Tommaso Buscetta
Vita
Pentimento
Maxiprocesso
Tommaso Buscetta, in contemporanea con il Maxiprocesso, stava collaborando con le autorità statunitensi nell'ambito di indagini sul traffico di droga delle famiglie di Cosa nostra americana. Vista l'importanza del soggetto, fu richiesta una protezione aggiuntiva in aula, costituita da una gabbia di vetro antiproiettile.
La strage dei Buscetta
Tommaso Buscetta, ricevendo una telefonata da sua nuora lunedì 11 settembre 1982, seppe che i suoi due figli Benedetto e Antonio erano scomparsi il sabato precedente, chiaramente nell'ambito di una vendetta trasversale nei suoi confronti.
L'uccisione dei familiari di Buscetta proseguì il 24 dicembre 1982 con l'omicidio del genero, marito della figlia Felicia, insieme ad alcuni parenti della prima moglie di Buscetta. La strage avvenne nella pizzeria di proprietà del genero di Tommaso Buscetta. Due giorni dopo, il 26 dicembre, furono uccisi il fratello e il figlio, nipote di Tommaso.
La Seconda Guerra di mafia
Buscetta parlò della situazione venutasi a creare nella Commissione di Cosa nostra prima dello scoppio della Seconda Guerra di mafia. I membri legati ai palermitani vedevano di cattivo occhio le azioni dei corleonesi, come l'uccisione di alcuni uomini dello stato (ad esempio Emanuele Basile, Michele Reina, Piersanti Mattarella) senza averne prima discusso con i membri della Commissione stessa. Salvatore Inzerillo, per dimostrare la propria superiorità rispetto al clan dei Corleonesi, compì dunque un'azione analoga, ovvero l'uccisione del procuratore di Palermo Gaetano Costa. Il gesto di Inzerillo fu utilizzato dai Corleonesi per legittimare la sua successiva uccisione, in quanto fu mostrato come non fosse degno di stare nella Commissione.
La mappa delle famiglie
Così Buscetta disegna la mappa del potere di Cosa Nostra sulla città di Palermo:
- Porta Nuova: guidata da Pippo Calò, Salvatore Lo Presti, Gaetano Carollo, Giovanni Carollo, Salvatore Cocuzza
- San Lorenzo - Partanna: famiglie Bonanno, Madonia, Riccobono
- Uditore: famiglie Buscemi, Sciarrabba, Bonura
- Villagrazia: Vernengo, Pullarà, Bontade
- Corso dei Mille: Zanca, Marchese, Tinnirello
- Kalsa: Spadaro, Senapa
- Ciaculli: Greco, Prestifilippo, Puccio
Nel circondario di Palermo, questa è la suddivisione delle famiglie:
- Cinisi - Partinico: Di Maggio, Badalamenti, Coppola, Pipitone
- Bagheria: Alfano, Greco, Scaduto
- Corleone - Altofonte - San Giuseppe Jato: Bagarella, Brusca, Di Carlo, Geraci, Provenzano, Mutisi, Salomone, Luciano Liggio
Confronto con Pippo Calò
Durante il confronto fu sollevata la questione di un viaggio che Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo avrebbero effettuato a Roma per incontrare Pippo Calò e discutere della situazione di tensione venutasi a creare con i Corleonesi. Calò cercò di far leva sull'improbabilità di un viaggio così lungo solo per parlare con lui qualche minuto. Cercò poi di screditare Buscetta parlando di colloqui avuti con il fratello del pentito, suo amico. Le accuse non ebbero alcun esito, e furono numerosi i momenti in cui Calò non potè replicare a Buscetta. Fu introdotta poi dal pentito l'accusa per l'omicidio di Giovanni "Giannuzzo" La Licata, membro della famiglia di Porta Nuova. L'esito negativo del dialogo per Calò determinò la rinuncia di tutti gli imputati che avevano richiesto altri confronti con Tommaso Buscetta.
Altre dichiarazioni
Buscetta parlò di Antonino Salomone, mafioso dello schieramento perdente della Seconda Guerra di Mafia. Salomone tornò in Italia dal Brasile, dove si era trasferito e dove aveva avviato un'attività di costruzioni edili. Salomone era intanto divenuto cittadino brasiliano, e ciò rendeva ancora più inspiegabile il suo ritorno in Italia. Tommaso Buscetta affermò di avere la certezza matematica del fatto che Antonino Salomone avesse lasciato il Brasile per non essere costretto ad ucciderlo. Salomone era considerato il tramite tra i corleonesi e le famiglie americane per il traffico di stupefacenti. Antonino Salomone era stato poi arrestato nel 1984.
Quando fu chiamato a parlare al Maxiprocesso, Salomone smentì le dichiarazioni di Buscetta, affermando che l'odio tra le loro famiglie rimaneva invariato (odio che risaliva, a suo dire, addirittura all'essersi rifiutato di essere padrino del figlio di Tommaso Buscetta). Salomone dichiarò dunque che il suo ritorno in Italia aveva a che fare soltanto con vicende sue personali. Salomone ricordò inoltre di esser già stato condannato per traffico di stupefacenti, alludendo al fatto che il motivo del suo ritorno in Italia poteva anche risiedere in questioni legate al narcotraffico. Salomone negò inoltre di aver mai conosciuto Giovanni Bontade, dopo che quest'ultimo lo interrogò dalle celle dell'aula bunker.
Buscetta aggiunse dettagli riguardo contrasti interni alla famiglia Bontate. Giovanni Bontate voleva infatti scalzare dal ruolo di comando il fratello Stefano Bontate, membro della Commissione. Giovanni addirittura, secondo Buscetta, chiese a Stefano di dimettersi dalla Commissione, facendo anche pressioni sul "Papa" Michele Greco. Era inoltre accusato di aver agito in accordo con i Corleonesi per favorire l'omicidio del fratello. Questo conflitto andò poi ad avvantaggiare la fazione corleonese che approfittava della situazione di debolezza all'interno della famiglia avversaria. Il 22 maggio 1986 Giovanni Bontate comparve davanti ai giudici per discolparsi, confermando la sua totale estreneità ai fatti.
Buscetta parlò poi dell'omicidio di Salvatore Inzerillo, affermando che fu accompagnato a casa dell'amante da Giuseppe Montalto, figlio di Salvatore Montalto. Riguardo il figlio Giuseppe Inzerilo, Buscetta parlò di come fosse stato rapito dai Corleonesi, che prima di ucciderlo gli tagliarono il braccio dicendo che non avrebbe più potuto uccidere Salvatore Riina. Il ragazzo infatti aveva espresso propositi di vendetta per l'omicidio del padre.