Strage di Feudo Nobile

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La Strage di Feudo Nobile è stata un attentato mafioso, avvenuto il 28 gennaio 1946 a Gela, in provincia di Caltanissetta, in cui persero la vita otto carabinieri.

La Strage

Finita la seconda guerra mondiale la Sicilia era un cumulo di macerie, desolazione e povertà regnavano sovrani. Gli Alleati, aiutati anche da componenti criminali mafiose, erano riusciti a sbarcare in Sicilia. Così anche dei capimafia dell'epoca arrivarono ad occupare ruoli di primo piano, come sindaci, in diversi Comuni, accrescendo in maniera esponenziale il potere delle cosche.

Nella parte occidentale dell’isola era presente la banda di Salvatore Giuliano mentre in quella orientale prendeva piede quella di Salvatore Rizzo e Rosario Avila.

Il 10 gennaio 1946 una pattuglia di carabinieri lasciò la piccola caserma di Feudo Nobile, unica nella zona, per effettuare un controllo in seguito ad una segnalazione della presenza di un pascolo abusivo.

La pattuglia era composta da cinque uomini: Vittorio Levico, Emanuele Greco, Pietro Loria, Mario Boscone e lo stesso brigadiere Vincenzo Amenduni; i tre restanti carabinieri Mario Spampinato, Giovanni La Brocca e Fiorentino Bonfiglio rimasero a presidiare la caserma. La pattuglia, dopo aver effettuato il controllo cadde vittima di un'imboscata dei banditi di Rizzo e Avila. I militari cercarono di opporre una forte resistenza ma, dopo un durissimo scontro, vennero comunque fatti prigionieri, mentre i tre carabinieri rimasti in caserma furono uccisi. Venne intavolata una una vera e propria “trattativa” con lo Stato per la liberazione dei militari.

Le richieste erano chiare: la liberazione di alcuni capi indipendentisti, in particolare Concetto Gallo, arrestato pochi giorni prima, oppure l’amnistia per la banda e un’agevole fuga all'estero. Il negoziato andò avanti per quasi tre settimane senza raggiungere un risultato. I carabinieri furono costretti a spostarsi da una masseria all'altra, legati e seminudi, sottoposti ad ogni genere di torture e sevizie da parte dei banditi. Il 28 gennaio le trattative naufragarono in modo irreversibile. Così Salvatore Rizzo ordinò di uccidere con i mitra tutti gli otto carabinieri a Feudo Rigiulfo, a ridosso della contrada Bubonia, ricadente nel territorio di Mazzarino. Quella zona venne scelta perché ricca di buche artificiali per l’estrazione dello zolfo.

Il ritrovamento dei caduti, avvenuto il 25 maggio 1946, fu possibile in seguito alle dichiarazioni di uno dei membri della banda che partecipò all'eccidio, tale Giuseppe Milazzo, il quale, dopo stringenti interrogatori, confessò il delitto rivelando il luogo e le modalità della strage. Condannato all'ergastolo, prima di morire Milazzo riferì un ulteriore dettaglio: la sera prima del 28 gennaio un giovane elegante, mai identificato, si sarebbe presentato nel luogo in cui si trovava Salvatore Rizzo per comunicare che ogni trattativa per i militari era fallita.

Bibliografia

  • Archivio Storico de l’Unità
  • Sito Web dell’Arma dei Carabinieri