Fallito Attentato di via Fauro: differenze tra le versioni
m (Sostituzione testo - "Categoria:Stragi di Mafia" con "Categoria:Stragi di mafia") Etichette: Modifica da mobile Modifica da web per mobile |
|||
(Una versione intermedia di uno stesso utente non è mostrata) | |||
Riga 70: | Riga 70: | ||
[[Categoria: | [[Categoria:Stragi di mafia]] |
Versione attuale delle 10:39, 26 ott 2023
Con l'espressione "Fallito Attentato di via Fauro" ci si riferisce al progetto di agguato messo in atto da alcuni esponenti di Cosa Nostra ai danni del giornalista Maurizio Costanzo il 14 maggio 1993 a Roma, in Via Fauro.
L'attentato
Alle 21:35 del 14 maggio 1993 una violentissima esplosione provocò gravi danni ai palazzi di via Ruggero Fauro, in particolare a quelli dei civici 60, 62 e 64 e al civico 5 di via Boccioni. Gravi danni si riscontrarono anche in circa sessanta vetture parcheggiate nella zona. L'esplosione, proveniente da una Fiat Uno bianca parcheggiata nella via, provocò la formazione di una voragine profonda circa quaranta centimetri e larga tre metri.
Al momento dell'esplosione erano in transito su via Fauro due autovetture: una Mercedes guidata da Stefano Degni, con a bordo Maurizio Costanzo e la moglie Maria De Filippi, miracolosamente usciti illesi, e una Lancia Thema con a bordo Domenico De Paolo e Aldo Re, guardie del corpo private di Costanzo. Le due vetture rimasero gravemente danneggiate; De Paolo riportò lesioni da taglio guarite in 20 giorni, mentre Aldo Re riportò lesioni che gli lasciarono negli anni crampi alla testa.
La Fiat Uno bianca imbottita di esplosivo era stata rubata la notte tra l'11 e il 12 maggio mentre era parcheggiata in via Ludovico di Savoia, di fronte alla sede della società a cui era intestata, la ISAF srl; il furto fu denunciato da Linda Corbani, amministratrice della società.
Come fu accertato in sede giudiziaria[1], l'auto su cui viaggiava Costanzo non venne investita dalla potenza dell'esplosione grazie al muro di recinzione della scuola San Pio XI che fece da scudo.
Antefatti e cause
Maurizio Costanzo fu considerato un obiettivo da Cosa Nostra a causa del suo impegno antimafia in televisione. In particolare, fu la maratona[2] contro la mafia di cinque ore in onda su due reti televisive concorrenti (Rai3 e Canale5) il 26 settembre 1991, un mese dopo l’assassinio di Libero Grassi, alla quale partecipò anche Giovanni Falcone: con collegamenti da Milano, Palermo e Reggio Calabria, la maratona iniziò alle 20:30 su Rai3, con il programma "Samarcanda" condotto da Michele Santoro, e continuò dalle 23:00 all'1 su Canale5 con il "Maurizio Costanzo Show".
Il fatto che Maurizio Costanzo facesse trasmissioni contro la mafia fu il motivo che spinse Cosa Nostra a colpirlo. Il pentito Vincenzo Sinacori, già capo-mandamento di Mazara del Vallo nel 1992 e collaboratore di giustizia dal settembre 1996, affermò infatti: "e Costanzo poi venni a sapere che era un obiettivo perché con le sue trasmissioni ci dava molto fastidio [...] si parlò di una trasmissione che fece lui dove si parlava di ricoveri facili all'ospedale e che lui in quella trasmissione disse che dovevano effettivamente avere tutti tumori o dovevano morire tutti di cancro gli uomini d'onore. Questo fu una causa scatenante."[3]
L'attentato ai danni del giornalista venne progettato nel settembre-ottobre 1991 da Salvatore Riina durante una riunione a Castelvetrano. A questa riunione erano presenti oltre al boss, Vincenzo Sinacori, Matteo Messina Denaro, i fratelli Graviano e Mariano Agate.
Gli obiettivi principali di Cosa Nostra in quel periodo erano il giudice Giovanni Falcone e il ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli. Maurizio Costanzo era invece un obiettivo secondario. Sinacori a tal riguardo dichiarò[4]: "In questo incontro Totò Riina ci disse che dovevamo incominciare a pensare sia a Falcone che a Martelli. (…) e se non trovavamo loro, dovevamo vedere se incontravamo o Costanzo o qualche giornalista di quelli che in quel periodo ci davano fastidio."
Le riunioni operative per l'attentato si svolsero a Palermo, nella casa del mafioso Gerolamo "Mimmo" Biondino. Matteo Messina Denaro venne incaricato di procurare l'esplosivo, mentre Vincenzo Sinacori del trasporto dell’esplosivo e delle armi a Roma. Per svolgere tale operazione venne costruita appositamente un'intercapedine sul camion.
I sodali, giunti a Roma, iniziarono a cercare il giudice Falcone e il ministro Martelli nelle zone maggiormente frequentate dai soggetti, come ad esempio ristoranti nei pressi della Cassazione e del Ministero di Grazia e Giustizia, ma la ricerca non diede alcun risultato.
Decisero quindi di rivolgere la loro attenzione al giornalista Maurizio Costanzo, facilmente individuato e pedinato per circa tre giorni. Nel corso dei pedinamenti acquisirono due fatti decisivi per scegliere la strada dell'esplosivo: Costanzo era scortato da un'auto e la sua abitazione era protetta da personale di guardia.
Quando Sinacori contattò Riina tramite Salvatore Biondino per avere il via libera all'operazione, venne stoppato perché "avevano trovato cose più grosse giù". Così Sinacori tornò a Roma, comunicando la decisione a Messina Denaro[5]
La seconda fase del progetto fu raccontata da un altro esponente di Cosa Nostra, collaboratore di giustizia dal febbraio 1996: Antonio Scarano, originario di Catanzaro ma residente a Roma, entrato in contatto con Messina Denaro intorno agli anni Ottanta e coinvolto negli anni Novanta nell'organizzazione delle stragi.
Nel maggio 1993 fu proprio Scarano che fornì alloggio a tutti i sodali nella casa del figlio Francesco, in quel periodo in carcere. Coinvolto nel progetto stragista, iniziò a occuparsi dei pedinamenti di Costanzo e dei relativi sopralluoghi per circa tre giorni, accompagnato da Cannella, Benigno e Lo Nigro.
Al compimento del terzo giorno, rubarono una Fiat Uno bianca (utilizzata poi nell'attentato) e il giorno successivo prelevarono l’esplosivo portato a Roma da Messina Denaro nel 1992 e nascosto in casa di Scarano.
L'autobomba fu preparata il pomeriggio dello stesso giorno presso il centro commerciale Le Torri: l'esplosivo, circa 110 Kg, fu sistemato nel bagagliaio della Fiat. Nel tardo pomeriggio l'auto venne parcheggiata in via Fauro in attesa del passaggio di Maurizio Costanzo. Qualcosa però andò storto: l’auto non esplose a causa di un guasto al congegno.
Il giorno dell’attentato
Riparato il guasto, la sera del 14 maggio 1993 alle 21.35 avvenne l’esplosione, ma nonostante lo scoppio della bomba anche questa volta qualcosa non andò secondo le previsioni. Maurizio Costanzo e sua moglie Maria De Filippi scamparono all'attentato per pochi secondi. Rimasero invece feriti seppur non in modo grave le due guardie del corpo di Costanzo.
Disse Scarano al processo: "La sera dell’esplosione praticamente hanno sbagliato perché si aspettava un 164 che ci doveva stare il dottor Costanzo dentro. E invece è uscita una Mercedes. Però Benigno ha perso un po’ di tempo nel senso di "é lui? Non è lui? Allora ha schiacciato il bottone diciamo con qualche secondo, diciamo, o millesimo di secondo, in ritardo."[6]
La notte successiva all'attentato tutti lasciarono Roma, chi in macchina chi in treno, eccetto Cannella che si recò in Nord Italia.
Le diverse interpretazioni dell'attentato
L'interpretazione dei fatti di Via Fauro non è univoca.
Secondo il medico Gioacchino Pennino, massone, membro di Cosa Nostra e collaboratore di giustizia, l'attentato doveva andare proprio come andò[7]. Doveva cioè essere soltanto un avvertimento a Maurizio Costanzo a causa del suo impegno giornalistico contro Cosa Nostra e che meditava di entrare in politica assieme a Michele Santoro: "La matrice dell'attentato a Costanzo, per quello che io ho creduto, o penso di aver capito, era quella di dare un segnale che non si doveva mettere in politica"[8]
Anche il pentito Tullio Cannella avvallò la stessa tesi, riportando ciò che gli disse Bagarella in merito alle stragi del 1993 e in particolare riguardo Via Fauro: "‘U vedi, ora ‘u Costanzo con ‘sta bumbiciedda s’assistemò” , nel senso mi ha detto: "Vedi, Costanzo, con questa piccola bomba si è sistemato, si è tranquilizzato". [9] Disse anche che Bagarella gli parlò di "amici di canale 5": "No, l’importante era farlo impaurire. Sai, non è il caso, perché essendo amico di amici di Canale 5, non era il caso di farlo morire."
Infine, un’ultima interpretazione avanzata da alcuni difensori avvalla l’ipotesi che il destinatario dell’attentato non fosse Maurizio Costanzo, bensì Lorenzo Narraci, funzionario del Sisde che abitava proprio in Via Fauro, il cui nome fu ritrovato in un biglietto nel luogo della strage di Capaci. Tale tesi però non fu accolta dalla magistratura fiorentina che nella motivazione della sentenza per le Stragi del 1993 scrisse: "La tesi, però, è veramente peregrina e insostenibile, giacchè non v’è nulla, nemmeno il più labile indizio, che possa sostenerla. Infatti il dottor Narracci è stato esaminato all"udienza del 21 dicembre 1996 ed ha dichiarato di essere rientrato in casa, il giorno 14 maggio 1993, verso le ore 16.30 e di non essersi più mosso fino all"ora dell’esplosione. Come si potesse attentare alla vita del dottor Narracci facendo esplodere un’autobomba a circa 150 metri dalla sua abitazione nessuno lo ha mai spiegato."[10]
Le indagini e i processi
Note
- ↑ Gaetano Tomaselli, Sentenza di primo grado, II Corte di Assise di Firenze, 6 giugno 1998, p.56-64
- ↑ Laura Delli Colli, Rai e Fininvest contro la Mafia, la Repubblica, 26 settembre 1991
- ↑ Maurizio Torrealta, La trattativa, Milano, BUR, 2010 pag. 498
- ↑ Ibidem
- ↑ Ivi, p. 501
- ↑ Ivi, p. 503
- ↑ Testimonianza di Pennino al Tribunale di Firenze, 30 giugno 1999
- ↑ Maurizio Torrealta, La trattativa, Milano, BUR, 2010 p.504
- ↑ Ivi, p. 506
- ↑ Ivi, pp. 507-508
Bibliografia
- Giovanni D'Urso, Sentenza n. 433/02, Corte di Cassazione - I sezione Penale, 6 maggio 2002
- Gaetano Tomaselli, Sentenza di primo grado, II Corte di Assise di Firenze, 6 giugno 1998
- Maurizio Torrealta, La trattativa, Milano, BUR, 2010