Operazione Fire Off: differenze tra le versioni
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<center>«''Busto Arsizio è di Rosario Vizzini. Vizzini è lo stiddaro più importante sia a Gela che nella zona di Busto Arsizio. Tutti gli altri gelesi che stanno in Lombardia devono ubbidire a Rosario Vizzini''»<ref>Ordinanza applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, Procedimento Penale n. 20666\10 R.G.N.R, p. 19</ref>.</center> | |||
<center>('''Carmelo Mendolia''', collaboratore di giustizia)</center> | |||
'''L'Operazione Fire Off''' è stata un'inchiesta antimafia della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, coordinata dal Procuratore Aggiunto [[Ilda Boccassini]] e dal Sostituto Procuratore Nicola Piacente. Scattata il [[23 marzo]] [[2011]], portò all'arresto di cinque persone di origine gelese nel territorio di Busto Arsizio per associazione di tipo mafioso. | |||
== Antefatti == | |||
Le indagini partirono la sera del [[30 dicembre]] [[2009]], quando in via Signorelli ad Induno Olona, in provincia di Varese, due autovetture parcheggiate presero fuoco, provocando l’esplosione di una terza e il conseguente ferimento di diversi uomini dei Vigili del Fuoco intervenuti in soccorso. I presenti comunicarono che il pregiudicato Albano Bruno Bellinato, ivi residente, affermò: “''Questo era per me!''”. Egli poi riferì all’Arma dei Carabinieri e alla Polizia di Stato che Fabio Nicastro, divenuto poi uno dei principali indagati, lo aveva minacciato di attirarlo in una trappola per ucciderlo.<ref>Di Lorenzo Paola (2011) ''Ordinanza applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere - Procedimento Penale n. 20666\10 R.G.N.R.'', Tribunale di Milano - Ufficio del GIP, 23 Marzo</ref> | |||
Grazie al prosieguo delle indagini, svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, ai collaboratori di giustizia '''Carmelo Mendolia''' e '''Crocifisso Smorta''', e all’ex collaboratore di giustizia '''Angelo Bernascone''', si sarebbe poi venuti a conoscenza del complesso intreccio di gruppi criminali mafiosi nella zona del bustocco, collegati a [[Cosa Nostra]] ed alla [[Stidda]]. | |||
Le attività criminali principali erano le estorsioni, principalmente nei confronti di imprenditori edili gelesi (“''Il settore edilizio viene ritenuto più sicuro rispetto alla droga''”<ref>Ivi, p. 19</ref>), precedute da violenti atti intimidatori, tipici del metodo mafioso. | |||
Nell’ambiente imprenditoriale bustocco, specialmente di origine siciliana, sarebbe stata nota l’appartenenza di [[Rosario Vizzini]] e Fabio Nicastro a famiglie mafiose, le loro pregresse vicende giudiziarie, nonché il loro ricorso sistematico alle minacce, alla violenza e all’intimidazione.<ref>Ivi, p.2</ref> In particolare, le vittime sarebbero state obbligate a consegnare periodicamente somme di denaro, a mettere a disposizione degli indagati autovetture di grossa cilindrata e buoni pasto, cedere loro rami d’azienda, merci ed attrezzature.<ref>Ibidem</ref> | |||
Crocifisso Smorta, ex reggente della famiglia gelese degli '''Emmanuello-Rinzivillo''' di Cosa Nostra, spiegò agli inquirenti come gli introiti delle suddette estorsioni sarebbero stati divisi al 50% con i gruppi storicamente contrapposti della Stidda.<ref>Ivi, p. 13</ref> | |||
Rosario Vizzini, però, stiddaro più importante e rispettato dell’asse gelese-bustocco (e lombardo), sarebbe stato colui che decideva gli affari della zona di Busto Arsizio. Dall’interrogatorio di Smorta, infatti, si evincono importanti informazioni sul grado di libertà di cui avrebbe goduto il gruppo mafioso ed il suo reggente: | |||
«''L’uomo d’onore che si trova fuori di Gela è autonomo nelle sue decisioni. Può cioè scegliere le persone di sua fiducia, senza che siano necessariamente uomini d’onore, e può decidere quali attività illecite intraprendere. Deve solo informare il suo punto di riferimento nella famiglia a Gela dell’illecito che lui porta avanti e consegnare gli utili (se si tratta di droga deve dare una percentuale alla famiglia). Per quanto riguarda gli omicidi, l’uomo d’onore che si è stabilito fuori da Gela, se vuole uccidere un altro uomo d’onore, deve prima informare il suo capo ed avere l’assenso. Se l’uomo d’onore che si è stabilito fuori da Gela vuole uccidere un’altra persona può agire, ma deve spiegarne le ragioni al suo punto di riferimento''»<ref>Ivi, p. 14</ref>. | |||
=== Gli atti intimidatori === | |||
Diversi sono stati gli atti intimidatori accertati nella fase delle indagini a Busto Arsizio e in altri comuni della provincia di Varese, riferiti al periodo 2002-2010<ref>Ivi, pp. 1-11</ref>. | |||
* Perpetrazione di alcuni attentati incendiari ai danni di diverse ditte (“ICOR” di Franco Luca, “Fratelli Mancuso s.r.l.”). | |||
* Attentato incendiario ai danni dell’autovettura privata di Orazio Di Dio, legale rappresentante della “Di Dio Fratelli s.r.l.”. | |||
* Estorsione di 1500 euro ad Arturo Trespoli, titolare della ditta “I.T.C.”. | |||
* Cessione coercitiva ad Antonio Torretta, prestanome dei Nicastro e di Rosario Bonvissuto, di un ramo d’azienda della ditta “Seprio Gru” di Valerio Brazzelli. | |||
* Attentato incendiario al locale “Brazz Caffè” di Valerio Brazzelli ed Erika Pozzer a seguito del rifiuto di consegnare denaro ed autovetture. | |||
* Pretesa di pagamento di 30.000 euro per un’attività d’intermediazione mai effettuata con minacce di morte nei confronti di Claudio Landonio e Diego Murroni. | |||
* Appropriazione indebita del motociclo di Diego Murroni con minaccia di ritorsioni in caso di denuncia. | |||
* Attentato incendiario ai danni del “Bar da Giovanni” con conseguente richiesta di un prestito di 1.000 euro. | |||
Nei confronti di Karin Scabari e Gianmario Siracusano: | |||
* Acquisto, da parte degli indagati, di una villa intestata alla Scabari tramite assegni mensili, tuttavia intimando in seguito di non incassarli poiché privi di copertura; | |||
* Numerosi pranzi e cene mai pagate presso il loro ristorante “La Dolce Giorgy” (di proprietà della madre della Scabari); | |||
* Estorsione continuativa di somme di denaro per “garantire protezione” alle loro attività economiche; | |||
* Pretesa di consegna di tre autovetture senza restituzione; | |||
* Consegna coercitiva di buoni pasto per un valore di 800 euro; | |||
* Minacce nei confronti di Massimo Todeschini al fine di ottenere 10.000 euro per un investimento; inoltre intimidazioni a pagare loro una casa nella località marittima di Pedaso (FM). | |||
== Il processo == | |||
Gli indagati, poi divenuti imputati al processo, erano cinque: | |||
* Bonvissuto Rosario | |||
* Napolitano Emanuele | |||
* Nicastro Fabio | |||
* Nicastro Dario | |||
* Vizzini Rosario | |||
Tre invece i collaboratori di giustizia | |||
* Mendolia Carmelo | |||
* Smorta Crocifisso | |||
* Bernascone Angelo | |||
=== Fase dibattimentale === | |||
=== Sentenza di primo grado === | |||
=== Ulteriori gradi di giudizio === | |||
==== Appello ==== | |||
==== Cassazione ==== | |||
== Note == | |||
<references></references> | |||
== Bibliografia == | |||
* Di Lorenzo Paola (2011) ''Ordinanza applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere - Procedimento Penale n. 20666\10 R.G.N.R.'', Tribunale di Milano - Ufficio del GIP, 23 Marzo. | |||
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L'Operazione Fire Off è stata un'inchiesta antimafia della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, coordinata dal Procuratore Aggiunto Ilda Boccassini e dal Sostituto Procuratore Nicola Piacente. Scattata il 23 marzo 2011, portò all'arresto di cinque persone di origine gelese nel territorio di Busto Arsizio per associazione di tipo mafioso.
Antefatti
Le indagini partirono la sera del 30 dicembre 2009, quando in via Signorelli ad Induno Olona, in provincia di Varese, due autovetture parcheggiate presero fuoco, provocando l’esplosione di una terza e il conseguente ferimento di diversi uomini dei Vigili del Fuoco intervenuti in soccorso. I presenti comunicarono che il pregiudicato Albano Bruno Bellinato, ivi residente, affermò: “Questo era per me!”. Egli poi riferì all’Arma dei Carabinieri e alla Polizia di Stato che Fabio Nicastro, divenuto poi uno dei principali indagati, lo aveva minacciato di attirarlo in una trappola per ucciderlo.[2]
Grazie al prosieguo delle indagini, svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, ai collaboratori di giustizia Carmelo Mendolia e Crocifisso Smorta, e all’ex collaboratore di giustizia Angelo Bernascone, si sarebbe poi venuti a conoscenza del complesso intreccio di gruppi criminali mafiosi nella zona del bustocco, collegati a Cosa Nostra ed alla Stidda.
Le attività criminali principali erano le estorsioni, principalmente nei confronti di imprenditori edili gelesi (“Il settore edilizio viene ritenuto più sicuro rispetto alla droga”[3]), precedute da violenti atti intimidatori, tipici del metodo mafioso.
Nell’ambiente imprenditoriale bustocco, specialmente di origine siciliana, sarebbe stata nota l’appartenenza di Rosario Vizzini e Fabio Nicastro a famiglie mafiose, le loro pregresse vicende giudiziarie, nonché il loro ricorso sistematico alle minacce, alla violenza e all’intimidazione.[4] In particolare, le vittime sarebbero state obbligate a consegnare periodicamente somme di denaro, a mettere a disposizione degli indagati autovetture di grossa cilindrata e buoni pasto, cedere loro rami d’azienda, merci ed attrezzature.[5]
Crocifisso Smorta, ex reggente della famiglia gelese degli Emmanuello-Rinzivillo di Cosa Nostra, spiegò agli inquirenti come gli introiti delle suddette estorsioni sarebbero stati divisi al 50% con i gruppi storicamente contrapposti della Stidda.[6]
Rosario Vizzini, però, stiddaro più importante e rispettato dell’asse gelese-bustocco (e lombardo), sarebbe stato colui che decideva gli affari della zona di Busto Arsizio. Dall’interrogatorio di Smorta, infatti, si evincono importanti informazioni sul grado di libertà di cui avrebbe goduto il gruppo mafioso ed il suo reggente:
«L’uomo d’onore che si trova fuori di Gela è autonomo nelle sue decisioni. Può cioè scegliere le persone di sua fiducia, senza che siano necessariamente uomini d’onore, e può decidere quali attività illecite intraprendere. Deve solo informare il suo punto di riferimento nella famiglia a Gela dell’illecito che lui porta avanti e consegnare gli utili (se si tratta di droga deve dare una percentuale alla famiglia). Per quanto riguarda gli omicidi, l’uomo d’onore che si è stabilito fuori da Gela, se vuole uccidere un altro uomo d’onore, deve prima informare il suo capo ed avere l’assenso. Se l’uomo d’onore che si è stabilito fuori da Gela vuole uccidere un’altra persona può agire, ma deve spiegarne le ragioni al suo punto di riferimento»[7].
Gli atti intimidatori
Diversi sono stati gli atti intimidatori accertati nella fase delle indagini a Busto Arsizio e in altri comuni della provincia di Varese, riferiti al periodo 2002-2010[8].
- Perpetrazione di alcuni attentati incendiari ai danni di diverse ditte (“ICOR” di Franco Luca, “Fratelli Mancuso s.r.l.”).
- Attentato incendiario ai danni dell’autovettura privata di Orazio Di Dio, legale rappresentante della “Di Dio Fratelli s.r.l.”.
- Estorsione di 1500 euro ad Arturo Trespoli, titolare della ditta “I.T.C.”.
- Cessione coercitiva ad Antonio Torretta, prestanome dei Nicastro e di Rosario Bonvissuto, di un ramo d’azienda della ditta “Seprio Gru” di Valerio Brazzelli.
- Attentato incendiario al locale “Brazz Caffè” di Valerio Brazzelli ed Erika Pozzer a seguito del rifiuto di consegnare denaro ed autovetture.
- Pretesa di pagamento di 30.000 euro per un’attività d’intermediazione mai effettuata con minacce di morte nei confronti di Claudio Landonio e Diego Murroni.
- Appropriazione indebita del motociclo di Diego Murroni con minaccia di ritorsioni in caso di denuncia.
- Attentato incendiario ai danni del “Bar da Giovanni” con conseguente richiesta di un prestito di 1.000 euro.
Nei confronti di Karin Scabari e Gianmario Siracusano:
- Acquisto, da parte degli indagati, di una villa intestata alla Scabari tramite assegni mensili, tuttavia intimando in seguito di non incassarli poiché privi di copertura;
- Numerosi pranzi e cene mai pagate presso il loro ristorante “La Dolce Giorgy” (di proprietà della madre della Scabari);
- Estorsione continuativa di somme di denaro per “garantire protezione” alle loro attività economiche;
- Pretesa di consegna di tre autovetture senza restituzione;
- Consegna coercitiva di buoni pasto per un valore di 800 euro;
- Minacce nei confronti di Massimo Todeschini al fine di ottenere 10.000 euro per un investimento; inoltre intimidazioni a pagare loro una casa nella località marittima di Pedaso (FM).
Il processo
Gli indagati, poi divenuti imputati al processo, erano cinque:
- Bonvissuto Rosario
- Napolitano Emanuele
- Nicastro Fabio
- Nicastro Dario
- Vizzini Rosario
Tre invece i collaboratori di giustizia
- Mendolia Carmelo
- Smorta Crocifisso
- Bernascone Angelo
Fase dibattimentale
Sentenza di primo grado
Ulteriori gradi di giudizio
Appello
Cassazione
Note
- ↑ Ordinanza applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, Procedimento Penale n. 20666\10 R.G.N.R, p. 19
- ↑ Di Lorenzo Paola (2011) Ordinanza applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere - Procedimento Penale n. 20666\10 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio del GIP, 23 Marzo
- ↑ Ivi, p. 19
- ↑ Ivi, p.2
- ↑ Ibidem
- ↑ Ivi, p. 13
- ↑ Ivi, p. 14
- ↑ Ivi, pp. 1-11
Bibliografia
- Di Lorenzo Paola (2011) Ordinanza applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere - Procedimento Penale n. 20666\10 R.G.N.R., Tribunale di Milano - Ufficio del GIP, 23 Marzo.