Pool antimafia di Palermo

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Il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, separatamente, ognuno "per i fatti suoi", senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue potesse consentire, nell'interazione, una maggiore efficacia con un'azione penale coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità.
Paolo Borsellino
Pool Antimafia di Palermo


Per Pool antimafia di Palermo si intende solitamente il gruppo di magistrati impegnati contro la mafia in Sicilia, che portò all'istruzione del Maxiprocesso di Palermo. Nato da un'idea di Rocco Chinnici, dopo la sua morte venne sviluppato e reso operativo da Antonino Caponnetto. Il nucleo originario era composto dai giudici istruttori Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Fu istituito il 16 novembre 1983 e durò fino al marzo 1988, quando venne sciolto dal successore di Caponnetto, Antonino Meli.

Storia

L'idea di Chinnici: centralizzare le indagini sulla mafia

Prima dell'istituzione del Pool antimafia, non vi era alcun coordinamento sulle indagini di mafia: ogni giudice dell'Ufficio Istruzione lavorava in solitaria sui processi che gli venivano affidati, senza condividere le informazioni eventualmente utili ad altre indagini con i colleghi.

Dopo l'omicidio del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, avvenuto il 4 maggio 1980, e quello del procuratore Gaetano Costa, avvenuto il 6 agosto successivo, Rocco Chinnici, a capo dell'Ufficio Istruzione, decise di centralizzare le indagini sul fenomeno mafioso, al fine di favorire la circolazione e la condivisione delle informazioni emerse e, quindi, di avere un quadro globale sul fenomeno e le sue dinamiche criminali. In questo pool informale vennero chiamati a farne parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello.

Il Pool e il capo della Squadra Mobile, il vicequestore Ninni Cassarà, avviarono un'azione di contrasto a Cosa Nostra mai vista prima di allora. In particolare quest'ultimo stilò di persona il c.d. "Rapporto dei 162", considerato l'embrione dell'ipotesi investigativa alla base del Maxiprocesso. Tra i primi processi istruiti dal nuovo pool ci fu quello seguito da Falcone contro Rosario Spatola, che inaugurò sul campo il c.d. "Metodo Falcone", basato sull'analisi dei movimenti bancari.

Come ebbe modo di dichiarare Chinnici, "Un mio orgoglio particolare è una dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è un centro pilota della lotta antimafia, un esempio per le altre Magistrature d'Italia. I Magistrati dell'Ufficio Istruzione sono un gruppo compatto, attivo e battagliero".

Alla vigilia della firma sul mandato d'arresto per i cugini Ignazio e Nino Salvo[1], Rocco Chinnici fu ucciso da un'autobomba sotto casa, nella strage di via Pipitone Federico.

L'era Caponnetto e il Maxiprocesso

Pool antimafia di Palermo
Il pool antimafia, 29 luglio 1985. Da destra a sinistra: Giuseppe Di Lello, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta, Giovanni Falcone e Antonino Caponnetto (© Franco Zecchin)

La nomina del successore di Chinnici avvenne in tempi relativamente brevi: la strage fu il 29 luglio, il Consiglio Superiore della Magistratura decise a metà settembre. Delle iniziali venti domande, dopo diverse rinunce e scremature, il verdetto finale vedeva da una parte il sostituto procuratore generale di Firenze Antonino Caponnetto e dall'altra il presidente del Tribunale dei Minori di Palermo Antonio Marino.

Come ebbe modo di dichiarare Caponnetto in seguito, «Non nutrivo la minima speranza che la mia domanda fosse accolta. Volli tuttavia inoltrarla, più per mettermi a disposizione del ministero che come una vera e propria domanda di trasferimento»[2]. Alla fine, però venne scelto proprio lui: nato a Caltanissetta, da famiglia catanese, Caponnetto tornava nella sua terra da ragazzo, ma aveva sempre vissuto fuori. Non si era mai occupato di mafia e la sua conoscenza del fenomeno mafioso era puramente libresca. Tuttavia, il CSM lo scelse quasi all'unanimità: 28 voti favorevoli e 3 astensioni, determinate dai dubbi circa l'opportunità di scavalcare il criterio dell'anzianità, creando precedenti in materia[3].

Il primo contatto telefonico dopo la sua nomina lo ebbe con Giovanni Falcone, che lo chiamò per sollecitarne l'arrivo a Palermo, dato che nella stanza di Chinnici era fermo da due mesi il processo, che gli era stato assegnato, nato dal famoso rapporto dei 162, firmato da Ninni Cassarà e da Angiolo Pellegrini.

L'ufficio istruzione di Palermo

Caponnetto arrivò a Palermo la sera del 9 novembre e alla cerimonia di insediamento, l'indomani, giudicata "eccessivamente verbosa", concluse il suo breve discorso con queste parole: «La Sicilia ha pagato un alto tributo di sangue: spero che adesso ci lascino lavorare in pace».[4]

Alla fine della riunione che tenne con gli uomini del suo ufficio chiarì subito l'intenzione di confermare la linea inaugurata da Rocco Chinnici, annunciando però che sarebbe andato oltre, costituendo uno stabile gruppo di giudici istruttori destinati esclusivamente a occuparsi di processi di mafia, senza riempire le loro scrivanie di “processetti”,come aveva tentato di imporre a Rocco Chinnici il procuratore generale[5].

L'idea del Pool in questa nuova veste era mutuata dalle equipe di magistrati che avevano funzionato egregiamente nei processi contro il terrorismo: a tal proposito, Caponnetto chiese a Gian Carlo Caselli e a Ferdinando Imposimato (impegnati rispettivamente a Torino e a Roma in processi contro il terrorismo) copia dei provvedimenti che avevano emesso nell'ambito delle proprie inchieste e che avevano retto al vaglio della Cassazione: dopo averli studiati, il nuovo giudice istruttore formalizzò il Pool con un provvedimento che prendeva un po' dall'uno e un po' dall'altro, con cui in definitiva assegnava il procedimento a se stesso, rispettando la monocraticità del giudice istruttore in vigore all'epoca, ma, in considerazione della complessità dei procedimenti e della molteplicità degli atti da compiere, delegava il compimento dei singoli atti ai membri del Pool[6].

La data ufficiale di costituzione fu il 16 novembre 1983.[7].

Oltre a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, che facevano parte del primo Pool costituito da Chinnici, Caponnetto chiamò al suo fianco anche un magistrato di grande esperienza del fenomeno mafioso come Leonardo Guarnotta.

Il padre e i figli

Tra Caponnetto e i membri del Pool si instaurò un legame profondo, come tra un padre e i propri figli. Su di loro disse, anni dopo:

«Falcone lo conoscevano tutti: la sua straordinaria capacità di lavoro e la sua incredibile memoria"; "Paolo era più estroverso, si apriva facilmente, comunicava istintivamente un senso di serenità data la sua fede religiosa, che Falcone invece non possedeva in egual misura. Falcone non aveva attimi di abbandono o di confidenza: per questo mi stupirono le sue lacrime quando lasciai Palermo"; "Giuseppe Di Lello, grande magistrato, fu notato a vari convegni e dibattiti, conosciuto per i suoi scritti. Con gli anni avrei imparato a conoscerlo meglio. Di Lello è stato una rivelazione."; "Leonardo Guarnotta era il più anziano, dotato di notevole esperienza e una notevole preparazione giuridica. Giocava a calcio nonostante i miei divieti, si esponeva al rischio, e questo qualche volta alimentava le mie preoccupazioni. I quattro allievi di Chinnici rappresentavano il migliore patrimonio di quell'ufficio, sarebbero diventati i miei compagni di viaggio».[8].

Il Pool era solito riunirsi quasi ogni sera nell'ufficio di Caponnetto, consuetudine che fu poi spostata, per ragioni di sicurezza, nel bunker di Falcone, fornito di telecamere a circuito chiuso e porte blindate; il materiale processuale era conservato invece nelle casseforti di Falcone e Borsellino.[9]

Il punto di forza del Pool fu proprio questo, la quotidiana condivisione delle informazioni. Al suo interno non ci furono mai scontri tra i suoi membri, se non tra Falcone e Borsellino, ma per motivi marginali, legati alla gara su chi si ricordava meglio nomi, cognomi o famiglie mafiose. L'unico contrasto che vide Falcone da una parte e il resto del Pool dall'altra riguardò una questione squisitamente giuridica circa l'ipotizzabilità del concorso fra il reato di associazione a delinquere, art.416, per il periodo antecedente alla Legge Rognoni-La Torre, e il reato di associazione di stampo mafioso, 416 bis, per il periodo successivo. Per Caponnetto i due reati erano ontologicamente diversi, mentre per Falcone si configurava l'esistenza di un reato progressivo, quindi poteva essere tutto assorbito sotto il 416 bis[10]. Alla fine lo scontro si risolse con Falcone che accettò di essere in minoranza nel gruppo, benché non si fosse proceduto a una votazione in tal senso.

Con la mole di lavoro che andava aumentando, entrarono a far parte successivamente del Pool Giuseppe Ayala, che poi avrebbe rappresentato l'accusa al Maxiprocesso; Gioacchino Natoli, che si sarebbe occupato dell'Istruttoria; infine, Ignazio De Francisci. Il pool poteva contare anche su una serie di esponenti delle forze dell'ordine: il Capitano dei Carabinieri Angiolo Pellegrini, a capo della sezione Anticrimine di Palermo, il commissario della Squadra Mobile Beppe Montana e il suo vice Ninni Cassarà, nonché su Gianni De Gennaro, capo del nucleo operativo della Criminalpol, che poi si occupò anche dell'estradizione dal Brasile di Tommaso Buscetta.

Il pentimento di Buscetta

Tommaso Buscetta
Tommaso Buscetta

Il 1984 fu l'anno della svolta, con il pentimento di Tommaso Buscetta, il "boss dei due mondi", che con la sua collaborazione confermò le iniziali intuizioni del Pool e diede una chiave di lettura inedita dell'organizzazione "Cosa Nostra".

Il blitz di San Michele

Le dichiarazioni Buscetta sfociarono nel c.d. "blitz di San Michele": il 29 settembre 1984 furono spiccati 366 mandati di cattura nei confronti di altrettanti sospettati di far parte dell'organizzazione mafiosa "Cosa Nostra", così com'era scritto nella sentenza-ordinanza di oltre 8mila pagine. Si trattò dell'operazione antimafia più importante del secolo scorso[11]. Originariamente il blitz era previsto per la notte tra mercoledì e giovedì: Falcone fu però informato che il settimanale Panorama avrebbe dato la notizia della collaborazione di Buscetta il lunedì, facendo saltare così l'operazione. Lavorando giorno e notte il Pool riuscì ad anticipare il blitz tra sabato e domenica.[12]

Gli omicidi Montana e Cassarà

Beppe Montana
Beppe Montana
Ninni Cassarà
Ninni Cassarà

Proprio nel momento in cui l'avanzata del Pool sembrava inarrestabile, dopo un anno e mezzo di successi, nell'estate del 1985, in appena 9 giorni, Cosa Nostra azzerò la memoria storica delle forze di polizia, uccidendo prima il commissario Beppe Montana, il 28 luglio, poi il vicequestore Ninni Cassarà, il 6 agosto; insieme a quest'ultimo perse la vita anche Roberto Antiochia, rientrato in anticipo dalle ferie per scortare proprio Cassarà.

Il trasferimento di Falcone e Borsellino all'Asinara

Subito dopo gli omicidi Montana e Cassarà, Caponnetto ricevette la notizia che dal carcere era trapelato l'ordine di uccidere prima Borsellino e poi Falcone: in 48 ore il capo del Pool li fece trasferire insieme alle loro famiglie sull'Isola dell'Asinara: proprio mentre lo Stato stava costruendo l'Aula Bunker per processare Cosa Nostra si vedeva costretto a mandare due suoi rappresentanti in esilio su una piccola isola a nord della Sardegna[13].

Durante i 25 giorni di permanenza sull'Isola, i due si dedicarono alla stesura dell'ordinanza-sentenza del Maxiprocesso, sorvegliati e protetti sia via mare dalle motovedette che a terra dagli agenti. Non subito: Falcone e Borsellino, isolati e senza neppure la facoltà di comunicare con l'esterno per evitare di far rintracciare la propria posizione, ottennero solo dopo giorni gli atti necessari per continuare a scrivere l'ordinanza. In loro assenza avevano continuato a Palermo a scriverla Caponnetto, Guarnotta e Di Lello. A fare loro visita in quei giorni andarono Liliana Ferraro e Giuseppe Ayala. Nel mentre la primogenita di Borsellino, Lucia, complice lo stress causato dalla situazione, aveva smesso di mangiare, arrivando a pesare solamente 35 kg e costringendo il padre a riportarla segretamente a Palermo per curarla e fare ritorno pochi giorni dopo. Poi una mattina arrivò la comunicazione ufficiale: "Potete tornare in Sicilia".

La sera dell'8 novembre 1985, dopo enormi sacrifici e tanta fatica, venne depositata l'ordinanza-sentenza che chiudeva l'istruttoria.[14]. Il Maxiprocesso iniziò il 10 febbraio 1986.

L'incarico di Paolo Borsellino a Marsala

Il 19 dicembre dello stesso anno avvenne "il primo, naturale, indebolimento del Pool"[15]: Borsellino, che ambiva a ruoli più grandi, venne nominato Procuratore della Repubblica di Marsala, anche a riconoscimento del suo lavoro. Il periodo a Marsala fu idilliaco per Borsellino, il quale rivitalizzò quella procura, circondandosi di giovani magistrati ai quali insegnò molto. Ciononostante, Borsellino rimase sempre un referente sicuro per il Pool, in quanto nella provincia di Marsala le cosche avevano sempre goduto di una totale impunità e, quindi, molte inchieste finirono per intrecciarsi[16].

Lo scioglimento

Dopo la sentenza di primo grado al Maxiprocesso, che confermava il 16 dicembre 1987 per la prima volta in sede giudiziaria l'esistenza dell'organizzazione criminale "Cosa Nostra", Caponnetto si convinse, anche per le pressioni di Falcone e degli altri membri del Pool, a dare le dimissioni e a chiedere il trasferimento a Firenze, dove avrebbe trascorso gli ultimi due anni della sua carriera, prima della pensione. La sua decisione maturò anche per via della convinzione che il CSM avrebbe scelto sicuramente Falcone, da lui indicato pubblicamente come suo naturale successore.

Caponnetto lasciava un ufficio rivitalizzato, un metodo, uno stile, nonché un affiatamento tra colleghi e quella dimensione del "Noi" che per quasi cinque anni aveva contribuito a plasmare i più grandi successi contro la lotta alla mafia. Grazie a lui, era stato possibile dimostrare non solo che la mafia si poteva combattere ma anche che poteva essere condannata in tribunale.

Complice anche la polemica di Sciascia del 10 gennaio 1987 sui professionisti dell'antimafia, il CSM, che nel caso di Borsellino aveva messo davanti al principio di anzianità la competenza in materia di mafia, cambiò clamorosamente orientamento esattamente un anno dopo e bocciò la nomina di Falcone, preferendogli un magistrato più anziano, Antonino Meli, il quale inizialmente aveva fatto domanda per un altro incarico e poi fu orientato a presentarsi per il posto di capo dell'Ufficio Istruzione, che sarebbe stato comunque abolito con l'avvento del nuovo codice di Procedura Penale.

Tabella 1. Il risultato della votazione del 10 gennaio 1988 che bocciò Falcone
A favore di Meli: 14 A favore di Falcone: 10 Astenuti
Agnoli Francesco Mario Abbate Antonio Germano Lombardi Bartolomeo
Borrè Giuseppe Brutti Massimo Mirabelli Cesare (Vicepresidente)
Buonajuto Antonio Calogero Pietro Papa Renato Nunzio
Cariti Giuseppe Caselli Gian Carlo Pennacchini Erminio
Di Persia Felice Contri Fernanda Sgroi Vittorio
Geraci Vincenzo D'Ambrosio Vito
Lapenta Nicola Gomez d'Ayala Mario
Letizia Sergio Racheli Stefano
Maddalena Marcello Smuraglia Carlo
Marconi Umberto Ziccone Guido
Morozzo della Rocca Franco
Paciotti Elena Ornella
Suraci Sebastiano
Tatozzi Gianfranco

Appena insediatosi Meli stravolse l'organizzazione dell'ufficio voluta da Caponnetto, assegnando a ciascun magistrato del suo ufficio processi di mafia, parcellizzando le inchieste. Falcone fu sommerso di inchieste di serie B e messo nelle condizioni di non poter più lavorare. Stessa sorte toccò agli altri membri del Pool, finché nel marzo 1988 questo non venne definitivamente abolito[17].

Eredità

Il coordinamento della lotta alla mafia: la DNA e le DDA

Nonostante la soppressione del Pool, la sua esperienza fu di impulso poi alla creazione della Direzione nazionale antimafia e delle relative Direzioni Distrettuali Antimafia, ideate da Falcone mentre ricopriva l'incarico di Capo degli Affari Penali del Ministero della Giustizia e istituite con il decreto-legge n. 367 del 20 novembre 1991, poi convertito con modificazioni dalla legge n.8 del 20 gennaio 1992.

Note

  1. Il particolare fu raccontato durante il processo per la strage dall'allora Colonnello dei Carabinieri Angiolo Pellegrini (citato in Pellegrini, Noi, gli Uomini di Falcone, Milano, Sperling & Kupfer, 2015, p.3
  2. Antonino Caponnetto, I miei giorni a Palermo, Milano, Garzanti, 1992, p. 24
  3. Ivi, p. 25
  4. Ivi, p. 30
  5. Giuseppe Ayala, Chi ha paura muore ogni giorno, Milano, Mondadori, 2009, p. 80
  6. Caponnetto, op.cit., p.42
  7. Citato da Caponnetto durante l'intervista a Storie, Rai2, il 23 maggio 1996
  8. Antonino Caponnetto, op. cit., pp. 37-39
  9. Ivi, p. 42
  10. Ivi, p. 43
  11. Saverio Lodato, Quarant'anni di Mafia, Milano, Bur, p. 149
  12. Antonino Caponnetto, op.cit., pp. 53-54
  13. Giuseppe Ayala, op.cit., p. 131
  14. Antonino Caponnetto, op.cit., pp. 68-70
  15. Caponnetto, op.cit., p.71
  16. Ivi, p. 72
  17. Ivi, pp. 81-82

Bibliografia

  • Ayala, Giuseppe (2009). Chi ha paura muore ogni giorno, Milano, Mondadori.
  • Caponnetto, Antonino (1992). I miei giorni a Palermo, Milano, Garzanti.
  • Falcone, Giovanni (1991). Cose di Cosa Nostra, Milano, Rizzoli.
  • Lodato, Saverio (2013). Quarant'anni di Mafia, Milano, Bur.
  • Pellegrini, Angiolo (2015). Noi, gli Uomini di Falcone, Milano, Sperling & Kupfer.
  • Storie (1996). Intervista ad Antonino Caponnetto, Rai2, 23 maggio.