Aggravante mafiosa

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L'aggravante mafiosa fu introdotta all'art. 7 del decreto legge n. 152 del 13 maggio 1991, convertito successivamente nella legge n. 203 del 12 luglio successivo, recante “provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa”.

Disciplina e giurisprudenza

Si tratta di una circostanza a effetto speciale che ha lo scopo di sanzionare più gravemente tutte quelle condotte “contigue”, penalmente rilevanti, di “manifesta criminosità”, ma connotate da una particolare inafferrabilità. La ratio di tale aggravante, elettivamente destinata ai soggetti estranei all’associazione, indica chiaramente la volontà legislativa di “coprire” penalmente, con l’applicazione di una sanzione più grave, i comportamenti dei “fiancheggiatori” dell’associazione mafiosa[1].

L’art. 7 prevede, nello specifico, due ipotesi in grado di aggravare i delitti comuni:

  1. l’aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.;
  2. l’aver agito al fine di agevolare l’associazione mafiosa.

L’aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.

La prima ipotesi contemplata dall’art. 7 prevede un aggravio di pena per il soggetto che abbia agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis del codice penale. Questa ipotesi fa dunque riferimento a quei casi in cui la condotta si contraddistingua per la forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo o per il giovamento delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano.

Più in particolare, la forza intimidatrice consiste in una «una forza capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano a contatto con l’agente»[2]; l’assoggettamento costituisce quella «condizione di essere esposti al pericolo senza possibilità di difesa, in stato di soggezione e di soccombenza di fronte alla forza della prevaricazione»[3]. La situazione di omertà, inoltre, deve ricollegarsi essenzialmente alla forza intimidatrice dell’associazione.

Il richiamo esplicito alle caratteristiche strutturali del delitto di cui all’art. 416 bis non comporta necessariamente che l’autore del reato sia un associato, ma la caratteristica fondante è costituita dalle modalità dell’azione: essa non va parametrata al timore che subisce la vittima del reato bensì al comportamento dell’agente.

Questa interpretazione è stata confermata da una cospicua giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «i caratteri mafiosi del metodo utilizzato per commettere un delitto non possono essere desunti dalla mera reazione della vittima alla condotta tenuta dall’imputato, ma devono concretizzarsi in un comportamento oggettivamente idoneo a esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale evocata».

Ai fini della configurabilità, non è sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità organizzata o la “caratura mafiosa” degli autori del fatto, ma è necessaria la concreta realizzazione di una condotta secondo le modalità tipizzate dall’art. 416 bis. Tuttavia, nella prassi si richiede unicamente la prova della consapevolezza, indotta nella persona offesa, che l’autore del reato appartenga o comunque sia “spalleggiato[4] da un’organizzazione criminale. Anche se molto spesso, in assenza di una prova di tale consapevolezza, ci si affida alla percezione della forza criminale dell’organizzazione, alla sua egemonia, così come avvertita nel territorio: una sorta di associazione a delinquere di stampo mafioso ambientale, con tutte le perplessità di legittimità costituzionale connaturate a tale interpretazione.

L’aver agito al fine di agevolare l’associazione mafiosa

La seconda ipotesi contemplata dall’art. 7 prevede un aggravio di pena per il soggetto che agisce al fine di agevolare l'associazione mafiosa, che non esclude il perseguimento di un interesse proprio dell’agente, che procede parallelamente all’intenzione di agevolare l’associazione.

Il nuovo articolo 416 bis 1 del Codice Penale

Con l'art. 5 del decreto legislativo n. 21 del 1° marzo 2018, recante "Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103", l'aggravante mafiosa venne inserita nel codice penale in un nuovo articolo, il "416 bis 1", con decorrenza dal 6 aprile 2018. La formulazione è la seguente:

Per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 concorrenti con l'aggravante di cui al primo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.

Per i delitti di cui all'articolo 416 bis e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso, nei confronti dell'imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati, la pena dell'ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà.

Nei casi previsti dal terzo comma non si applicano le disposizioni di cui al primo e secondo comma.

Per i delitti aggravati dalla circostanza di cui al primo comma si procede sempre d'ufficio[5].

La natura soggettiva dell'aggravante mafiosa

Nel 2020, con la sentenza n. 8545, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’aggravante «ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità».

Note

  1. Si veda in proposito Mauro Ronco (2013). "L’art. 416 bis nella sua origine e nella sua attuale portata applicativa", in Il diritto penale della criminalità organizzata, (a cura di) Romano Bartolomeo e Tinebra Giovanni, Milano, Giuffrè Editore, p. 92
  2. Ex pluris Cfr. Cass. Pen., sez. I, del 16 maggio 2011, n. 25242, in Costantino De robbio (2013). "La c.d. «aggravante mafiosa»: circostanza prevista dall’art. 7 del d. lg. n. 152 del 1991", in Giur. Mer., 7-8, p.1617.
  3. Ex pluris si veda "Cass. Pen., sez. I, del 23 aprile 2010, n. 29924", in Costantino De robbio, op. cit., p. 1617.
  4. Alma, Marco Maria (2011). L’aggravante dell’art. 7 d.lgs. 152/91 come strumento di qualificazione di condotte neutre, Milano, Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio dei Referenti per la formazione decentrata Distretto di Milano, 31 gennaio.
  5. Comma aggiunto dalla L. 24 maggio 2023, n. 60.

Bibliografia

  • Alma, Marco Maria (2011). L’aggravante dell’art. 7 d.lgs. 152/91 come strumento di qualificazione di condotte neutre, Milano, Consiglio Superiore della Magistratura - Ufficio dei Referenti per la formazione decentrata Distretto di Milano, 31 gennaio.
  • Finocchiaro, Stefano (2020). Le Sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, Sistema Penale[1].
  • Romano Bartolomeo e Tinebra Giovanni (a cura di) (2013). Il diritto penale della criminalità organizzata, Milano, Giuffrè Editore.