della Banca Privata Italiana risultò inesistente e la banca nacque già sull'orlo della liquidazione coatta. Come scrissero successivamente gli ispettori di vigilanza della Banca d'Italia nei loro rapporti, il patrimonio delle due banche era stato interamente assorbito dalle perdite, coperte con numerose irregolarità amministrative. Il [[24 settembre]] la banca fu messa in liquidazione coatta.
[[File:Impero sindona.jpeg|500px|thumb|right|L'Impero di Michele Sindona, nel marzo 1974; riadattamento dal Corriere della Sera del 9 ottobre 1974]]
L’[[8 ottobre]] [[1974]] anche la '''Franklin National Bank''', che Sindona aveva acquistato nel [[1972]], fu dichiarata fallita. Come ebbe modo di accertare la Commissione Parlamentare d'Inchiesta<ref>Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso  Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative a essa eventualmente connesse, VIII legislatura, Doc. XXIII, n. 2-sexies, 24 marzo 1982, Relazione conclusiva Azzaro Giuseppe</ref>, Sindona si servì in primo luogo del deposito bancario di denaro, facendo apparire ingenti somme di denaro sotto forma di deposito in valuta straniera che in realtà non erano liquide ma immobilizzate presso banche estere del suo stesso gruppo; in seconda battuta, utilizzò il classico espediente delle cosiddette “scatole cinesi”, con il quale controllava più società a fronte di un investimento di capitale minore rispetto al valore reale delle società controllanti.
* Per saperne di più sulle ''res gestae'' di Michele Sindona, vedi [[Michele Sindona|la pagina relativa]]
=== Il lavoro da commissario liquidatore ===
Come commissario liquidatore, Ambrosoli aveva il compito di accertare lo stato d'insolvenza, lo stato passivo e il piano di riparto tra i creditori. Nel fare ciò fu aiutato da una squadra di polizia tributaria della Guardia di Finanza e in particolare dal maresciallo [[Silvio Novembre]] con il quale intrattenne non soltanto un rapporto di natura professionale ma anche una vera e profonda amicizia. Il processo fu invece affidato al giudice istruttore Ovilio Urbisci e al pubblico ministero Guido Viola.
In ottobre Ambrosoli accertò che le perdite erano di '''207 miliardi''', dichiarò lo stato d’insolvenza e l’avvio dell’azione penale. Cinque mesi dopo, il [[25 febbraio]] del [[1975]] Ambrosoli era pronto per il deposito dello stato passivo della Bpi: '''531 miliardi''', di cui 417 al passivo e 281 all'attivo tra crediti, immobili, partecipazioni azionarie. Escluse dal rimborso lo Ior, la banca del Vaticano, e tutte le banche e società direttamente o indirettamente legate al gruppo Sindona.
=== La lettera alla moglie Anna ===
Il giorno stesso del deposito dello stato passivo, Ambrosoli scrisse alla moglie Anna una lettera, dalle cui parole poi il figlio Umberto ricavò il titolo del suo libro<ref>Ambrosoli U., Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009</ref>:
''«Anna carissima,''
''è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.''
''Ricordi i giorni dell'Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.''
''Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [...] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi [...]''
''Giorgio»''
=== Presidente Fasco e l'offensiva di Sindona ===
Sempre nell'ottobre del 1975 Ambrosoli ricevette una comunicazione dalla Finanbank di Ginevra: erano in deposito nella banca numerose azioni della Fasco. Il deposito era intestato alla Banca Privata Finanziaria. Il [[10 ottobre]] Ambrosoli andò a Ginevra ed essendo commissario liquidatore (incarico che lo legittima a operare) indisse come azionista di maggioranza un’assemblea straordinaria della società, facendo cadere i vecchi amministratori e nominandone di nuovi; alla fine della riunione Ambrosoli fu nominato nuovo presidente della Fasco.
Fu in quel momento che venne a conoscenza del sistema delle scatole cinesi ideato da Sindona, con le 300 società "matrioske". Sindona per tutta risposta denunciò Ambrosoli, accusandolo di essersi indebitamente impossessato della azioni Fasco, denuncia poi archiviata il [[15 giugno]] dello stesso anno.


== Biografia ==
Dal [[1976]] in avanti il caso Sindona destò l’interesse dell'opinione pubblica e di diversi personalità politiche di spicco, tra cui l’allora Presidente del Consiglio [[Giulio Andreotti]] e il famoso capo della Loggia massonica P2, [[Licio Gelli]]. Come venne dimostrato successivamente, diversi alti esponenti delle forze politiche e del mondo della finanza appoggiarono Sindona e il suo piano di salvataggio della banca per addossare le perdite sui contribuenti.
Giorgio Ambrosoli nacque il 17 ottobre del 1933 a Milano, in via Paolo Giovio, figlio primogenito di Omero Riccardo Ambrosoli, avvocato, e Piera Agostoni. Frequentò le scuole elementari in via Crocefisso fino al 1943, anno in cui a causa dei bombardamenti la famiglia fu sfollata a Ronco di Ghiffia, sul Lago Maggiore. Qui Ambrosoli frequentò la scuola elementare e media mentre le scuole superiori al Liceo Classico Manzoni a Milano. Non fu uno studente modello e dovette ripetere l’anno della maturità. Nell’anno accademico 1952-53 Giorgio s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e negli stessi anni s’impegnò attivamente nell’Unione monarchica Italiana, partito politico italiano volto a instaurare in Italia la monarchia costituzionale. Qui conobbe la sua futura moglie Anna Lorenza Goria, che sposò nel 1962 nella chiesa di San Babila e con la quale ebbe tre figli: Francesca, Filippo e Umberto.  
 
Nel 1958 si laureò con una tesi in Diritto Costituzionale dal titolo “il Consiglio Superiore della Magistratura”.
L'offensiva sindoniana partì tra la fine dell’estate e l’inizio di autunno 1976: scomodando le già citate personalità politiche insieme ad un gruppo di personaggi del mondo finanziario e della comunità italoamericana a New York, portò avanti la tesi della sua persecuzione politica in quanto "'''banchiere anticomunista'''" utilizzando decine di "''affidavit''" (dichiarazioni giurate), al fine di bloccare l'estradizione in Italia richiesta dai giudici.
Iniziò così la pratica forense, diventando procuratore ed esercitando la professione legale nello studio dell’avvocato Cetti Serbelloni.
 
Nel 1964 Ambrosoli ebbe l’occasione di specializzarsi nel settore del diritto societario e fallimentare, essendo stato chiamato a collaborare con i commissari liquidatori della Società Finanziaria Italiana. Tale collaborazione durò diversi anni, durante i quali Giorgio maturò qualità professionali ma anche umane, tra cui un profondo senso di giustizia.  
In un clima rovente la liquidazione della Banca Privata Italiana andò avanti con difficoltà, ma questo non scoraggiò Ambrosoli, che nel [[1977]] aumentò l'intensità della propria azione, lavorando alla seconda relazione nella quale avrebbe indicato le ragioni del fallimento della banca, poi consegnata all'autorità giudiziaria l'[[8 maggio]] [[1978]]. Nel frattempo la Corte di Appello di Milano dichiarò lo stato d'insolvenza della BPI e la Corte di Cassazione respinse un'istanza di sospensione del processo penale avanzata da Sindona. In quei giorni l’avvocato dell'ex-banchiere scrisse sulla sua agenda “''Sbarrare strada ad Ambrosoli''.


=== La nomina a commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e l’inizio della vicissitudine ===
Il [[10 dicembre]] Ambrosoli volò a New York per collaborare con i giudici americani che nel frattempo stavano cercando prove per l’istruzione del processo sul dissesto della Franklin National Bank. Nel frattempo, Sindona decise di rivolgersi alla mafia italoamericana, capendo di avere poche chance con la strategia condotta fino a quel momento.


Nel 1974, dieci anni dopo la vicenda SFI, Ambrosoli fu nominato unico commissario liquidatore della Banca Privata Italiana (di proprietà di Michele Sindona) dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli. <ref> Decreto del ministro del Tesoro del 27 settembre 1974 </ref>
=== Le minacce di morte ===
Per Giorgio Ambrosoli iniziarono le vicissitudini che lo portarono alla morte.  
Il [[28 dicembre]] 1978 Ambrosoli ricevette la prima di otto telefonate minatorie da parte di quello che lui stesso definì un "picciotto", per via del suo accento siciliano<ref>La Repubblica, [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/12/10/cuccia-tacque-ambrosoli-no-erano-diversi.html Cuccia tacque, Ambrosoli no, erano diversi], 10 dicembre 1985.</ref>. Come venne accertato in fase processuale, l'autore delle telefonate anonime era il massone [[Giacomo Vitale]], cognato del boss di [[Cosa Nostra]] [[Stefano Bontate]].
La Banca Privata Italiana e  Michele Sindona.  


Michele Sindona nacque a Patti, paese in provincia di Messina, nel 1920, figlio di un operatore del consorzio agrario. Dall’età di quattordici anni iniziò a lavorare per mantenersi agli studi, svolgendo lavori tra cui dattilografo, aiuto  contabile e impiegato.
Nell'ultima telefonata del [[12 gennaio]], a mezzogiorno, Ambrosoli ricevette una minaccia di morte esplicita:
Nel 1942 si laureò in Giurisprudenza all’Università di Messina.
Nel 1946 si trasferì a Milano, dove iniziò l’attività di procuratore prima e quella di avvocato e consulente nel settore fiscale poi. Nel corso degli anni ’50 la sua fama divenne nazionale e all’inizio degli anni ‘60 dalla professione di avvocato si spostò in prima battuta nell’ambito finanziario e in seguito diventò banchiere. 
Nell’ottobre del 1961 era già socio di maggioranza nella Banca Privata Finanziaria, la cui effettiva proprietaria era la società Fasco Italiana di Michele Sindona.
Nel 1964 con Carlo Bordoni, famoso broker, fondò una società di brokeraggio l’Euro-Market Money Brokers.
Nel 1968 Sindona diventò proprietario della maggioranza (51%) della Banca Unione, attraverso la società Comarsec, mentre il 16% era posseduto dallo Ior, Istituto per le Opere di Religione e cioè la Banca Vaticana (che fu un partner fondamentale per Sindona).  Inoltre Michele Sindona possedeva la Banca di Messina e la Finabank di Ginevra.
Alla fine degli anni Sessanta il volume degli affari di Sindona superò i 40 milioni di dollari annuali, egli divenne proprietario di una serie di società italiane e statunitensi e più di un migliaio furono le banche-clienti, tra cui spiccava il Banco di Roma.
Nei primi anni Settanta l’opinione pubblica vedette in Sindona un personaggio di spicco dell’alta finanza e uno dei più geniali uomini d’affari del mondo. Giulio Andreotti lo definì addirittura “il salvatore della lira”. 
Il grande progetto sindoniano iniziò nel 1971. 
Egli mirava al controllo delle società finanziarie Bastogi e Centrale e alla loro fusione e inoltre al controllo della Banca Nazionale dell’Agricoltura: mirò cioè a creare un polo alternativo rispetto a Mediobanca di Enrico Cuccia, uno degli Istituti di Credito più importanti del paese. 
Il 5 agosto del 1971 Sindona acquisì il controllo della Centrale, ma il governatore Carli bloccò il controllo sia della Bastogi sia della Banca Nazionale dell’Agricoltura e il 31 agosto ordinò un'ispezione della Banca d’Italia alla Banca Unione, mentre il 20 settembre alla Banca Privata Finanziaria. Le ispezioni si chiusero rispettivamente il 7 febbraio e il 24 marzo, riscontrando gravi irregolarità e un'illecita costituzione di contabilità riservata. Per Banca Unione si chiese lo scioglimento degli organi amministrativi per gravi irregolarità. Nonostante l’esito delle ispezioni, la Banca d’Italia fu cauta e il governatore Carli si limitò a segnalare le irregolarità riscontrate senza procedere alla liquidazione coatta e allo scioglimento degli organi amministrativi.
Nel frattempo Sindona si trasferì negli Stati Uniti, dove nel luglio del 1972 acquistò la Franklin National Bank, la ventesima banca americana.
Sul fronte italiano invece, a seguito dell’opposizione di Carli, Sindona tentò di riorganizzare in un’unica società, la finanziaria Finambro, le partecipazioni italiane. Per fare questo fu necessaria la autorizzazione di un aumento di capitale di 160 miliardi di lire, autorizzazione che venne negata dal nuovo ministro del Tesoro Ugo La Malfa.
Nel 1973 Sindona avviò una nuova operazione: la fusione tra la Banca Privata Finanziaria e la Banca Unione.
Nell’estate del 1974 le vicende si susseguirono velocemente.
Dal 10 luglio in avanti uomini del Banco di Roma acquistarono il pacchetto di maggioranza della Banca d’Unione attraverso due prestiti di 100 milioni di dollari, autorizzati dalla Banca d’Italia. Il Banco di Roma fu considerato il braccio operativo della Banca d’Italia.
Il 29 luglio del 1974 la Banca d’Italia diede l’autorizzazione per l’incorporazione e il primo agosto nacque la nuova banca sindoniana, la Banca Privata Italiana, ma il suo patrimonio era inesistente. La banca nacque già sull’orlo della liquidazione coatta.  Gli ispettori di vigilanza della Banca d’Italia scrissero nei loro rapporti che il patrimonio delle banche era interamente assorbito dalle perdite ed erano presenti numerose irregolarità amministrative. Solo il 24 settembre la Banca Privata italiana fu messa in liquidazione coatta. 
L’8 ottobre del 1974 anche la Franklin National Bank fu dichiarata fallita. Da un punto di vista giuridico ed economico il meccanismo utilizzato da Sindona fu il seguente:
in primo luogo egli si servì del deposito bancario di denaro, facendo apparire sotto forma di deposito in valuta straniera somme di denaro, che in realtà non erano liquide ma immobilizzate presso banche estere del gruppo sindoniano. <ref> Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso  Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative a essa eventualmente connesse, VIII legislatura, Doc. XXIII, n. 2-sexies, 24 marzo 1982,  Relazione conclusiva Azzaro Giuseppe </ref>
In secondo luogo utilizzò il classico espediente delle cosiddette “scatole cinesi”, attraverso il quale venivano controllate più società investendo capitale minore rispetto al valore reale delle società controllanti.
La figura ivi riportata mostra la fitta rete di Sindona.


=== Il commissario liquidatore ===
* ''Giacomo Vitale: Pronto, avvocato''
Giorgio Ambrosoli assunse l’incarico di unico commissario liquidatore della Banca Privata Italiana nel settembre del 1974. Egli aveva il compito di accertare lo stato d' insolvenza, lo stato passivo e il piano di riparto tra i creditori. Nel fare ciò fu aiutato da una squadra di polizia tributaria della Guardia di Finanza, e in particolare dal maresciallo Silvio Novembre con il quale intrattenne non soltanto un rapporto di natura professionale ma anche una vera e profonda amicizia. Il processo fu invece affidato al giudice istruttore Ovilio Urbisci e al pubblico ministero Guido Viola.
* ''Giorgio Ambrosoli: Buongiorno'' 
In ottobre Ambrosoli accertò che le perdite erano di 207 miliardi, dichiarò lo stato d’insolvenza e l’avvio dell’azione penale. Cinque mesi dopo, il 25 febbraio del 1975 Ambrosoli era pronto per il deposito dello stato passivo della Bpi: 531 miliardi, di cui 417 al passivo e 281 all’attivo tra crediti, immobili, partecipazioni azionarie. Escluse dal rimborso lo Ior e tutte le banche e società direttamente o indirettamente legate al gruppo Sindona.
* ''V: Buon giorno. L’altro giorno ha voluto fare il furbo, ha fatto registrare tutta la telefonata!''   
Nell’ottobre del 1975 Ambrosoli ricevette una comunicazione dalla Finanbank di Ginevra: erano in deposito nella banca numerose azioni della Fasco. Il deposito era intestato alla Banca Privata Finanziaria. Il 10 ottobre Ambrosoli andò a Ginevra ed essendo commissario liquidatore (incarico che lo legittima a operare) indisse come azionista di maggioranza un’assemblea straordinaria della società, facendo cadere i vecchi amministratori e nominandone di nuovi. Ambrosoli era il nuovo presidente della Fasco.
* ''A: chi glielo ha detto?'' 
Da questo momento in poi Giorgio venne a conoscenza del meccanismo delle scatole cinesi, e delle 300 società matrioske.  
* ''V: eh, sono fatti miei chi me l'ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più.'' 
La risposta di Sindona non si fece attendere, e il 5 gennaio del 1976 denunciò Ambrosoli di essersi impossessato indebitamente delle azioni Fasco. Denuncia archiviata il 15 giugno dello stesso anno.
* ''A: ah non mi salva più.'' 
Dal 1976 in avanti il caso Sindona destò l’interesse di persone di ogni strato sociale e posizione, tra cui l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il famoso capo della Loggia massonica p2, Licio Gelli. Le più alte personalità politiche e inserite nel mondo della finanza appoggiarono Sindona e il suo piano di salvataggio della banca per addossare alla collettività le perdite.
* ''V: Non la salvo più, perché lei è degno solo '''di morire ammazzato''' come un cornuto! Lei è un cornuto e bastardo!''  
Tra la fine dell’estate del 1976 e l’inizio di autunno Sindona partì al contrattacco, scomodando le già citate personalità politiche insieme ad un gruppo di personaggi del mondo finanziario e della comunità italoamericana per contrastare l’estradizione voluta dai giudici. Attraverso una decina di “affidavit”, vale a dire di dichiarazioni giurate, essi sostennero la tesi della persecuzione politica a danno del banchiere anticomunista Sindona. L’ambiente in cui si muove Sindona era un intreccio tra affari e politica, tra massoneria, servizi segreti, alti prelati e mafiosi.
In questo clima la liquidazione della BPI andò avanti con gravi difficoltà.
Dal 1977 l’offensiva contro Ambrosoli crebbe di intensità, proprio nel periodo in cui egli stava lavorando alla seconda relazione nella quale doveva indicare le ragioni del fallimento della Banca che consegnò all’autorità giudiziaria l’8 maggio 1978.
Nel frattempo la Corte di Appello di Milano dichiarò lo stato d'insolvenza della BPI e la Corte di Cassazione respinse un’istanza di sospensione del processo penale, avanzata da Sindona.
    Nel 1978 l’avvocato di Sindona scrisse sulla sua agenda “Sbarrare strada ad Ambrosoli.”
Il 10 dicembre Ambrosoli fu a New York, per collaborare con i giudici americani, che nel frattempo stavano cercando prove per l’istruzione del processo sul dissesto della Franklin National Bank.
Fra il settembre e l’ottobre del 1978 Sindona, conscio di non essere riuscito a salvare il suo impero e preoccupato dall’atteggiamento rigoroso di Ambrosoli decidette di chiedere aiuto alla mafia italoamericana.


=== Le minacce ===
Ambrosoli non ricevette più altre telefonate da parte di quell’uomo siciliano, che parlava per conto del “grande capo”. “''Sindona?''” chiese Ambrosoli durante una conversazione “'''''No, Giulio Andreotti'''''” rispose il siciliano.<ref>[https://www.youtube.com/watch?v=EDhNvAQ9Dbk Su youtube la registrazione di alcune telefonate]</ref>


Alla fine di dicembre cominciarono le numerose telefonate minatorie da parte della mafia italoamericana attraverso colui che Ambrosoli stesso definì un “picciotto” siciliano. Otto telefonate iniziate il 28 dicembre del 1978.
Il [[13 giugno]] un commesso della BPI sul coperchio di un bidone della spazzatura trovò i pezzi di una pistola segata, una 7,65. Tipico messaggio mafioso con l’univoco significato: ti faremo a pezzi come quella pistola. Sindona stava cercando di mettere fuori gioco Ambrosoli proprio prima dell’arrivo dei giudici americani a Milano.  
Sindona aveva deciso la morte del suo avversario.
L’ultima telefonata fu una minaccia di morte chiara e avvenne il 12 gennaio del 1978 a mezzogiorno. Questo il contenuto della telefonata finale:
Picciotto: Pronto, avvocato
Giorgio Ambrosoli: Buongiorno
P: Buon giorno. L’altro giorno ha voluto fare il furbo, ha fatto registrare tutta la telefonata!
G.A.: chi glielo ha detto?
P: eh, sono fatti miei chi me l'ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più.
G.A. : ah non mi salva più.
P: Non la salvo più, perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto! Lei è un cornuto e bastardo!   
Ambrosoli non ricevette più altre telefonate da parte di quell’uomo siciliano, che parlava per conto del “grande capo”. “Sindona?” chiese Ambrosoli durante una conversazione “No, Giulio Andreotti” rispose il siciliano. <ref> Registrazione di alcune telefonate: https://www.youtube.com/watch?v=EDhNvAQ9Dbk </ref>
Il 13 giugno un commesso della BPI sul coperchio di un bidone della spazzatura trovò i pezzi di una pistola segata, una 7,65. Tipico messaggio mafioso con l’univoco significato: ti faremo a pezzi come quella pistola.  
Sindona stava cercando di mettere fuori gioco Ambrosoli proprio prima dell’arrivo dei giudici americani a Milano.  


=== L’omicidio ===
=== L’omicidio ===
La mattina dell’8 luglio 1979 i giudici americani arrivarono a Milano per la rogatoria di fronte al giudice istruttore Giovanni Galati. Nel suo studio s'incontrarono i giudici americani e magistrati italiani insieme agli avvocati di Sindona e Giorgio Ambrosoli.  
La mattina dell’[[8 luglio]] 1979 i giudici americani arrivarono a Milano per la rogatoria di fronte al giudice istruttore Giovanni Galati. Nel suo studio s'incontrarono i giudici americani e i magistrati italiani insieme agli avvocati di Sindona e Giorgio Ambrosoli. La seconda udienza si tenne la mattina del [[10 luglio]], mentre la terza mercoledì [[11 luglio]] 1979.  
La seconda udienza si tenne la mattina del 10 luglio, mentre la terza mercoledì 11 luglio 1979.  
 
La rogatoria era terminata, manca solo la firma. Il processo della Franklin National Bank era avviato e la procedura di estradizione era ormai sulla buona strada. ( estradizione chiesta il 24 febbraio del 1975 e concessa solamente il 25 marzo del 1980.)  
[[File:Attentato ambrosoli.jpeg|300px|thumb|left|Luogo dell'omicidio di Ambrosoli]]
L’omicidio di Ambrosoli avvenne la notte dell’11 luglio 1979.
 
William J.Arico, assoldato da Sindona nell’autunno del 1978 per togliere la vita ad Ambrosoli, atterrò a Milano l’8 luglio 1979. Si recò all’Hotel Splendido sotto falso nome: Robert McGovern.
La rogatoria era terminata, mancava solo la firma. Il processo della Franklin National Bank era avviato e la procedura di estradizione era ormai sulla buona strada (anche se, richiesta il 24 febbraio 1975 fu concessa solamente il 25 marzo 1980)
La mattina dell’11 luglio noleggiò una Fiat rossa 127, targata Roma T42711.  
 
La sera dell’11 luglio Ambrosoli, dopo una serata trascorsa con vecchi amici, era sull’uscio di casa. Venne avvicinato da Arico, sceso dalla Fiat rossa, il quale gli chiese in italiano: “Il signor Ambrosoli?” e Giorgio: “Sì”. E di nuovo Arico: “Mi scusi signor Ambrosoli” e gli sparò tre colpi al petto con una Magnum 357. <ref> Deposizione di Arico W, sentenza-ordinanza di G.Turone, processo a carico di Michele Sindona e altri, 17 luglio 1984 </ref>  
Lo stesso giorno dell'arrivo dei giudici presso l'Hotel Splendido di Milano arrivò anche tale "Robert McGovern", in realtà [[William Joseph Aricò]], assoldato con 250mila dollari da Sindona nell’autunno del 1978 per togliere la vita ad Ambrosoli. La mattina dell’11 luglio il killer noleggiò una Fiat rossa 127, targata Roma T42711.  
La vita di Ambrosoli cessò così, sul passo carraio di casa sua.
 
William Arico ripartì la mattina dopo per gli Stati Uniti.
La sera dell’11 luglio Ambrosoli, dopo una serata trascorsa con vecchi amici, era sull’uscio di casa. Venne avvicinato da Aricò, sceso dalla Fiat rossa, il quale gli chiese in italiano: “"Il signor Ambrosoli?"” e Giorgio: “"Sì"”. Prima di sparare tre colpi di pistola al pett con una Magnum 357 il killer disse “''Mi scusi signor Ambrosoli''”<ref> Deposizione di Aricò, sentenza-ordinanza di G.Turone, processo a carico di Michele Sindona e altri, 17 luglio 1984 </ref>  
Il funerale di Giorgio Ambrosoli si celebrò il 14 luglio 1979 nella chiesa di San Vittore a Milano. Nessuna autorità di governo era presente. Presenti invece il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e numerosi magistrati milanesi.
 
La vita di Ambrosoli cessò così, sul passo carraio di casa sua. Aricò ripartì la mattina dopo per gli Stati Uniti. Il funerale di Giorgio Ambrosoli si celebrò il [[14 luglio]] 1979 nella chiesa di San Vittore a Milano. Nessuna autorità di governo fu presente. Presenti invece il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e il futuro Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, oltre a numerosi magistrati milanesi.


===La condanna di Sindona e la sua morte===
== Il processo, la condanna di Sindona e la sua morte==
Il 3 agosto del 1979 Sindona scomparve da New York improvvisamente. Si ritenne che fosse stato rapito da terroristi di estrema sinistra che avevano come scopo quello di raccogliere informazioni sulle operazioni finanziarie illecite, sul suo rapporto con uomini politici e sull’omicidio Ambrosoli. Sindona ricomparve a New York il 16 ottobre , dove venne immediatamente arrestato per il fallimento della Franklin. Lo stesso banchiere confessò che egli aveva lasciato volontariamente gli Stati Uniti ed era giunto in Sicilia, simulando il proprio rapimento con l’aiuto di esponenti mafiosi italoamericani e siciliani.
Il [[3 agosto]] Sindona scomparve da New York improvvisamente. Inizialmente si ritenne fosse stato rapito da terroristi di estrema sinistra che avevano come scopo quello di raccogliere informazioni sulle operazioni finanziarie illecite, sul suo rapporto con uomini politici e sull’omicidio Ambrosoli. Quando ricomparve a New York, il [[16 ottobre]], fu lui stesso a confessare di aver lasciato volontariamente gli Stati Uniti ed era giunto in Sicilia, simulando il proprio rapimento con l’aiuto di esponenti mafiosi italoamericani e siciliani. Con il finto rapimento l'ex-banchiere sperava di distrarre l‘opinione pubblica dai delitti a lui attribuiti e passare da carnefice a vittima. Inoltre cercava indirettamente di minacciare uomini politici ed esponenti del mondo finanziario, a cui era stato legato.  
Sindona così facendo sperava di distrarre l‘opinione pubblica dai delitti a lui attribuiti e passare da carnefice a vittima. Inoltre cercava indirettamente di minacciare uomini politici ed esponenti del mondo finanziario, rivelando informazioni e documenti.
 
E proprio in occasione delle indagini sul finto rapimento di Sindona i magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono le liste P2 e i membri della loggia massonica, di cui anche Sindona faceva parte.
Fatto particolarmente rilevante è che fu proprio in occasione delle indagini sul finto rapimento di Sindona che i magistrati [[Giuliano Turone]] e [[Gherardo Colombo]] scoprirono le liste P2 e i membri della loggia massonica, di cui anche Sindona faceva parte. Alla fine del [[1980]] Sindona fu condannato a 25 anni di reclusione per il fallimento della Frankiln National Bank. Dopo la condanna, gli USA concedettero l’estradizione di Sindona in Italia sia per il fallimento della BPI sia per l’omicidio Ambrosoli.
Alla fine del 1980 Sindona fu condannato a 25 anni di reclusione per il fallimento della Frankiln National Bank.  
 
Gli Stati Uniti concedettero l’estradizione di Sindona in Italia sia per il fallimento della BPI sia per l’omicidio Ambrosoli.
Nei primi mesi del [[1985]] Sindona fu processato e condannato a 15 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, mentre il [[4 giugno]] iniziò il dibattimento del processo per l’omicidio di Ambrosoli, che si concluse il [[18 marzo]] [[1986]] con la condanna dell’esecutore materiale e di Sindona alla pena dell’ergastolo.
Nei primi mesi del 1985 Sindona fu processato e condannato per i reati di bancarotta fraudolenta: 15 anni di reclusione.
 
Il 4 giugno del 1985 iniziò il dibattimento per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, che si concluse con la condanna dell’esecutore materiale e di Sindona alla pena dell’ergastolo il 18 marzo del 1986.
Tre giorni dopo la sentenza, Michele Sindona morì nel carcere di Voghera a causa di un caffè avvelenato con il cianuro di potassio; le successive indagini appurarono che si trattò di un suicidio. La tesi dell'omicidio non trovò prove sufficienti per essere sostenuta.
Solo tre giorni dopo la sentenza, Michele Sindona morì nel carcere di Voghera a causa di un caffè avvelenato con il cianuro di potassio. Le successive indagini appurarono che si trattò di un suicidio.  
 
== Le polemiche sulla frase di Andreotti, nel 2010 ==
L'[[8 settembre]] [[2010]] andò in onda una puntata de "La Storia siamo noi", condotto da Gianni Minoli, nella quale il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti alla domanda sul perché fosse stato ucciso Ambrosoli rispose: "''Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi 'se l'andava cercando'"''.
 
A seguito delle polemiche politiche che seguirono, in una nota il senatore a vita precisava: "''Sono molto dispiaciuto che una mia espressione in gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli". Con quel "se l'andava cercando" intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto''".
 
== Onorificenze ==
Il [[12 luglio]] [[1999] Giorgio Ambrosoli ricevette la '''Medaglia d'oro al valor Civile''' con la seguente motivazione:
 
«''Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all'estremo sacrificio''.»


== Per saperne di più ==
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==Note==
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Versione delle 15:22, 17 mar 2017

È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.[1]
(Giorgio Ambrosoli)

Giorgio Ambrosoli (Milano, 17 ottobre 1933 – Milano, 11 luglio 1979) è stato un avvocato italiano. Fu assassinato da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività Ambrosoli stava indagando, nell'ambito dell'incarico di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.

Giorgio Ambrosoli


Biografia

Infanzia e adolescenza

Figlio primogenito di Omero Riccardo e Piera Agostoni, Giorgio Ambrosoli nacque a Milano in via Paolo Giovio e frequentò le scuole elementari in via Crocefisso fino al 1943, quando la famiglia fu sfollata a Ronco di Ghiffia, sul Lago Maggiore, a causa dei bombardamenti. Qui Ambrosoli frequentò elementari e medie, mentre continuò gli studi al Liceo Classico Manzoni a Milano, dove non si distinse per lo studio e fu anche costretto a ripetere l'anno della maturità. Nell'anno accademico 1952-53 Giorgio s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza e negli stessi anni s’impegnò attivamente nell’Unione monarchica Italiana, partito politico italiano volto a instaurare in Italia la monarchia costituzionale. Qui conobbe la sua futura moglie Anna Lorenza Goria, che sposò nel 1962 nella chiesa di San Babila e con la quale ebbe tre figli: Francesca, Filippo e Umberto.

Nel 1958 si laureò con una tesi in Diritto Costituzionale dal titolo “il Consiglio Superiore della Magistratura”. Subito dopo iniziò la pratica forense, diventando procuratore ed esercitando la professione legale nello studio dell’avvocato Cetti Serbelloni. Nel 1964 Ambrosoli ebbe l’occasione di specializzarsi nel settore del diritto societario e fallimentare, essendo stato chiamato a collaborare con i commissari liquidatori della Società Finanziaria Italiana. Tale collaborazione durò diversi anni, durante i quali Giorgio maturò qualità professionali ma anche umane, tra cui un profondo senso di giustizia.

La nomina a commissario liquidatore della Banca Privata Italiana

Il 27 settembre 1974, dieci anni dopo la vicenda SFI, Ambrosoli fu nominato dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli[2] commissario liquidatore unico della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, nata il 1° agosto dello stesso anno dalla fusione tra la Banca Privata Finanziaria e la Banca Unione. Nonostante due prestiti di 100 milioni di dollari con cui il Banco di Roma (braccio operativo della Banca d'Italia) aveva acquisito il pacchetto di maggioranza della Banca Unione, il patrimonio della Banca Privata Italiana risultò inesistente e la banca nacque già sull'orlo della liquidazione coatta. Come scrissero successivamente gli ispettori di vigilanza della Banca d'Italia nei loro rapporti, il patrimonio delle due banche era stato interamente assorbito dalle perdite, coperte con numerose irregolarità amministrative. Il 24 settembre la banca fu messa in liquidazione coatta.

L'Impero di Michele Sindona, nel marzo 1974; riadattamento dal Corriere della Sera del 9 ottobre 1974

L’8 ottobre 1974 anche la Franklin National Bank, che Sindona aveva acquistato nel 1972, fu dichiarata fallita. Come ebbe modo di accertare la Commissione Parlamentare d'Inchiesta[3], Sindona si servì in primo luogo del deposito bancario di denaro, facendo apparire ingenti somme di denaro sotto forma di deposito in valuta straniera che in realtà non erano liquide ma immobilizzate presso banche estere del suo stesso gruppo; in seconda battuta, utilizzò il classico espediente delle cosiddette “scatole cinesi”, con il quale controllava più società a fronte di un investimento di capitale minore rispetto al valore reale delle società controllanti.

Il lavoro da commissario liquidatore

Come commissario liquidatore, Ambrosoli aveva il compito di accertare lo stato d'insolvenza, lo stato passivo e il piano di riparto tra i creditori. Nel fare ciò fu aiutato da una squadra di polizia tributaria della Guardia di Finanza e in particolare dal maresciallo Silvio Novembre con il quale intrattenne non soltanto un rapporto di natura professionale ma anche una vera e profonda amicizia. Il processo fu invece affidato al giudice istruttore Ovilio Urbisci e al pubblico ministero Guido Viola.

In ottobre Ambrosoli accertò che le perdite erano di 207 miliardi, dichiarò lo stato d’insolvenza e l’avvio dell’azione penale. Cinque mesi dopo, il 25 febbraio del 1975 Ambrosoli era pronto per il deposito dello stato passivo della Bpi: 531 miliardi, di cui 417 al passivo e 281 all'attivo tra crediti, immobili, partecipazioni azionarie. Escluse dal rimborso lo Ior, la banca del Vaticano, e tutte le banche e società direttamente o indirettamente legate al gruppo Sindona.

La lettera alla moglie Anna

Il giorno stesso del deposito dello stato passivo, Ambrosoli scrisse alla moglie Anna una lettera, dalle cui parole poi il figlio Umberto ricavò il titolo del suo libro[4]:

«Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese.

Ricordi i giorni dell'Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie.

Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [...] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi [...]

Giorgio»

Presidente Fasco e l'offensiva di Sindona

Sempre nell'ottobre del 1975 Ambrosoli ricevette una comunicazione dalla Finanbank di Ginevra: erano in deposito nella banca numerose azioni della Fasco. Il deposito era intestato alla Banca Privata Finanziaria. Il 10 ottobre Ambrosoli andò a Ginevra ed essendo commissario liquidatore (incarico che lo legittima a operare) indisse come azionista di maggioranza un’assemblea straordinaria della società, facendo cadere i vecchi amministratori e nominandone di nuovi; alla fine della riunione Ambrosoli fu nominato nuovo presidente della Fasco.

Fu in quel momento che venne a conoscenza del sistema delle scatole cinesi ideato da Sindona, con le 300 società "matrioske". Sindona per tutta risposta denunciò Ambrosoli, accusandolo di essersi indebitamente impossessato della azioni Fasco, denuncia poi archiviata il 15 giugno dello stesso anno.

Dal 1976 in avanti il caso Sindona destò l’interesse dell'opinione pubblica e di diversi personalità politiche di spicco, tra cui l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il famoso capo della Loggia massonica P2, Licio Gelli. Come venne dimostrato successivamente, diversi alti esponenti delle forze politiche e del mondo della finanza appoggiarono Sindona e il suo piano di salvataggio della banca per addossare le perdite sui contribuenti.

L'offensiva sindoniana partì tra la fine dell’estate e l’inizio di autunno 1976: scomodando le già citate personalità politiche insieme ad un gruppo di personaggi del mondo finanziario e della comunità italoamericana a New York, portò avanti la tesi della sua persecuzione politica in quanto "banchiere anticomunista" utilizzando decine di "affidavit" (dichiarazioni giurate), al fine di bloccare l'estradizione in Italia richiesta dai giudici.

In un clima rovente la liquidazione della Banca Privata Italiana andò avanti con difficoltà, ma questo non scoraggiò Ambrosoli, che nel 1977 aumentò l'intensità della propria azione, lavorando alla seconda relazione nella quale avrebbe indicato le ragioni del fallimento della banca, poi consegnata all'autorità giudiziaria l'8 maggio 1978. Nel frattempo la Corte di Appello di Milano dichiarò lo stato d'insolvenza della BPI e la Corte di Cassazione respinse un'istanza di sospensione del processo penale avanzata da Sindona. In quei giorni l’avvocato dell'ex-banchiere scrisse sulla sua agenda “Sbarrare strada ad Ambrosoli.”

Il 10 dicembre Ambrosoli volò a New York per collaborare con i giudici americani che nel frattempo stavano cercando prove per l’istruzione del processo sul dissesto della Franklin National Bank. Nel frattempo, Sindona decise di rivolgersi alla mafia italoamericana, capendo di avere poche chance con la strategia condotta fino a quel momento.

Le minacce di morte

Il 28 dicembre 1978 Ambrosoli ricevette la prima di otto telefonate minatorie da parte di quello che lui stesso definì un "picciotto", per via del suo accento siciliano[5]. Come venne accertato in fase processuale, l'autore delle telefonate anonime era il massone Giacomo Vitale, cognato del boss di Cosa Nostra Stefano Bontate.

Nell'ultima telefonata del 12 gennaio, a mezzogiorno, Ambrosoli ricevette una minaccia di morte esplicita:

  • Giacomo Vitale: Pronto, avvocato
  • Giorgio Ambrosoli: Buongiorno
  • V: Buon giorno. L’altro giorno ha voluto fare il furbo, ha fatto registrare tutta la telefonata!
  • A: chi glielo ha detto?
  • V: eh, sono fatti miei chi me l'ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più.
  • A: ah non mi salva più.
  • V: Non la salvo più, perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto! Lei è un cornuto e bastardo!

Ambrosoli non ricevette più altre telefonate da parte di quell’uomo siciliano, che parlava per conto del “grande capo”. “Sindona?” chiese Ambrosoli durante una conversazione “No, Giulio Andreotti” rispose il siciliano.[6]

Il 13 giugno un commesso della BPI sul coperchio di un bidone della spazzatura trovò i pezzi di una pistola segata, una 7,65. Tipico messaggio mafioso con l’univoco significato: ti faremo a pezzi come quella pistola. Sindona stava cercando di mettere fuori gioco Ambrosoli proprio prima dell’arrivo dei giudici americani a Milano.

L’omicidio

La mattina dell’8 luglio 1979 i giudici americani arrivarono a Milano per la rogatoria di fronte al giudice istruttore Giovanni Galati. Nel suo studio s'incontrarono i giudici americani e i magistrati italiani insieme agli avvocati di Sindona e Giorgio Ambrosoli. La seconda udienza si tenne la mattina del 10 luglio, mentre la terza mercoledì 11 luglio 1979.

Luogo dell'omicidio di Ambrosoli

La rogatoria era terminata, mancava solo la firma. Il processo della Franklin National Bank era avviato e la procedura di estradizione era ormai sulla buona strada (anche se, richiesta il 24 febbraio 1975 fu concessa solamente il 25 marzo 1980)

Lo stesso giorno dell'arrivo dei giudici presso l'Hotel Splendido di Milano arrivò anche tale "Robert McGovern", in realtà William Joseph Aricò, assoldato con 250mila dollari da Sindona nell’autunno del 1978 per togliere la vita ad Ambrosoli. La mattina dell’11 luglio il killer noleggiò una Fiat rossa 127, targata Roma T42711.

La sera dell’11 luglio Ambrosoli, dopo una serata trascorsa con vecchi amici, era sull’uscio di casa. Venne avvicinato da Aricò, sceso dalla Fiat rossa, il quale gli chiese in italiano: “"Il signor Ambrosoli?"” e Giorgio: “"Sì"”. Prima di sparare tre colpi di pistola al pett con una Magnum 357 il killer disse “Mi scusi signor Ambrosoli[7]

La vita di Ambrosoli cessò così, sul passo carraio di casa sua. Aricò ripartì la mattina dopo per gli Stati Uniti. Il funerale di Giorgio Ambrosoli si celebrò il 14 luglio 1979 nella chiesa di San Vittore a Milano. Nessuna autorità di governo fu presente. Presenti invece il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e il futuro Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, oltre a numerosi magistrati milanesi.

Il processo, la condanna di Sindona e la sua morte

Il 3 agosto Sindona scomparve da New York improvvisamente. Inizialmente si ritenne fosse stato rapito da terroristi di estrema sinistra che avevano come scopo quello di raccogliere informazioni sulle operazioni finanziarie illecite, sul suo rapporto con uomini politici e sull’omicidio Ambrosoli. Quando ricomparve a New York, il 16 ottobre, fu lui stesso a confessare di aver lasciato volontariamente gli Stati Uniti ed era giunto in Sicilia, simulando il proprio rapimento con l’aiuto di esponenti mafiosi italoamericani e siciliani. Con il finto rapimento l'ex-banchiere sperava di distrarre l‘opinione pubblica dai delitti a lui attribuiti e passare da carnefice a vittima. Inoltre cercava indirettamente di minacciare uomini politici ed esponenti del mondo finanziario, a cui era stato legato.

Fatto particolarmente rilevante è che fu proprio in occasione delle indagini sul finto rapimento di Sindona che i magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono le liste P2 e i membri della loggia massonica, di cui anche Sindona faceva parte. Alla fine del 1980 Sindona fu condannato a 25 anni di reclusione per il fallimento della Frankiln National Bank. Dopo la condanna, gli USA concedettero l’estradizione di Sindona in Italia sia per il fallimento della BPI sia per l’omicidio Ambrosoli.

Nei primi mesi del 1985 Sindona fu processato e condannato a 15 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, mentre il 4 giugno iniziò il dibattimento del processo per l’omicidio di Ambrosoli, che si concluse il 18 marzo 1986 con la condanna dell’esecutore materiale e di Sindona alla pena dell’ergastolo.

Tre giorni dopo la sentenza, Michele Sindona morì nel carcere di Voghera a causa di un caffè avvelenato con il cianuro di potassio; le successive indagini appurarono che si trattò di un suicidio. La tesi dell'omicidio non trovò prove sufficienti per essere sostenuta.

Le polemiche sulla frase di Andreotti, nel 2010

L'8 settembre 2010 andò in onda una puntata de "La Storia siamo noi", condotto da Gianni Minoli, nella quale il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti alla domanda sul perché fosse stato ucciso Ambrosoli rispose: "Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi 'se l'andava cercando'".

A seguito delle polemiche politiche che seguirono, in una nota il senatore a vita precisava: "Sono molto dispiaciuto che una mia espressione in gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli". Con quel "se l'andava cercando" intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto".

Onorificenze

Il 12 luglio [[1999] Giorgio Ambrosoli ricevette la Medaglia d'oro al valor Civile con la seguente motivazione:

«Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all'estremo sacrificio

Per saperne di più

Libri

  • Corrado Stajano, Un eroe borghese, Milano, il Saggiatore, 2016
  • Umberto Ambrosoli, Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009

Cinema

  • Un eroe borghese di Michele Placido, 1995.

Televisione

  • Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli, una storia vera di Alberto Nergrin, 2014.

Bibliografia

Note

  1. Stajano C., Un eroe borghese, il Saggiatore, 2016 p.100
  2. Decreto del ministro del Tesoro del 27 settembre 1974
  3. Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative a essa eventualmente connesse, VIII legislatura, Doc. XXIII, n. 2-sexies, 24 marzo 1982, Relazione conclusiva Azzaro Giuseppe
  4. Ambrosoli U., Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009
  5. La Repubblica, Cuccia tacque, Ambrosoli no, erano diversi, 10 dicembre 1985.
  6. Su youtube la registrazione di alcune telefonate
  7. Deposizione di Aricò, sentenza-ordinanza di G.Turone, processo a carico di Michele Sindona e altri, 17 luglio 1984