Lea Garofalo: differenze tra le versioni

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L'omicidio si consumò intorno alle 19.10, in un appartamento di piazza Prealpi 2 a Milano, di proprietà della nonna di un amico dei Cosco. Il corpo di Lea Garofalo venne poi trasportato su un terreno a San Fruttuoso e lì distrutto.
L'omicidio si consumò intorno alle 19.10, in un appartamento di piazza Prealpi 2 a Milano, di proprietà della nonna di un amico dei Cosco. Il corpo di Lea Garofalo venne poi trasportato su un terreno a San Fruttuoso e lì distrutto.


=== I funerali ===
== Processi ==
[[File:Funerali lea garofalo.jpg|200px|thumb|right|Lea Garofalo]]
I processi per l'omicidio di Lea Garofalo sono nati grazie a sua figlia Denise. La sera stessa dell'omicidio, infatti, madre e figlia sarebbero dovute rientrare in Calabria e quando Denise vide che la madre non tornava, intuì che le potesse essere successo qualcosa di tragico. La figlia chiese al padre di accompagnarla nei luoghi da loro frequentati in quei giorni alla ricerca della madre, si recarono anche dai carabinieri, che però non poterono procedere con la denuncia di scomparsa, non essendo passate le canoniche 24 ore. Nonostante ciò, Denise raccontò il giorno successivo la sua vita da "protetta" con la madre ai Carabinieri della caserma di via della Moscova: fu il maresciallo Persurich a raccogliere la deposizione. Denise sostenne di avere la certezza morale che la madre non fosse scomparsa (e tanto meno si fosse allontanata volontariamente come gli disse fin da subito il padre e come hanno affermato gli avvocati difensori durante il processo), ma che in realtà fosse morta. Uccisa per mano di Carlo Cosco, suo padre.
Il 19 ottobre 2013, sulla piazza Beccaria, tremila persone danno l'estremo saluto a Lea Garofalo. I funerali civili vengono seguiti in diretta da «Rainews 24» e tutte le testate nazionali si occupano della storia di Lea e Denise. Finalmente alla vicenda, per mesi passata sotto silenzio, viene dato il giusto risalto. Momenti di grande commozione, canzoni, ricordi, e la voce di Denise che, da dietro una finestra, saluta la sua mamma, ringraziandola “perché se questo è successo, tutto questo è successo, è per il mio bene... Ciao mamma”. È lei a chiedere, lo stesso giorno della sentenza, che sua mamma sia salutata “come se fosse una festa” a Milano, che tanto si è dimostrata vicina a questa storia. I resti della giovane testimone di giustizia Lea Garofalo riposano al cimitero monumentale di Milano, perché l'amministrazione le ha riconosciuto di aver dato lustro alla città.
Il 18 ottobre 2010 scattarono le manette per Carlo Cosco e per gli altri presunti partecipanti al delitto.<ref>[http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/10_ottobre_18/donna-sciolta-nell-acido-1703973850029.shtml Sei arresti per la donna che denunciò la ’ndrangheta. Uccisa e sciolta nell'acido]</ref>


== Processi ==
=== Processo di 1° grado ===
=== Processo di 1° grado ===
Quella stessa sera, mamma e figlia sarebbero dovute rientrare in Calabria. Quando Denise vede che  la mamma non si presenta all'appuntamento in stazione, intuisce che sia potuto accadere qualcosa di tragico e chiede al padre di accompagnarla nei luoghi da loro frequentati in quei giorni. Dopo alcune ore si recano dai carabinieri, ma è ancora troppo presto per poter procedere con la denuncia di scomparsa. Il giorno successivo, Denise Cosco racconta gli anni di vita “protetta” suoi e di sua mamma ai Carabinieri di via Moscova: è il maresciallo Persurich a raccogliere la deposizione.
Il processo di primo grado iniziò il [[6 luglio]] 2011. Il limite del procedimento penale fu che non venne richiesta l'aggravante mafiosa (il cosiddetto ex-articolo 7): per i giudici non si poteva parlare di delitto di 'ndrangheta, quindi a Denise non venne riconosciuto lo status di familiare di vittima di mafia. Nonostante il convincimento dei giudici, Lea Garofalo viene ricordato il 21 marzo, nella Gioranta della memoria e dell'Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie, organizzata da Libera ogni anno.
Denise non era con i genitori, ma ha la certezza morale che sua madre non sia scomparsa (e men che meno che si sia allontanata volontariamente come gli disse fin da subito il padre e come affermeranno gli avvocati difensori durante il processo) ma che sia morta. Uccisa per mano di Carlo Cosco.
 
Il processo di primo grado inizia il 6 luglio 2011. Il limite del procedimento penale è che non viene richiesta l'aggravante mafiosa (il cosiddetto ex articolo 7). Non si può parlare di 'ndragheta, anche se la respira. Questo significa che a Denise non può essere riconosciuto lo status di famigliare di vittima di mafia. Ma per la società civile Lea Garofalo è una vittima di mafia, della 'ndrangheta, che viene anche ricordata il 21 marzo, Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie, organizzata da Libera ogni anno.
In sede processuale, Denise si costituì parte civile (difesa dall'avvocato Enza Rando), dichiarandosi "orgogliosa di essere contro il padre"<ref>[http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/11_luglio_6/donna-sciolta-acido-processo-1901029596471.shtml Donna sciolta nell'acido, la figlia: «Con orgoglio contro mio padre»]</ref>. La seguirono anche il comune di Milano (rappresentato dall'avvocato Maria Sala) e Marisa Garofalo e Santina Miletta, rispettivamente sorella e madre di Lea Garofalo (difese dall'avvocato Roberto D'Ippolito). Sei gli imputati: [[Carlo Cosco]], i fratelli [[Giuseppe Cosco|Giuseppe]] e [[Vito Cosco]], [[Massimo Sabatino]] (che aveva tentato di sequestrare Lea Garofalo a Campobasso il 5 maggio 2009, su commissione di Carlo Cosco), [[Carmine Venturino]] e [[Rosario Curcio]]. L'accusa era di aver sequestrato, torturato e ucciso Lea Garofalo la notte tra il 24 e il 25 novembre 2009, e di averne distrutto il cadavere in 50 litri di acido su un terreno a San Fruttuoso, quartiere di Monza.  
In sede processuale, Denise si costituisce parte civile (difesa dall'avvocato Enza Rando) così come il comune di Milano (rappresentato dall'avvocato Maria Sala) e Marisa Garofalo e Santina Miletta, rispettivamente sorella e madre di Lea Garofalo (difese dall'avvocato Roberto D'Ippolito). Sei gli imputati: Carlo Cosco, i fratelli Giuseppe e Vito Cosco, Massimo Sabatino (che tentò di sequestrare Lea Garofalo a Campobasso il 5 maggio 2009, su commissione di Carlo Cosco), Carmine Venturino e Rosario Curcio. L'accusa è di aver sequestrato, torturato e ucciso Lea Garofalo la notte tra il 24 e il 25 novembre 2009, e di averne distrutto il cadavere in 50 litri di acido su un terreno a San Fruttuoso, quartiere di Monza.  
 
L'impianto accusatorio del pubblico ministero Marcello Tatangelo si basa principalmente sulle dichiarazioni di Denise Cosco (rese ai Carabinieri prima e successivamente in tribunale, in ore e ore di deposizione) e sui dati elaborati dai tabulati telefonici, grazie al lavoro certosino dei Carabinieri.
L'impianto accusatorio del pubblico ministero Marcello Tatangelo si basava principalmente sulle dichiarazioni di Denise Cosco (rese ai Carabinieri prima e successivamente in tribunale, in ore e ore di deposizioni) e sui dati elaborati dai tabulati telefonici, grazie al lavoro certosino dei Carabinieri.
Il 23 novembre, il presidente della Corte Filippo Grisolia annuncia di aver ricevuto la nomina a Capo di Gabinetto del ministro Severino. Di conseguenza, il processo subisce un arresto, con il rischio che si arrivi alla scadenza dei termini di custodia cautelare (28 luglio 2012) senza che sia stata emessa la sentenza. Si ripartirà dopo una settimana, con un fitto calendario di udienze fissato dal neo Presidente Anna Introini.  
 
La sentenza è emessa il 30 marzo 2012. Ergastolo per tutti e sei gli imputati.  
Il 23 novembre, il presidente della Corte Filippo Grisolia annunciò di aver ricevuto la nomina a Capo di Gabinetto del ministro Severino. Di conseguenza, il processo subì un arresto, con il rischio che si arrivasse alla scadenza dei termini di custodia cautelare (28 luglio 2012) senza che fosse stata emessa la sentenza. Si ripartì dopo una settimana, con un fitto calendario di udienze fissato dal neo Presidente Anna Introini.  
 
La sentenza fu emessa il 30 marzo 2012: ergastolo per tutti e sei gli imputati.  


=== Le confessioni di Carmine Venturino e il processo di 2° grado ===
=== Le confessioni di Carmine Venturino e il processo di 2° grado ===
Nel corso dell'estate 2012, Carmine Venturino decide di collaborare con la giustizia. Ha 25 anni, e dopo l'omicidio di Lea Garofalo, Carlo Cosco l'aveva assoldato affinché controllasse Denise: l'uomo aveva infatti paura che lei tornasse dai carabinieri per nuove deposizioni. Tra i due giovani nasce una simpatia, ma nel febbraio 2010 Denise scopre la tragica verità. Anche lui, anche quel ragazzo è tra gli arrestati con l'accusa di aver ucciso la sua giovane mamma.
Nel corso dell'estate 2012, Carmine Venturino decise di collaborare con la giustizia. Il giovane venticinquenne, assoldato dopo l'omicidio di Lea Garofalo da Carlo Cosco affinché controllasse Denise per impedirle di fare ulteriori deposizioni ai Carabinieri, aveva sviluppato un forte rapporto con la ragazza, finché nel febbraio 2010 questa non scoprì che anche il giovane si trovava tra gli arrestati con l'accusa di aver ucciso la sua giovane mamma. Venturino raccontò agli inquirenti che fu proprio per merito del coraggio di Denise e dell'amore che sostenne di provare per lei che fu spinto a raccontare la verità.  
Venturino racconta agli inquirenti che è proprio per merito del coraggio di Denise e dell'amore che prova per lei che ha deciso di raccontare la verità. Il processo di appello inizia il 9 aprile 2013. Carmine Venturino racconta che è stato Carlo Cosco ad uccidere la propria ex convivente, strozzandola con il cordino che si usa per raccogliere le tende. Che insieme a lui c'è il fratello Vito Cosco e che poi allo stesso Venturino è stato affidato il compito di prendere il corpo esanime di Lea Garofalo, di metterlo in uno scatolone e poi su un furgone per trasportarlo a san Fruttuoso. Lì è stato distrutto dalle fiamme, per due giorni, grazie anche alla complicità di Rosario Curcio. Il racconto di Venturino esclude invece il coinvolgimento nei fatti di Milano di Massimo Sabatino e Vito Cosco.
 
Carlo Cosco parla invece di raptus di pazzia, di uno spintone dato alla donna dopo aver perso la pazienza, del fatto che lei abbia battuto la testa e che per questo sia morta. Anche lui esclude la presenza del fratello e di Sabatino.
Il processo di appello iniziò il [[9 aprile]] 2013. Carmine Venturino raccontò che era stato Carlo Cosco ad uccidere la propria ex convivente, strozzandola con il cordino usato di solito per raccogliere le tende. E che insieme a lui c'era il fratello Vito Cosco e che poi allo stesso Venturino venne affidato il compito di prendere il corpo esanime di Lea Garofalo, di metterlo in uno scatolone su un furgone, per poi trasportarlo a san Fruttuoso. Lì il corpo venne distrutto dalle fiamme, per due giorni, grazie anche alla complicità di Rosario Curcio. Il racconto di Venturino escluse invece il coinvolgimento nei fatti di Milano di Massimo Sabatino e Vito Cosco.
Secondo le motivazioni di secondo grado, non è possibile stabilire cosa esattamente sia accaduto in quell'appartamento. Bisogna escludere che sia stato Carlo Cosco ad uccidere materialmente Lea Garofalo, ma egli può assolutamente essere ritenuto il mandante dell'omicidio.
 
La corte di Appello del Tribunale di Milano ha rivisto le pene per i sei imputati, con la sentenza di secondo grado emessa il 29 maggio 2013: ha confermato l'ergastolo per Carlo e Vito Cosco, per Rosario Curcio e per Massimo Sabatino, mentre ha ridotto la pena a 25 anni per Carmine Venturino (in virtù della sua collaborazione) e ha assolto Giuseppe Cosco, che attualmente sta scontando una pena di dieci anni per traffico di stupefacenti.
Carlo Cosco si difese parlando invece di raptus di pazzia, di uno spintone dato alla donna dopo aver perso la pazienza, del fatto che lei avesse battuto la testa e fosse morta per questo. Confermò, invece, l'esclusione della presenza del fratello e di Sabatino come partecipanti all'omicidio.
 
Secondo le motivazioni di secondo grado, non è possibile stabilire cosa esattamente sia accaduto in quell'appartamento: quel che è certo è che va escluso che sia stato Carlo Cosco ad uccidere materialmente Lea Garofalo, ma egli può assolutamente essere ritenuto il mandante dell'omicidio.
 
La corte di Appello del Tribunale di Milano ha rivisto le pene per i sei imputati, con la sentenza di secondo grado emessa il [[29 maggio]] 2013: ha confermato l'ergastolo per Carlo e Vito Cosco, per Rosario Curcio e per Massimo Sabatino, mentre ha ridotto la pena a 25 anni per Carmine Venturino (in virtù della sua collaborazione) e ha assolto Giuseppe Cosco, che attualmente sta scontando una pena di dieci anni per traffico di stupefacenti.
 
== In memoria di Lea ==
=== I funerali ===
[[File:Funerali lea garofalo.jpg|200px|thumb|right|Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e Don Luigi Ciotti, ai funerali di Lea Garofalo]]
Il 19 ottobre 2013, sulla piazza Beccaria, tremila persone diedero l'estremo saluto a Lea Garofalo. I funerali civili vennero seguiti in diretta da «Rainews 24» e tutte le testate nazionali si occuparono della storia di Lea e Denise. Finalmente alla vicenda, per mesi passata sotto silenzio, venne dato il giusto risalto. Momenti di grande commozione, canzoni, ricordi, e la voce di Denise che, da dietro una finestra, saluta la sua mamma, ringraziandola “''perché se questo è successo, tutto questo è successo, è per il mio bene... Ciao mamma''”. Fu lei a chiedere, lo stesso giorno della sentenza, che sua mamma sia salutata “come se fosse una festa” a Milano, che tanto si era dimostrata vicina a questa storia. I resti della giovane testimone di giustizia Lea Garofalo riposano oggi al cimitero monumentale di Milano, perché l'amministrazione le riconobbe di aver dato lustro alla città.
 
=== La targa in via Montello e l'Ambrogino a Denise ===
Lo stesso giorno dei funerali, nei giardini di fronte a Via Montello 6, l'ex-fortino dei Cosco dove abitavano abusivamente nelle case popolari dell'Aler, venne affissa una targa in memoria di Lea Garofalo, testimone di giustizia. Il 7 dicembre 2013, invece, il Comune di Milano conferì a Denise Cosco l'Ambrogino d'Oro, l'alta benemerenza civica riservata a chi ha illustrato la città di Milano: per il suo coraggio a denunciare il padre, al teatro Dal Verme la ragazza ricevette l'applauso più lungo.
 
== Note ==
<references></references>


LE DUE FACCE DI MILANO
== Bibliografia ==
Viale Montello, 6. Qui si sono consumati i delitti dei Cosco. Qui loro abitavano abusivamente, togliendo il diritto a famiglie non abbienti che avrebbero potuto vivere in quegli appartamenti di edilizia residenziale pubblica, gestiti dall'Aler e di proprietà della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli. Di fatto, per quaranta anni è stato il quartiere generale della piazza di spaccio della famiglia di Petilia e nel cortile di quello stabile viene ucciso Antonio Comberiati, “socio in affari” (di droga) dei Cosco.
Demaria M., [[La scelta di Lea]] - Lea Garofalo. La ribellione di una donna della 'ndrangheta, Melampo Editore, Milano, 2013
L'edificio, conosciuto come “il fortino dei Cosco”, è stato posto sotto sequestro nel giugno 2012.
Durante il processo si è dunque parlato di questa Milano, ma era presente anche un'altra città. Quella rappresentata dal Comune stesso, che si è costituito parte civile. Quella che ha il volto di una cittadinanza attiva, che ha animato, sempre più numerosa e partecipe, le udienze dei processi di primo e secondo grado. Per ribellarsi alla realtà criminale e soprattutto per dimostrare solidarietà, affetto e vicinanza a Denise Cosco. Tanti, tantissimi i ragazzi – milanesi ma non solo –  che in maniera crescente hanno vissuto l'aula del tribunale. Perché l'omicidio di Lea Garofalo non poteva e non doveva passare come un “affare di famiglia”, una vicenda passionale che si era consumata tra le mura domestiche e di cui non si doveva parlare. Un impegno che ha portato molti di questi ragazzi a fondare un presidio dell'associazione Libera, intitolato proprio alla figura di Lea Garofalo, e che li ha visti impegnati a scuotere le coscienze, con una mobilitazione davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, quando era giunta la notizia del cambio del Presidente della Corte di primo grado.
Il Comune di Milano li ha premiati con la benemerenza civile dell'Ambrogino d'Oro nel 2012, mentre il 7 dicembre 2013 è stata Denise Cosco (non presente alla cerimonia perché in regime di protezione) ad essere premiata con il più alto riconoscimento della città meneghina.


[[Categoria:Testimoni di giustizia]]
[[Categoria:Testimoni di giustizia]]

Versione delle 18:34, 21 gen 2014


Lea Garofalo (Petilia Policastro, 4 aprile 1974 – Milano, 24 novembre 2009) è stata una testimone di giustizia italiana.

Lea Garofalo

Biografia

Infanzia e primi anni

Figlia di Antonio Garofalo e Santina Miletta, Lea rimase orfana all'età di nove mesi in quanto suo padre venne ucciso nella cosiddetta “faida di Pagliarelle”. La piccola Lea crebbe insieme alla nonna, alla madre e ai fratelli maggiori Marisa e Floriano che, assunto il ruolo di capofamiglia, anni dopo avrebbe vendicato l'omicidio del padre, salvo poi essere a sua volta ucciso in un agguato, l'8 giugno 2005. A quattordici anni Lea si innamorò del diciassettenne Carlo Cosco e decise di stabilirsi con lui a Milano, in viale Montello 6. Il 4 dicembre 1991 diede alla luce Denise, figlia della coppia. Nel 2002 Lea prese la decisione di diventare testimone di giustizia e venne ammessa, insieme alla bambina, nel programma di protezione, dal quale uscirà definitivamente nella primavera del 2009. Madre e figlia a quel punto tornarono in Calabria, ma per tornarne nel novembre 2009. Una decisione che per Lea Garofalo sarebbe stata fatale.

La ribellione: la vita a Milano

Lea Garofalo fece un primo gesto eclatante quando decise di trasferirsi a Milano, ignara del fatto che Carlo Cosco l'avesse scelta come compagna solo per acquisire maggior prestigio agli occhi della cosca Garofalo. Il secondo arrivò nel 1996, quando il compagno e alcuni componenti della sua famiglia vennero arrestati per traffico di stupefacenti: durante un colloquio in carcere, la ragazza comunicò al compagno la volontà di lasciarlo e di volersi portare via la figlia.

La reazione fu violenta e immediata, tanto che intervennero le guardie per sedare la lite. Madre e figlia abbandonarono dunque Milano. Nel 2002, quando Lea, sotto casa, si accorse dell'incendio della propria auto, capì che i Cosco erano sulle loro tracce e che lei e sua figlia si trovavano in pericolo. Decise di rivolgersi ai Carabinieri e di raccontare tutto ciò che, nel corso degli anni, aveva visto e sentito, a Pagliarelle come a Milano. Per le sue dichiarazioni, la giovane donna e la figlia vennero inserite, con false generalità, nel programma di protezione.

La vita da testimone

La vita da testimone di giustizia fu difficile, caratterizzata da una profonda solitudine. Le dichiarazioni di Lea non sfociarono in alcun processo (salvo poi, nell'ottobre 2013, condurre all'arresto di 17 persone in varie città italiane) e per questo motivo le viene revocata la protezione dello Stato. Nonostante il ricorso vinto al Tar, nel frattempo i documenti falsi suoi e della figlia non esistevano più.

L'incontro con Don Ciotti

Nel 2008, ad un incontro pubblico, Lea Garofalo si avvicinò a don Luigi Ciotti, fondatore e presidente del Gruppo Abele e di Libera. Si presentò come una testimone di giustizia etichettata come collaboratrice, completamente sfiduciata nei confronti dello Stato e delle istituzioni, e intenzionata a riappropriarsi della sua dignità, del suo nome e del suo cognome, di un futuro per lei e soprattutto per la figlia Denise. Conobbe quindi la responsabile dell'ufficio legale dell'associazione, l'avvocato Enza Rando. Ma i mesi successivi sarebbero stati comunque e ancora difficili, fino a quando Lea Garofalo decise di uscire definitivamente dal programma di protezione, nella primavera del 2009.

L'omicidio

Nel frattempo, gli anni non avevano cancellato il rancore e la rabbia di Carlo Cosco nei confronti di Lea Garofalo. La sua sete di vendetta venne soddisfatta il 24 novembre 2009. Lea e sua figlia si trovavano a Milano da quattro giorni: partite da Petilia Policastro alla volta di Firenze, mamma e figlia il 20 novembre presero il treno che le avrebbe portate nel capoluogo lombardo. Fu lo stesso Carlo Cosco ad invitarle. Si trattava di una trappola: l'ex-compagno era a conoscenza della difficile situazione economica delle due donne e chiese a Denise di raggiungerlo a Milano dopo che la figlia gli aveva raccontato di aver visto un maglione, ma che sua madre non avrebbe potuto comprarglielo. Lea, che aveva a cuore il futuro della figlia più di ogni altra cosa, decise che non l'avrebbe fatta partire da sola, nonostante i tentativi dell'avvocato Rando di dissuaderla. Lea era convinta che insieme a sua figlia non le sarebbe accaduto mai nulla, anche perché “Milano è una grande città, non è come la Calabria”.

In quei giorni, gli ex compagni di vita e Denise trascorsero molto tempo insieme. L'intento dell'uomo era di fare in modo che Lea tornasse a fidarsi di lui.

Nel pomeriggio del 24 novembre 2009, Lea e Denise decisero di concedersi una passeggiata per Milano, in zona Arco della Pace. L'immagine di quella camminata fu ripresa dalle telecamere della zona: la mamma aveva un giubbotto nero, la figlia uno uguale, ma bianco. Alle 18.15 circa, Carlo Cosco le raggiunse, prendendo la figlia e accompagnandola a casa del fratello Giuseppe Cosco, per farla cenare e poi salutare i suoi zii e i suoi cugini. Poi l'uomo fece ritorno all'Arco della Pace, dove aveva appuntamento con Lea Garofalo.

L'omicidio si consumò intorno alle 19.10, in un appartamento di piazza Prealpi 2 a Milano, di proprietà della nonna di un amico dei Cosco. Il corpo di Lea Garofalo venne poi trasportato su un terreno a San Fruttuoso e lì distrutto.

Processi

I processi per l'omicidio di Lea Garofalo sono nati grazie a sua figlia Denise. La sera stessa dell'omicidio, infatti, madre e figlia sarebbero dovute rientrare in Calabria e quando Denise vide che la madre non tornava, intuì che le potesse essere successo qualcosa di tragico. La figlia chiese al padre di accompagnarla nei luoghi da loro frequentati in quei giorni alla ricerca della madre, si recarono anche dai carabinieri, che però non poterono procedere con la denuncia di scomparsa, non essendo passate le canoniche 24 ore. Nonostante ciò, Denise raccontò il giorno successivo la sua vita da "protetta" con la madre ai Carabinieri della caserma di via della Moscova: fu il maresciallo Persurich a raccogliere la deposizione. Denise sostenne di avere la certezza morale che la madre non fosse scomparsa (e tanto meno si fosse allontanata volontariamente come gli disse fin da subito il padre e come hanno affermato gli avvocati difensori durante il processo), ma che in realtà fosse morta. Uccisa per mano di Carlo Cosco, suo padre. Il 18 ottobre 2010 scattarono le manette per Carlo Cosco e per gli altri presunti partecipanti al delitto.[1]

Processo di 1° grado

Il processo di primo grado iniziò il 6 luglio 2011. Il limite del procedimento penale fu che non venne richiesta l'aggravante mafiosa (il cosiddetto ex-articolo 7): per i giudici non si poteva parlare di delitto di 'ndrangheta, quindi a Denise non venne riconosciuto lo status di familiare di vittima di mafia. Nonostante il convincimento dei giudici, Lea Garofalo viene ricordato il 21 marzo, nella Gioranta della memoria e dell'Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie, organizzata da Libera ogni anno.

In sede processuale, Denise si costituì parte civile (difesa dall'avvocato Enza Rando), dichiarandosi "orgogliosa di essere contro il padre"[2]. La seguirono anche il comune di Milano (rappresentato dall'avvocato Maria Sala) e Marisa Garofalo e Santina Miletta, rispettivamente sorella e madre di Lea Garofalo (difese dall'avvocato Roberto D'Ippolito). Sei gli imputati: Carlo Cosco, i fratelli Giuseppe e Vito Cosco, Massimo Sabatino (che aveva tentato di sequestrare Lea Garofalo a Campobasso il 5 maggio 2009, su commissione di Carlo Cosco), Carmine Venturino e Rosario Curcio. L'accusa era di aver sequestrato, torturato e ucciso Lea Garofalo la notte tra il 24 e il 25 novembre 2009, e di averne distrutto il cadavere in 50 litri di acido su un terreno a San Fruttuoso, quartiere di Monza.

L'impianto accusatorio del pubblico ministero Marcello Tatangelo si basava principalmente sulle dichiarazioni di Denise Cosco (rese ai Carabinieri prima e successivamente in tribunale, in ore e ore di deposizioni) e sui dati elaborati dai tabulati telefonici, grazie al lavoro certosino dei Carabinieri.

Il 23 novembre, il presidente della Corte Filippo Grisolia annunciò di aver ricevuto la nomina a Capo di Gabinetto del ministro Severino. Di conseguenza, il processo subì un arresto, con il rischio che si arrivasse alla scadenza dei termini di custodia cautelare (28 luglio 2012) senza che fosse stata emessa la sentenza. Si ripartì dopo una settimana, con un fitto calendario di udienze fissato dal neo Presidente Anna Introini.

La sentenza fu emessa il 30 marzo 2012: ergastolo per tutti e sei gli imputati.

Le confessioni di Carmine Venturino e il processo di 2° grado

Nel corso dell'estate 2012, Carmine Venturino decise di collaborare con la giustizia. Il giovane venticinquenne, assoldato dopo l'omicidio di Lea Garofalo da Carlo Cosco affinché controllasse Denise per impedirle di fare ulteriori deposizioni ai Carabinieri, aveva sviluppato un forte rapporto con la ragazza, finché nel febbraio 2010 questa non scoprì che anche il giovane si trovava tra gli arrestati con l'accusa di aver ucciso la sua giovane mamma. Venturino raccontò agli inquirenti che fu proprio per merito del coraggio di Denise e dell'amore che sostenne di provare per lei che fu spinto a raccontare la verità.

Il processo di appello iniziò il 9 aprile 2013. Carmine Venturino raccontò che era stato Carlo Cosco ad uccidere la propria ex convivente, strozzandola con il cordino usato di solito per raccogliere le tende. E che insieme a lui c'era il fratello Vito Cosco e che poi allo stesso Venturino venne affidato il compito di prendere il corpo esanime di Lea Garofalo, di metterlo in uno scatolone su un furgone, per poi trasportarlo a san Fruttuoso. Lì il corpo venne distrutto dalle fiamme, per due giorni, grazie anche alla complicità di Rosario Curcio. Il racconto di Venturino escluse invece il coinvolgimento nei fatti di Milano di Massimo Sabatino e Vito Cosco.

Carlo Cosco si difese parlando invece di raptus di pazzia, di uno spintone dato alla donna dopo aver perso la pazienza, del fatto che lei avesse battuto la testa e fosse morta per questo. Confermò, invece, l'esclusione della presenza del fratello e di Sabatino come partecipanti all'omicidio.

Secondo le motivazioni di secondo grado, non è possibile stabilire cosa esattamente sia accaduto in quell'appartamento: quel che è certo è che va escluso che sia stato Carlo Cosco ad uccidere materialmente Lea Garofalo, ma egli può assolutamente essere ritenuto il mandante dell'omicidio.

La corte di Appello del Tribunale di Milano ha rivisto le pene per i sei imputati, con la sentenza di secondo grado emessa il 29 maggio 2013: ha confermato l'ergastolo per Carlo e Vito Cosco, per Rosario Curcio e per Massimo Sabatino, mentre ha ridotto la pena a 25 anni per Carmine Venturino (in virtù della sua collaborazione) e ha assolto Giuseppe Cosco, che attualmente sta scontando una pena di dieci anni per traffico di stupefacenti.

In memoria di Lea

I funerali

Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e Don Luigi Ciotti, ai funerali di Lea Garofalo

Il 19 ottobre 2013, sulla piazza Beccaria, tremila persone diedero l'estremo saluto a Lea Garofalo. I funerali civili vennero seguiti in diretta da «Rainews 24» e tutte le testate nazionali si occuparono della storia di Lea e Denise. Finalmente alla vicenda, per mesi passata sotto silenzio, venne dato il giusto risalto. Momenti di grande commozione, canzoni, ricordi, e la voce di Denise che, da dietro una finestra, saluta la sua mamma, ringraziandola “perché se questo è successo, tutto questo è successo, è per il mio bene... Ciao mamma”. Fu lei a chiedere, lo stesso giorno della sentenza, che sua mamma sia salutata “come se fosse una festa” a Milano, che tanto si era dimostrata vicina a questa storia. I resti della giovane testimone di giustizia Lea Garofalo riposano oggi al cimitero monumentale di Milano, perché l'amministrazione le riconobbe di aver dato lustro alla città.

La targa in via Montello e l'Ambrogino a Denise

Lo stesso giorno dei funerali, nei giardini di fronte a Via Montello 6, l'ex-fortino dei Cosco dove abitavano abusivamente nelle case popolari dell'Aler, venne affissa una targa in memoria di Lea Garofalo, testimone di giustizia. Il 7 dicembre 2013, invece, il Comune di Milano conferì a Denise Cosco l'Ambrogino d'Oro, l'alta benemerenza civica riservata a chi ha illustrato la città di Milano: per il suo coraggio a denunciare il padre, al teatro Dal Verme la ragazza ricevette l'applauso più lungo.

Note

Bibliografia

Demaria M., La scelta di Lea - Lea Garofalo. La ribellione di una donna della 'ndrangheta, Melampo Editore, Milano, 2013