Prima guerra di 'ndrangheta

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Qui non c’è ‘ndrangheta di Mico Tripodo, non c’è ‘ndrangheta di ‘Toni Macrì, non c’è ‘ndrangheta di Peppe Nirta! Si dev’essere tutti uniti, chi vuole stare e chi non vuole se ne va!
(Giuseppe Zappia, capobastone di S. Martino di Taurianova, durante il Summit di Montalto)


La Prima guerra di ‘ndrangheta è stato un conflitto interno all'organizzazione mafiosa calabrese che si combatté dal 1974 al 1977 e causò 233 morti. Lo scontro avvenne tra le principali 'ndrine della provincia di Reggio Calabria, opponendo le nuove generazioni alle vecchie. A vincere il conflitto furono i Piromalli, Mazzaferro, Cataldo, Mammoliti e i De Stefano, mentre i perdenti furono i Macrì e i Tripodo.

Storia

Origini e Cause

All’inizio degli anni ’70 i clan più potenti della provincia di Reggio Calabria erano quelli di San Luca con i Nirta ('ndrina) ‘La Maggiore’, i Pelle e i Romeo, a Siderno con i Macrì, a Locri con i Cataldo e i Cordì, a Marina di Gioiosa Jonica con i Mazzaferro, a Gioiosa Jonica con gli Ursino, a Reggio Calabria con i Tripodo e i De Stefano, a Gioia Tauro con i Piromalli, a Rosarno con i Pesce-Bellocco e a Oppido Mamertina (frazione Castellace) con i Mammoliti. Come dimostrò la strage di Locri del ’67 i clan risultarono particolarmente attivi nel contrabbando di sigarette, ciò consenti di relazionarsi con le cosche più potenti di Cosa nostra e della camorra.

I boss più influenti del periodo erano Antonio Macrì, i fratelli Nirta, Domenico Tripodo e Girolamo Piromalli. Macrì e Tripodo si opposero ai sequestri di persona e alle ambizioni della cosca De Stefano. In una riunione a Gioia Tauro, le posizioni tra Macrì e Paolo De Stefano erano così distanti che arrivarono alle mani. Solo grazie alla mediazione di Piromalli si placarono gli animi, ma fu una cosa di facciata.

Alea Iacta Est

La goccia che fece traboccare il vaso fu l’omicidio di Giovanni De Stefano il 24 novembre 1974 al Roof Garden, un locale alla moda di Reggio Calabria. Nella sparatoria fu ferito anche il fratello Giorgio. L’omicidio fu commissionato dai Tripodo. Quello fu il primo atto della guerra di 'ndrangheta.

Come risposta all'omicidio, il 19 gennaio 1975 venne assassinato Antonio Macrì, all’età di 71 anni. Ad uccidere il boss nei pressi della bocciofila di Siderno a colpi di mitra furono Pasquale Condello e Giovanni Saraceno. Nell’attentato restò gravemente ferito anche il suo guardaspalle Giuseppe Commisso.

La mattanza

La guerra infiammò tutto il territorio calabrese: a Crotone si fronteggiavano i Feudale e i Vrenno; a Gioiosa Jonica gli Scali-Aquino contro i Mazzaferro; a Cosenza venne ucciso Luigi Palermo, detto “u Zorru”. Numerosi sono gli attentati Giuseppe Zappia, che aveva presieduto il Summit di Montalto.e.

I conflitti collegabili alla prima guerra di ‘ndrangheta e alle faide intestine tra clan dello stesso territorio causò molte vittime. Molti giovani affiliati furono ammazzati: nel luglio del ’76 furono assassinati nella Piana di Gioia Tauro Saverio Scarfò (21 anni), Domenico Amante (23 anni), Pasquale Ciccone (26 anni), nel settembre del ’76 a Locri venne ammazzato Nicola Sansalone, (18 anni) e a Rosarno fu ucciso Michele Bertolucci (18 anni) [1].

Il 26 agosto 1976 fu ucciso invece Domenico Tripodo presso il carcere di Poggioreale (Napoli), accoltellato durante l'ora d'aria da Salvatore Esposito e Agrippino Effige, due delinquenti assoldati da Raffaele Cutolo a seguito di una richiesta dei De Stefano, che gli offrirono anche un pagamento di cento o duecento milioni di lire. All’indomani dell’omicidio i famigliari del boss arrivarono da Fondi (Latina, Lazio) per cercare di visionare il cadavere ma gli inquirenti ne negarono il permesso[2].

La strage di Razzà

Il 1° aprile del 1977 in contrada Razzà di Taurianova ci fu un conflitto a fuoco tra Forze dell’Ordine e ‘ndranghetisti. A perdere la vita furono i carabinieri Stefano Condello e Vincenzo Caruso e i presunti boss Rocco e Vincenzo Avignone. L’eccidio avvenne perché i due carabinieri interruppero un summit in cui erano presenti diversi boss.

Il capitolo finale

L’ultima tappa della prima guerra di ‘ndrangheta fu l’omicidio ai danni di Giorgio De Stefano, avvenuta il 7 novembre nei pressi di Santo Stefano D’Aspromonte. Il boss trentaseienne era latitante. Secondo le ricostruzioni storiche, a volere la sua morte furono i principali esponenti della fascia jonica e tirrenica di Reggio Calabria, perché il rappresentante della cosca De Stefano voleva diventare il ‘capo dei capi’ della ‘ndrangheta. A seguito dell’eliminazione di Giovanni (’74) e Giorgio, il reggente della cosca divenne Paolo De Stefano.

Nonostante gli omicidi dei due fratelli De Stefano, il clan rientrò tra le fazioni vincenti della prima guerra di ‘ndrangheta, insieme ai Cataldo di Locri, i Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica e i Mammoliti di Castellace. L’esito finale di queste sanguinose rivalità rappresenta definitivamente il cambio generazionale tra la vecchia e la nuova ‘ndrangheta.

Le strategie della nuova 'ndrangheta

Nuovi equilibri di potere

A conclusione della prima guerra di ‘ndrangheta mutarono alcuni equilibri di potere interni. Gli omicidi dei boss Antonio Macrì e Domenico Tripodo favorì una presa di potere dei Commisso a Siderno e dei De Stefano a Reggio Calabria. Attraverso la stagione dei sequestri i Barbaro di Platì divennero una delle cosche più influenti della ‘ndrangheta. Il potere delle cosche situate nella Piana di Gioia Tauro non subì contraccolpi. Un altro clan emergente che entrò a far parte dell’élite della mafia calabrese furono gli Iamonte di Melito di Porto Salvo.

I rapporti con la Nuova Camorra Organizzata

A seguito dell’omicidio di Don Mico Tripodo, i rapporti tra la ‘ndrangheta e la Nuova Camorra Organizzata si fecero più stretti.

Bibliografia

Note

  1. La guerra la fanno i giovani, L’Unità, 26 settembre 1976 [1]
  2. Sorvegliati gli uccisori del ‘boss’, L’Unità, 28 agosto 1976 [2]