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Lea Garofalo (Petilia Policastro, 4 aprile 1974 – Milano, 24 novembre 2009) è stata una testimone di giustizia italiana. | '''Lea Garofalo''' (Petilia Policastro, 4 aprile 1974 – Milano, 24 novembre 2009) è stata una testimone di giustizia italiana. | ||
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Lea Garofalo (Petilia Policastro, 4 aprile 1974 – Milano, 24 novembre 2009) è stata una testimone di giustizia italiana.
Biografia
Infanzia e primi anni
Figlia di Antonio Garofalo e Santina Miletta, Lea rimase orfana all'età di nove mesi in quanto suo padre venne ucciso nella cosiddetta “faida di Pagliarelle”. La piccola Lea crebbe insieme alla nonna, alla madre e ai fratelli maggiori Marisa e Floriano che, assunto il ruolo di capofamiglia, anni dopo avrebbe vendicato l'omicidio del padre, salvo poi essere a sua volta ucciso in un agguato, l'8 giugno 2005. A quattordici anni Lea si innamorò del diciassettenne Carlo Cosco e decise di stabilirsi con lui a Milano, in viale Montello 6. Il 4 dicembre 1991 diede alla luce Denise, figlia della coppia. Nel 2002 Lea prese la decisione di diventare testimone di giustizia e venne ammessa, insieme alla bambina, nel programma di protezione, dal quale uscirà definitivamente nella primavera del 2009. Madre e figlia a quel punto tornarono in Calabria, ma per tornarne nel novembre 2009. Una decisione che per Lea Garofalo sarebbe stata fatale.
La ribellione
Lea Garofalo compie un primo gesto eclatante quando decide di trasferirsi a Milano, ignara del fatto che Carlo Cosco l'abbia scelta come compagna per acquisire potere agli occhi della cosca Garofalo. Il secondo arriva nel 1996, quando il compagno e alcuni componenti della sua famiglia vengono arrestati per traffico di stupefacenti: durante un colloquio in carcere, la ragazza comunica a Carlo Cosco la volontà di lasciarlo e di volersi portare via la figlia. La reazione è violenta e immediata, tanto che intervengono le guardie per sedare la lite. Madre e figlia abbandonano Milano. Nel 2002, quando Lea, sotto casa, si accorge che è stato appiccato il fuoco alla propria auto, capisce che i Cosco sono sulle loro tracce e che si trovano in pericolo. Decide di rivolgersi ai Carabinieri e di raccontare tutto ciò che, nel corso degli anni, ha visto e sentito, a Pagliarelle come a Milano. Per le sue dichiarazioni, la giovane donna e la figlia vengono inserite, con false generalità, nel programma di protezione. Saranno anni difficili, di solitudine. Le dichiarazioni di Lea non sfociano in alcun processo – salvo poi, nell'ottobre 2013, condurre all'arresto di 17 persone in varie città italiane – e viene meno la protezione dello Stato. La Garofalo fa ricorso al Tar ma, quando viene riammessa insieme a Denise all'interno del programma, i loro documenti falsi non esistono più. Saranno anni ancora più bui. Nel 2008, ad un incontro pubblico, Lea Garofalo si avvicina a don Luigi Ciotti, fondatore e presidente del Gruppo Abele e di Libera. Si presenta come una testimone di giustizia etichettata come collaboratrice, completamente sfiduciata nei confronti dello Stato e delle istituzioni (nell'aprile 2009 arriverà a scrivere una lettera, mai inviata, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano). Vuole riappropriarsi della sua dignità, del suo nome e del suo cognome, di un futuro per lei e soprattutto per la figlia Denise. Conosce la responsabile dell'ufficio legale dell'associazione, l'avvocato Enza Rando. Ma i mesi successivi saranno comunque e ancora difficili, fino a quando Lea Garofalo decide di uscire definitivamente dal programma di protezione. È la primavera del 2009.
L'OMICIDIO
Carlo Cosco cova rancore e rabbia nei confronti di Lea Garofalo da anni. Tanti anni. La sua sete di vendetta viene soddisfatta il 24 novembre 2009. Le due giovani donne erano arrivate da quattro giorni a Milano. Partite da Petilia Policastro alla volta di Firenze, mamma e figlia il 20 novembre prendono il treno che le porterà nel capoluogo lombardo. È lo stesso Carlo Cosco ad invitarle. Una trappola. Lui era a conoscenza della difficile situazione economica delle due donne e chiede a Denise di raggiungerlo a Milano dopo che la figlia gli aveva raccontato di aver visto un maglione ma che sua madre non avrebbe potuto comprarglielo. Lea ha a cuore il futuro della figlia più di ogni altra cosa e non l'avrebbe mai fatta partire da sola. L'avvocato Enza Rando prova a dissuadere Lea, ma la testimone di giustizia è convinta che insieme a sua figlia non le accadrà mai nulla e che “Milano è una grande città, non è come la Calabria”.
In quei giorni, gli ex compagni di vita e la loro figlia trascorrono molto tempo insieme. L'intento dell'uomo è di fare in modo che Lea torni a fidarsi di lui.
Nel pomeriggio del 24 novembre 2009, Lea e Denise si concedono una passeggiata per Milano. Zona Arco della Pace. L'immagine di quella camminata è stata ripresa dalle telecamere della zona: la mamma ha un giubbotto nero, la figlia uno uguale ma bianco. Alle 18.15 circa, Carlo Cosco le raggiunge, prende la figlia e la accompagna a casa del fratello Giuseppe Cosco, in modo che la ragazza possa mangiare cena e poi salutare i suoi zii e i suoi cugini. Poi l'uomo ritorna all'Arco della Pace, dove aveva appuntamento con Lea Garofalo.
L'omicidio si consuma intorno alle 19.10, in un appartamento di piazza Prealpi 2 a Milano, di proprietà della nonna di un amico dei Cosco. Il corpo di Lea Garofalo viene poi trasportato su un terreno a San Fruttuoso e lì distrutto.
IL PROCESSO DI PRIMO GRADO
Quella stessa sera, mamma e figlia sarebbero dovute rientrare in Calabria. Quando Denise vede che la mamma non si presenta all'appuntamento in stazione, intuisce che sia potuto accadere qualcosa di tragico e chiede al padre di accompagnarla nei luoghi da loro frequentati in quei giorni. Dopo alcune ore si recano dai carabinieri, ma è ancora troppo presto per poter procedere con la denuncia di scomparsa. Il giorno successivo, Denise Cosco racconta gli anni di vita “protetta” suoi e di sua mamma ai Carabinieri di via Moscova: è il maresciallo Persurich a raccogliere la deposizione.
Denise non era con i genitori, ma ha la certezza morale che sua madre non sia scomparsa (e men che meno che si sia allontanata volontariamente come gli disse fin da subito il padre e come affermeranno gli avvocati difensori durante il processo) ma che sia morta. Uccisa per mano di Carlo Cosco.
Il processo di primo grado inizia il 6 luglio 2011. Il limite del procedimento penale è che non viene richiesta l'aggravante mafiosa (il cosiddetto ex articolo 7). Non si può parlare di 'ndragheta, anche se la respira. Questo significa che a Denise non può essere riconosciuto lo status di famigliare di vittima di mafia. Ma per la società civile Lea Garofalo è una vittima di mafia, della 'ndrangheta, che viene anche ricordata il 21 marzo, Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie, organizzata da Libera ogni anno.
In sede processuale, Denise si costituisce parte civile (difesa dall'avvocato Enza Rando) così come il comune di Milano (rappresentato dall'avvocato Maria Sala) e Marisa Garofalo e Santina Miletta, rispettivamente sorella e madre di Lea Garofalo (difese dall'avvocato Roberto D'Ippolito). Sei gli imputati: Carlo Cosco, i fratelli Giuseppe e Vito Cosco, Massimo Sabatino (che tentò di sequestrare Lea Garofalo a Campobasso il 5 maggio 2009, su commissione di Carlo Cosco), Carmine Venturino e Rosario Curcio. L'accusa è di aver sequestrato, torturato e ucciso Lea Garofalo la notte tra il 24 e il 25 novembre 2009, e di averne distrutto il cadavere in 50 litri di acido su un terreno a San Fruttuoso, quartiere di Monza.
L'impianto accusatorio del pubblico ministero Marcello Tatangelo si basa principalmente sulle dichiarazioni di Denise Cosco (rese ai Carabinieri prima e successivamente in tribunale, in ore e ore di deposizione) e sui dati elaborati dai tabulati telefonici, grazie al lavoro certosino dei Carabinieri.
Il 23 novembre, il presidente della Corte Filippo Grisolia annuncia di aver ricevuto la nomina a Capo di Gabinetto del ministro Severino. Di conseguenza, il processo subisce un arresto, con il rischio che si arrivi alla scadenza dei termini di custodia cautelare (28 luglio 2012) senza che sia stata emessa la sentenza. Si ripartirà dopo una settimana, con un fitto calendario di udienze fissato dal neo Presidente Anna Introini.
La sentenza è emessa il 30 marzo 2012. Ergastolo per tutti e sei gli imputati.
LE CONFESSIONI DI CARMINE VENTURINO E IL PROCESSO DI SECONDO GRADO Nel corso dell'estate 2012, Carmine Venturino decide di collaborare con la giustizia. Ha 25 anni, e dopo l'omicidio di Lea Garofalo, Carlo Cosco l'aveva assoldato affinché controllasse Denise: l'uomo aveva infatti paura che lei tornasse dai carabinieri per nuove deposizioni. Tra i due giovani nasce una simpatia, ma nel febbraio 2010 Denise scopre la tragica verità. Anche lui, anche quel ragazzo è tra gli arrestati con l'accusa di aver ucciso la sua giovane mamma. Venturino racconta agli inquirenti che è proprio per merito del coraggio di Denise e dell'amore che prova per lei che ha deciso di raccontare la verità. Il processo di appello inizia il 9 aprile 2013. Carmine Venturino racconta che è stato Carlo Cosco ad uccidere la propria ex convivente, strozzandola con il cordino che si usa per raccogliere le tende. Che insieme a lui c'è il fratello Vito Cosco e che poi allo stesso Venturino è stato affidato il compito di prendere il corpo esanime di Lea Garofalo, di metterlo in uno scatolone e poi su un furgone per trasportarlo a san Fruttuoso. Lì è stato distrutto dalle fiamme, per due giorni, grazie anche alla complicità di Rosario Curcio. Il racconto di Venturino esclude invece il coinvolgimento nei fatti di Milano di Massimo Sabatino e Vito Cosco. Carlo Cosco parla invece di raptus di pazzia, di uno spintone dato alla donna dopo aver perso la pazienza, del fatto che lei abbia battuto la testa e che per questo sia morta. Anche lui esclude la presenza del fratello e di Sabatino. Secondo le motivazioni di secondo grado, non è possibile stabilire cosa esattamente sia accaduto in quell'appartamento. Bisogna escludere che sia stato Carlo Cosco ad uccidere materialmente Lea Garofalo, ma egli può assolutamente essere ritenuto il mandante dell'omicidio. La corte di Appello del Tribunale di Milano ha rivisto le pene per i sei imputati, con la sentenza di secondo grado emessa il 29 maggio 2013: ha confermato l'ergastolo per Carlo e Vito Cosco, per Rosario Curcio e per Massimo Sabatino, mentre ha ridotto la pena a 25 anni per Carmine Venturino (in virtù della sua collaborazione) e ha assolto Giuseppe Cosco, che attualmente sta scontando una pena di dieci anni per traffico di stupefacenti.
LE DUE FACCE DI MILANO Viale Montello, 6. Qui si sono consumati i delitti dei Cosco. Qui loro abitavano abusivamente, togliendo il diritto a famiglie non abbienti che avrebbero potuto vivere in quegli appartamenti di edilizia residenziale pubblica, gestiti dall'Aler e di proprietà della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli. Di fatto, per quaranta anni è stato il quartiere generale della piazza di spaccio della famiglia di Petilia e nel cortile di quello stabile viene ucciso Antonio Comberiati, “socio in affari” (di droga) dei Cosco. L'edificio, conosciuto come “il fortino dei Cosco”, è stato posto sotto sequestro nel giugno 2012. Durante il processo si è dunque parlato di questa Milano, ma era presente anche un'altra città. Quella rappresentata dal Comune stesso, che si è costituito parte civile. Quella che ha il volto di una cittadinanza attiva, che ha animato, sempre più numerosa e partecipe, le udienze dei processi di primo e secondo grado. Per ribellarsi alla realtà criminale e soprattutto per dimostrare solidarietà, affetto e vicinanza a Denise Cosco. Tanti, tantissimi i ragazzi – milanesi ma non solo – che in maniera crescente hanno vissuto l'aula del tribunale. Perché l'omicidio di Lea Garofalo non poteva e non doveva passare come un “affare di famiglia”, una vicenda passionale che si era consumata tra le mura domestiche e di cui non si doveva parlare. Un impegno che ha portato molti di questi ragazzi a fondare un presidio dell'associazione Libera, intitolato proprio alla figura di Lea Garofalo, e che li ha visti impegnati a scuotere le coscienze, con una mobilitazione davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, quando era giunta la notizia del cambio del Presidente della Corte di primo grado. Il Comune di Milano li ha premiati con la benemerenza civile dell'Ambrogino d'Oro nel 2012, mentre il 7 dicembre 2013 è stata Denise Cosco (non presente alla cerimonia perché in regime di protezione) ad essere premiata con il più alto riconoscimento della città meneghina.
I FUNERALI DI LEA GAROFALO
Il 19 ottobre 2013, sulla piazza Beccaria, tremila persone danno l'estremo saluto a Lea Garofalo. I funerali civili vengono seguiti in diretta da «Rainews 24» e tutte le testate nazionali si occupano della storia di Lea e Denise. Finalmente alla vicenda, per mesi passata sotto silenzio, viene dato il giusto risalto. Momenti di grande commozione, canzoni, ricordi, e la voce di Denise che, da dietro una finestra, saluta la sua mamma, ringraziandola “perché se questo è successo, tutto questo è successo, è per il mio bene... Ciao mamma”. È lei a chiedere, lo stesso giorno della sentenza, che sua mamma sia salutata “come se fosse una festa” a Milano, che tanto si è dimostrata vicina a questa storia. I resti della giovane testimone di giustizia Lea Garofalo riposano al cimitero monumentale di Milano, perché l'amministrazione le ha riconosciuto di aver dato lustro alla città.