Operazione Isola: differenze tra le versioni

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L''''Operazione Isola''' è un'inchiesta della DDA di Milano sull'attività della [['ndrangheta]] crotonese in Lombardia, la cui attività investigativa venne condotta tra l'ottobre [[2004]] e il maggio [[2007]] dalla Compagnia dei Carabinieri di Sesto San Giovanni (MI). L'operazione, scattata il [[16 marzo]] [[2009]], portò all'iscrizione nel registro degli indagati di 31 persone e a 22 richieste di custodia cautelare per vari reati, tra cui associazione mafiosa, detenzione e porto illegale di armi da guerra e comuni da sparo, tentato omicidio, estorsione, violazione dei provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa, nonché concessione in subappalto, senza autorizzazione, di opere riguardanti la pubblica amministrazione.
L''''Operazione Isola''' è un'inchiesta della DDA di Milano sull'attività della [['Ndrangheta|'ndrangheta]] crotonese in Lombardia, la cui attività investigativa venne condotta tra l'ottobre [[2004]] e il maggio [[2007]] dalla Compagnia dei Carabinieri di Sesto San Giovanni (MI). L'operazione, scattata il [[16 marzo]] [[2009]], portò all'iscrizione nel registro degli indagati di 31 persone e a 22 richieste di custodia cautelare per vari reati, tra cui associazione mafiosa, detenzione e porto illegale di armi da guerra e comuni da sparo, tentato omicidio, estorsione, violazione dei provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa, nonché concessione in subappalto, senza autorizzazione, di opere riguardanti la pubblica amministrazione.


Gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Milano, Taranto, Crotone e Catanzaro. Nel corso dell'operazione è stata data esecuzione a 18 decreti di perquisizione a carico di altri indagati a vario titolo coinvolti nell'indagine, presso domicili e sedi di imprese in provincia di Milano, Como, La Spezia, Bergamo e Alessandria.  
Gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Milano, Taranto, Crotone e Catanzaro. Nel corso dell'operazione è stata data esecuzione a 18 decreti di perquisizione a carico di altri indagati a vario titolo coinvolti nell'indagine, presso domicili e sedi di imprese in provincia di Milano, Como, La Spezia, Bergamo e Alessandria.  

Versione delle 00:39, 25 nov 2015


L'Operazione Isola è un'inchiesta della DDA di Milano sull'attività della 'ndrangheta crotonese in Lombardia, la cui attività investigativa venne condotta tra l'ottobre 2004 e il maggio 2007 dalla Compagnia dei Carabinieri di Sesto San Giovanni (MI). L'operazione, scattata il 16 marzo 2009, portò all'iscrizione nel registro degli indagati di 31 persone e a 22 richieste di custodia cautelare per vari reati, tra cui associazione mafiosa, detenzione e porto illegale di armi da guerra e comuni da sparo, tentato omicidio, estorsione, violazione dei provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa, nonché concessione in subappalto, senza autorizzazione, di opere riguardanti la pubblica amministrazione.

Gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Milano, Taranto, Crotone e Catanzaro. Nel corso dell'operazione è stata data esecuzione a 18 decreti di perquisizione a carico di altri indagati a vario titolo coinvolti nell'indagine, presso domicili e sedi di imprese in provincia di Milano, Como, La Spezia, Bergamo e Alessandria.

Antefatti

Nel corso della notte tra il 3 e il 4 ottobre 2004 vennero esplosi quattro colpi di arma da fuoco contro la facciata di una casa di via Eugenio Curiel 29, a Cologno Monzese, mentre uno colpì la fiancata della Mercedes ML 400 di proprietà di Marcello Paparo, figlio di Domenico Paparo detto Micu, parcheggiata lì di fronte. I Carabinieri sospettarono sin da subito si trattasse di una ritorsione nei confronti di Paparo, cosa che venne confermata dalle indagini successive. Era in corso infatti la faida tra gli Arena e i Nicoscia a Isola Capo Rizzuto e lo stesso Paparo temeva per la sua vita, tanto da girare armato.

L'arresto di Marcello Paparo

Il 17 febbraio 2005 Marcello Paparo venne arrestato dai Carabinieri di Sesto San Giovanni durante un controllo stradale, in via San Maurizio Al Lambro di Cologno Monzese (MI). Paparo venne trovato in possesso di una pistola semiautomatica marca “Beretta” mod. 81 cal. 7.65, che risultava rubata.

Le successive perquisizioni negli immobili di sua proprietà, in particolare quello di via Mazzini 1 a Carugate (Mi), portarono anche al sequestro di un revolver mod. 357 Magnum con matricola abrasa, 3 passamontagna, una rilevante somma di denaro e una chiave relativa ad una cassetta di sicurezza della Banca San Paolo IMI di Vimercate, all’interno della quale i Carabinieri trovarono circa 125mila euro in contanti e numerosa documentazione riguardante la società "Immobiliare Caterina"[1].

Le intercettazioni telefoniche e ambientali disposte dagli inquirenti dimostrarono che le armi sequestrate a Paparo il giorno dell'arresto non erano le uniche in suo possesso e che lo stesso era al centro di una fitta rete di rapporti personali ed economici leciti ed illeciti nei quali era sostenuto e aiutato da altri membri della famiglia, in particolare dalla figlia Luana, dal fratello Romualdo e da alcuni esponenti della 'ndrina Nicoscia.

Il pestaggio di Nicola Padulano

Il 15 settembre 2006 Nicola Padulano, dipendente della cooperativa Coop. Service Time di Brugherio, fu vittima di un pestaggio che gli procurò una frattura cranica e fratture multiple al volto e alla gamba destra, con ricovero in ospedale in prognosi riservata. Padulano svolgeva attività sindacale all'interno della cooperativa, che si occupava del facchinaggio per conto della SMA di Segrate, promuovendo azioni a tutela dei lavoratori che risultavano sgradite alla dirigenza che si era lamentata con Paparo.

Il pestaggio, come rivelarono le intercettazioni ambientali, venne ordinato da Marcello Paparo con la mediazione di Michele Ciulla, mentre l'esecutore materiale fu Mohamed Hassan Amhed Zeir.

Il subappalto nei cantieri dell'Alta Velocità Milano-Venezia

Gli inquirenti accertarono anche che tra maggio e luglio 2006 erano stati subappaltati “in nero” lavori di movimento terra nei cantieri dell'Alta Velocità, in aperta violazione delle norme di legge, alla società “P. & P. srl” dei Paparo, da parte della società "Locatelli Geom.Gabriele S.p.a.", subappaltatrice della "De Lieto Costruzioni Generali S.p.a." per la realizzazione di lavori ed opere civili, armamento, riambientalizzazione e mitigazione ambientale della tratta Pioltello-Pozzuolo Martesana. La De Lieto era a sua volta titolare dell’appalto stipulato con le Ferrovie dello Stato per il quadruplicamento della linea ferroviaria Milano-Venezia per conto della concessionaria "Italferr S.p.a."[2]

A seguito di un'ispezione nel cantiere di Melzo, la Locatelli, attraverso il geometra Nicola Scipione, decise di mascherare il lavoro della P&P con un contratto di nolo a caldo retrodatato al 9 gennaio 2004, non registrato, compatibile con la normativa antimafia. Anche la De Lieto era a conoscenza di questo escamotage e, anzi, suggerì accorgimenti su come far proseguire i lavori ai Paparo.[3]

La normativa antimafia dell'epoca infatti prevedeva (e prevede tuttora) il divieto di subappalto di opere ricevute in subappalto (il cosiddetto «subappalto a cascata»), ad eccezione della posa in opera di alcuni impianti, strutture e opere speciali (impianti trasportatori, ascensori, scale mobili, di sollevamento e trasporto, impianti pneumatici e antintrusione, strutture ed elementi prefabbricati), che comunque sono soggetti alle medesime autorizzazioni previste per i subappalti diretti.

Ytaka e la logistica nei supermercati SMA

I lavori per la A4 e il sistema centralizzato per la spartizione degli appalti

Il processo

Il 19 febbraio 2010 il gup Giuseppe Vanore rinviò a giudizio Marcello Paparo e altri 13 tra gli indagati per i reati contestati nell'ordinanza di custodia cautelare, mentre prosciolse dall'accusa di detenzione di armi Pasquale Manfredi. Nei confronti degli altri indagati giudicati con rito abbreviato, il gup emise due sentenze di condanna a 4 anni e 8 mesi per associazione mafiosa nei confronti di Sergio Paparo e Francesco Tallarico (i pm ne avevano chiesti solo 4), mentre assolse Salvatore e Antonio Nicoscia, Antonio Gualtieri, Raffaele e Antonio Bubbo. Nel corso dell'udienza preliminare si costituì parte civile l'azienda di grande distribuzione Sma di Segrate.

Il processo si aprì il 29 aprile presso il Tribunale di Monza, con imputati:

  • Marcello Paparo
  • Luana Paparo
  • Romualdo Paparo
  • Salvatore Paparo
  • Domenico Paparo
  • Vincenzo Paparo
  • Michele Ciulla
  • Mirko Sala
  • Carmelo Verterame
  • Carmelo La Porta
  • Nicola Scipione
  • Roberto Tadolti
  • Giovanni Pizzigoni
  • Raffaele Papale

Contro i Paparo testimoniò durante il processo Domenico Nista, divenuto collaboratore di giustizia. Il 10 maggio 2012 il fratello Giuseppe venne ucciso a colpi di pistola in pieno centro storico a Vimodrone.

La sentenza di primo grado

Il 23 febbraio 2011 il tribunale di Monza condannò gli imputati per gli altri reati contestati, ma non per associazione mafiosa. In particolare, Marcello Paparo venne condannato a sei anni di reclusione per possesso di armi, per aver ordinato il pestaggio di Nicola Padulano, mentre le due accuse di tentato omicidio caddero durante il dibattimento.[4]

Ulteriori gradi di giudizio

Primo Appello

Il 18 maggio 2012 la Corte d'Appello di Milano confermò invece la sussistenza del reato di associazione mafiosa per sei degli imputati, condannando a 12 anni e 7 mesi Marcello Paparo, a 4 anni e 8 mesi sua figlia Luana, a 10 anni 2 mesi suo fratello Romualdo, a 7 anni Carmelo La Porta, a 7 anni e 9 mesi Salvatore Paparo e a 6 anni e 4 mesi Michele Ciulla.[5]

La Corte d’appello ritenne provata l’esistenza della ’ndrina dei Paparo, strutturata su legami familiari e al centro di una serie di cooperative e attività apparentemente legali, che si traducevano in condotte finalizzate, per un verso, a sfruttare le sinergie criminali e i rapporti di cointeressenza conseguenti alla presenza di cosche «amiche» nel settore del movimento terra, e, per altro verso, a sottomettere al proprio interesse gli interlocutori dell’attività imprenditoriale svolta nell’ambito della logistica, mediante i metodi dell’intimidazione e del controllo illegale delle attività economiche.

Secondo la Corte, la forza dell’associazione era tale da imporre i Paparo agli operatori economici del settore delle opere pubbliche, in particolare di quelle relative alla realizzazione del raddoppio della linea ferroviaria Milano-Venezia dell'Alta velocità e della quarta corsia dell’Autostrada A4, nelle tratte dell’hinterland milanese e in Lombardia. L’inserimento in queste opere avvenne mediante l’assegnazione di subappalti per il movimento e il trasporto terra, eseguiti secondo il sistema e le regole di spartizione della ’ndrangheta.

Il sodalizio era altresì finalizzato all’acquisizione di appalti privati nel settore della logistica – facchinaggio, trasporto e pulizie – e anche in tali appalti i Paparo si avvalevano della forza intimidatrice del vincolo associativo, della condizione di assoggettamento e di omertà delle vittime, realizzate, oltre che mediante le modalità suddette, anche con il sistematico ricorso all’uso di violenza e minaccia, che erano culminate in gravissimi delitti contro le persone, le cose e le aziende concorrenti.

La Corte d'Appello sostenne inoltre che «si tratta, all’evidenza, di nuove e più evolute forme comportamentali di adattamento e di «mimetizzazione» rispetto alla storica iconografia di mafia, sì che a nulla rileva il fatto, semmai ricercato dall’attuale «mafia imprenditrice», che nessuno, tra le forze dell’ordine o i collaboratori di giustizia che hanno ricostruito le vicende delle cosche storiche, conoscesse la ’ndrina dei Paparo o che nulla risulti in merito a una formale affiliazione di Marcello Paparo alla ’ndrangheta, tanto più che le indagini a suo carico iniziavano solo nel mese di ottobre 2004, a seguito dell’attentato subito»[6].

Cassazione

Il 22 ottobre 2013 la Cassazione annullò con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Milano, ordinando un nuovo processo d'appello per quanto riguarda il reato di associazione mafiosa, confermando invece le condanne per i “reati fine“, tra i quali detenzione illegale di armi, lesioni aggravate e violenza privata.[7]


Bibliografia

  • Commissione Parlamentare Antimafia, Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Lombardia, Roma, 12 dicembre 2012
  • Caterina Interlandi, Ordinanza di custodia cautelare in carcere - Procedimento Penale n. 10354/05 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 3 marzo 2009

Note

  1. Caterina Interlandi, Ordinanza di custodia cautelare in carcere - Procedimento Penale n. 10354/05 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio GIP, 3 marzo 2009, p. 22
  2. ibidem, p.79 e ss.
  3. ibidem, p.93 e ss.
  4. Mario Portanova, La ‘ndrangheta investe nella tav al Nord? Il giudice dice no e toglie l’associazione mafiosa, Il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2011
  5. Mario Portanova, Tav e logistica, la mafia c’era. A Milano condanne per 416 bis al clan Paparo, Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2012
  6. citato in Commissione Parlamentare Antimafia, Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Lombardia, Roma, 12 dicembre 2012, p.75
  7. Mario Portanova, ‘Ndrangheta in Lombardia, cade in Cassazione un altro processo per mafia, Il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2013