Carlo Alberto dalla Chiesa

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Finché una tessera di partito conterà più dello Stato, non riusciremo mai a battere la mafia.
(Carlo Alberto dalla Chiesa)


Carlo Alberto dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 – Palermo, 3 settembre 1982) è stato un generale e prefetto italiano. Fondò il Nucleo Speciale Antiterrorismo e fu Vice Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri. Fu ucciso da Cosa Nostra, pochi mesi dopo la sua nomina a Prefetto di Palermo, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente Domenico Russo.

Carlo Alberto dalla Chiesa


Biografia

Primi anni e l'ingresso nell'arma dei Carabinieri

Nato a Saluzzo, in provincia di Cuneo, il padre Romano era un carabiniere, che nel 1955 sarebbe poi diventato vice-comandante generale dell’Arma. Ventunenne, il giovane Carlo Alberto partecipò alla guerra in Montenegro con il grado di sottotenente e divenne ufficiale di complemento di fanteria nel 1942. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale entrò a far parte dell’Arma dei Carabinieri, seguendo le orme paterne. Suo figlio Nando ha scritto[1] che "contrariamente a quel che si può immaginare (e che si sa normalmente di lui) mio padre non intendeva da ragazzo dedicarsi alla carriera militare. Avrebbe preferito fare l'avvocato o dedicarsi comunque alle professioni di legge. Scoppiata la guerra egli prende le stellette in fanteria, da dove passa nei carabinieri come ufficiale di complemento. [...] Nasce sul campo. E questa origine gli verrà spesso fatta pesare, contribuendo per un lunghissimo periodo a un'aura se non di estraneità certo di disorganicità rispetto ai suoi colleghi passati per tutti i crismi della carriera".

Nella Resistenza partigiana

Dopo la firma dell'armistizio, successiva alla caduta di Mussolini e del Fascismo, Carlo Alberto rimase al comando di una tenenza isolata e organizzò di propria iniziativa nel territorio di San Benedetto del Tronto, nelle Marche, la resistenza di civili e militari, recuperando uomini, armi, munizioni che impiegò per costituire nuclei partigiani che guidava personalmente, oltre a diventare il responsabile delle trasmissioni radio clandestine.

La Carriera nel Dopoguerra

Al termine della guerra venne promosso al grado di Capitano e inviato a comandare una tenenza a Bari, luogo dove conseguì le lauree in Giurisprudenza e in Scienze Politiche. Sempre a Bari incontrò Dora Fabbo, che sposò nel 1946.

Successivamente venne inviato in Campania, precisamente a Casoria, dove si occupò di lotta al banditismo; in questo periodo nacque la prima figlia, Rita. Nel 1949 venne inviato in Sicilia al Comando Forze Repressione Banditismo, guidato dal colonnello Ugo Luca. Divenne comandante del gruppo “squadriglia di Corleone” e qui partecipò alle indagini riguardanti l’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto, incriminando il mafioso Luciano Liggio, braccio destro di Michele Navarra.

Nel novembre 1949 a Firenze nacque il figlio Nando e, tre anni dopo, divenne padre per la terza volta con Simona.

Tra il 1952 e il 1966 ricoprì vari incarichi di comando tra Lombardia, Lazio e Piemonte, in particolare nel 1964 entrò a far parte del nucleo di polizia giudiziaria presso la Corte d’appello di Milano.

Il dossier dei 114 e la lotta a Cosa Nostra

Dal 1966 al 1973 tornò in Sicilia e, con il grado di colonnello, guidò la Legione Carabinieri di Palermo, dove iniziò una serie di indagini su Cosa Nostra che portò al “Dossier dei 114”: il dossier illustrò la nuova mappa del potere criminale a Palermo e permise di iniziare a far luce sulle commistioni tra mafia e politica. Grazie al dossier vennero assicurati alla giustizia 76 boss mafiosi, tra cui Gerlando Alberti e Frank Coppola. La particolare innovazione voluta da Dalla Chiesa fu quella di modificare le destinazioni di confino dei boss malavitosi: non più i piccoli comuni del nord Italia, bensì le isole di Linosa, Asinara e Lampedusa.

Nel gennaio 1968 intervenne con i suoi reparti in soccorso alle popolazioni colpite dal sisma del Belice, azione che gli valse una medaglia di bronzo al Valor Civile per la partecipazione “in prima linea” alle operazioni e la cittadinanza onoraria delle città di Gibellina e di Montevago.

Nel 1970 si trova ad indagare sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, che poco prima di sparire aveva fatto intendere di essere in possesso di materiale rilevante riguardo il caso Mattei. Le indagini a riguardo furono svolte in collaborazione con la Polizia di Stato e sotto la direzione di Boris Giuliano, commissario che venne successivamente ucciso da Cosa Nostra. Nel 1971 indagò anche sulla morte del procuratore Pietro Scaglione.

Il trasferimento al Nord e la lotta al terrorismo

Nel 1973 Dalla Chiesa venne promosso al grado di generale di brigata e venne trasferito a Torino alla guida della Legione militare del Nord-Ovest con competenza su Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria. Qui decise di creare una struttura organica antiterrorismo, reclutando una decina di ufficiali dell’Arma dei Carabinieri. Grazie agli sforzi del nucleo antiterrorismo e all'idea di Dalla Chiesa di infiltrare uomini dell'Arma nell'organizzazione, nel settembre 1974 a Pinerolo furono arrestati Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco delle Brigate Rosse. Nonostante i successi, nel 1976 il nucleo venne sciolto.

Nel 1977 venne nominato Coordinatore del Servizio di Sicurezza degli Istituti di Prevenzione e Pena, nomina che fu vissuta come una sorta di “allontanamento” sia dallo stesso Dalla Chiesa che dagli opinionisti dell'epoca.

Il 19 febbraio 1978 morì a Torino la moglie Dora, colpita da un infarto in casa dopo aver appreso dalla televisione di un attentato terroristico, nel quale era ipotizzato il coinvolgimento del marito.

Il 9 agosto 1978 il Governo gli riconobbe dei poteri speciali come Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti informativi per la lotta al terrorismo, un reparto del Ministero degli Interni, ai diretti ordini del Ministro Rognoni, che doveva occuparsi di ricercare i responsabili dell’assassinio di Aldo Moro (avvenuto nel maggio 1978). Fu proprio grazie alle pressioni di Dalla Chiesa al Governo che in quel periodo venne formalizzata la figura giuridica del pentito.

Dal dicembre 1979 al dicembre 1981 comandò la divisione Pastrengo a Milano.

Il 16 dicembre 1981 venne promosso alla carica di Vice Comandante Generale dell’Arma, ruolo già ricoperto dal padre quasi trent'anni prima, a Roma. Venne però messo da parte dall'ambiente politico e militare, finendo a correggere i compiti degli allievi ufficiali. Restò in carica fino al 5 maggio 1982, quando fu nominato Prefetto di Palermo.

La questione P2

Il 17 maggio 1981 venne scoperto l’elenco degli iscritti alla loggia P2, nella villa privata del Gran Maestro della Loggia, Licio Gelli. Nell’elenco compariva anche il fratello di Dalla Chiesa, Romolo, mentre tra i vari documenti venne rinvenuta una domanda di iscrizione dello stesso generale alla loggia, risalente a cinque anni prima, mai approvata.

Sulla questione, lo stesso Dalla Chiesa riferì ai magistrati Gherardo Colombo e Giuliano Turone, titolari dell'inchiesta, che nel 1976, subito dopo la chiusura del nucleo antiterrorismo, il Generale Franco Picchiotti gli propose di entrare a fare parte della loggia massonica, di cui facevano parte tanti esponenti dell'arma, a partire dal comandante generale Enrico Mino: gli consegnò un modulo di iscrizione che e lo invitò a rifletterci molto bene prima di rifiutare di firmarlo. Dopo diverse insistenze, Dalla Chiesa firmò il modulo, salvo poi comunicare al suo interlocutore di averci ripensato: nel suo diario avrebbe scritto che quella firma, giustificata agli inquirenti come mezzo per indagare quella realtà, non era coerente con la sua morale istituzionale e professionale.

Secondo il figlio Nando[2], "l'insistenza per fargli firmare quella domanda, nel contesto di un palese ricatto, non è forse il segno che un gruppo ai vertici delle istituzioni deve saldamente controllare la fedeltà di cordata degli uomini che compongono l'élite militare nazionale, e ciò all'interno di un piano di occupazione extra-democratica delle istituzioni? Solo così si spiega d'altronde come uno dei migliori e più brillanti uomini dell'Arma non possa accedere a quei posti di comando che gli competerebbero in base ai meriti di una carriera. Occorre che egli si pieghi prima in qualche modo a quel gruppo e al suo piano. Anzi, "deve" piegarsi a maggior ragione proprio perché brillante e capace."

La nomina a prefetto di Palermo

A causa della Seconda Guerra di Mafia, nel 1982 l'emergenza criminale a Palermo era tale che a marzo il Ministro Rognoni comunicò a Dalla Chiesa la sua intenzione di nominarlo Prefetto della città. Il Generale accettò l'incarico, anche per via della promessa di poteri eccezionali nel contrasto alla mafia. All'inizio del mese di aprile il generale scrisse al presidente del Consiglio Spadolini che la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti era la "famiglia politica" più inquinata da contaminazioni mafiose.

Negli stessi giorni, il 6 aprile, il Generale scrisse nel suo diario personale:

Dunque nella giornata di venerdì e fino ad ora tarda si sono succedute le telefonate di rallegramenti e di auguri: dal Ministro Rognoni al Presidente del Consiglio Spadolini, dal Prefetto di Roma a quello di Milano, di Torino, di Firenze, dal Capo di Gabinetto di M.I. Al Capo di S.M.D. e E., insomma tantissimi. Poi ieri anche l'On. Andreotti mi ha chiesto di andare e naturalmente, date le sue presenze elettorali in Sicilia, si è manifestato per via indiretta interessato al problema. Sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori. Sono convinto che la mancata conoscenza del fenomeno, anche se mi ha voluto ricordare il suo lontano intervento per chiarire la posizione di Messeri a Partinico, lo ha condotto e lo conduce ad errori di valutazione di uomini e circostanze. Il solo fatto di raccontarmi che intorno al fatto Sindona un certo Inzerillo, morto in America, è giunto in Italia in una bara e con un biglietto da 10 dollari in bocca depone nel senso. Prevale ancora il folclore e non se ne comprendono i "messaggi"!

Il 30 aprile Cosa Nostra uccise Pio La Torre, segretario regionale e deputato del PCI, e Rosario Di Salvo, suo compagno di partito. Il Governo chiese a Dalla Chiesa di andare immediatamente in Sicilia. Sull'aereo il Generale scrisse una lettera ai figli, in cui li avverte che «le circostanze hanno condotto il Governo nazionale a far sì che io uscissi dalle file attive dell’Arma e della sua massima carica, prima ancora che i tempi previsti giungessero alla loro scadenza. Se da un lato sono onorato di tanta fiducia – che in qualche modo tocca anche la “nostra” famiglia –, dall'altro avverto, nel trauma spirituale del delicato momento, una somma di sentimenti che, nel loro intimo tumultuare, non fanno che ripropormi, prepotente e cara, l’immagine stupenda di mamma! […]. Vi scrivo da 7-8.000 metri d’altezza, in cielo, mentre l’aereo mi portava veloce verso Palermo; dietro mi lasciavo, con gli alamari, la giornata di Pastrengo […]»

L’arrivo a Palermo di dalla Chiesa avvenne in un momento complicato: l’omicidio La Torre appena avvenuto e la città travolta da una nuova guerra di mafia, i poteri promessi dal ministro furono nulli, così come i mezzi e gli uomini. Nonostante ciò il Prefetto riuscì a farsi accettare dalla popolazione e ne cercò la collaborazione: parlò con gli studenti, incontrò gli operai del porto e dei cantieri, si fece vedere a sorpresa tra la gente.

 
La lapide posta in via Isidoro Carini in ricordo delle vittime

Nel frattempo continuò a chiedere i mezzi e i poteri necessari per combattere la mafia. Nonostante la mancanza di questi riuscì comunque a ottenere delle conquiste sul piano investigativo: con due blitz a Villagrazia e in via Messina Marine interruppe un summit dei Corleonesi e scoprì una raffineria di eroina.

Nel giugno 1982 venne pubblicato il “rapporto dei 162”: una nuova mappa del potere mafioso a Palermo, che diede origine a 87 mandati di cattura e 18 arresti, evidenziando anche le commistioni tra mafia e politica.

L'omicidio

Intorno alle 21.10 del 3 settembre 1982 l'Alfetta di Domenico Russo che stava riportando il Generale e sua moglie a casa venne affiancata da una motocicletta su cui viaggiavano un killer e il mafioso Pino Greco, il quale aprì il fuoco con un Kalashnikov AK-47 sull'agente di scorta, che nonostante i colpi uscì dall'auto per tentare, invano, di difendere il Generale e la consorte. Nello stesso momento Antonino Madonia e Calogero Ganci, guidando una BMW 518, raggiunsero l'auto su cui viaggiava il Generale dalla Chiesa uccidendo la coppia con 30 colpi di AK-47. L'auto su cui viaggiavano andò a sbattere contro una Fiat parcheggiata. Il sicario scese dall'auto e sparò l'ultimo colpo, quello definitivo, al volto del Generale. Oltre agli esecutori materiali, il commando di fuoco poté contare su altri sicari che seguirono l'azione, pronti ad intervenire nel caso che Russo o dalla Chiesa avessero reagito contro i killer, ma non ebbero il tempo per poterlo fare.

Controversie

La sera dell'assassinio di Dalla Chiesa, due uomini, tra cui l'economo della prefettura allontanato mesi prima dal Generale, andarono a casa del prefetto per cercare dei lenzuoli con cui coprire i cadaveri. In seguito a questo episodio la chiave della cassaforte scomparve, per ricomparire diversi giorni più tardi. All'apertura della cassaforte da parte dei figli questa fu ritrovata svuotata. Qualcuno quindi rubò il suo contenuto, parecchi documenti sensibili, tra cui anche un dossier sul caso Moro.

I funerali

I funerali vennero celebrati alle 15 del giorno seguente nella chiesa di San Domenico, neanche 18 ore dopo la strage. La figlia Rita dalla Chiesa pretese che le corone di fiori inviate da Mario D'Acquisto, Presidente della Regione Siciliana (che a suo tempo polemizzò con il prefetto), fossero tolte. Volle che sul feretro del Generale fossero deposti solo il tricolore, la sciabola e il berretto.

 
I funerali di Palermo. In prima fila: il Presidente della Repubblica Sandro Pertini e Giovanni Spadolini, Presidente del Consiglio.

L'omelia del Cardinale Pappalardo fu, a detta del figlio Nando dalla Chiesa "una frustata per tutti": «Si sta sviluppando - e ne siamo tutti costernati spettatori - una catena di violenza e di vendette tanto più impressionanti perchè, mentre così lente ed incerte appaiono le mosse e le indecisioni di chi deve provvedere alla sicurezza e al bene di tutti, siano privati cittadini che funzionari dello Stato medesimo, quanto mai decisive invece, tempestive e scattanti sono le azioni di chi ha mente, volontà e braccio pronti a colpire. Sovviene e si può applicare una nota frase della letteratura latina, di Sallustio mi pare, nel De bello jugurtino: "Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur"; mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici!. Povera la nostra Palermo! Come difenderla?»

All'uscita dalla chiesa una folla inferocita sommerse di fischi, sputi, monetine e persino bottiglie i membri del governo presenti. Solo il Presidente della Repubblica Sandro Pertini venne risparmiato e solamente a lui il cardinale Pappalardo strinse la mano. La salma di Carlo Alberto dalla Chiesa riposa nel Cimitero della Villetta, a Parma, dove il Generale fece costruire la tomba di famiglia.

Onoreficenze

  • Due Croci di Guerra;
  • 3 campagne di guerra;
  • Medaglia di Benemerenza Volontari della II Guerra Mondiale;
  • Distintivo di Volontario della Guerra di Liberazione;
  • Medaglia d'Argento al Valor Militare

«Durante nove mesi di lotta contro il banditismo in Sicilia cui partecipava volontario, dirigeva complesse indagini e capeggiava rischiosi servizi, riuscendo dopo lunga, intensa ed estenuante azione a scompaginare ed a debellare numerosi agguerriti nuclei di malfattori responsabili di gravissimi delitti. Successivamente, scovati i rifugi dei più pericolosi, col concorso di pochi dipendenti, riusciva con azione rischiosa e decisa a catturarne alcuni e ad ucciderne altri in violento conflitto a fuoco nel corso del quale offriva costante esempio di coraggio.» — Sicilia Occidentale, settembre 1949 - giugno 1950.

 
Monumento ai Carabinieri, Piazza Diaz, Milano
  • Medaglia di Bronzo al Valor Civile

«Comandante di Legione territoriale accorreva, in occasione di un disastroso movimento sismico, nei centri maggiormente colpiti, prodigandosi per avviare, dirigere e coordinare le complesse e rischiose operazioni di soccorso alle popolazioni. Malgrado ulteriori scosse telluriche, persisteva nella propria infaticabile opera, offrendo nobile esempio di elevate virtù civiche e di attaccamento al dovere.» — Sicilia Occidentale, gennaio 1968.

  • Distintivo per ferite in servizio;
  • 20 Encomi Solenni;
  • Grande Ufficiale al merito della Repubblica Italiana;
  • Medaglia Mauriziana;
  • Medaglia d'Oro di Lungo Comando;
  • Croce d'Oro per anzianità di servizio;
  • Medaglia d'Oro al Valor Civile

«Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere. Palermo, 3 settembre 1982.» — 13 dicembre 1982

  • Croce di Grande Ufficiale dell'Ordine Militare d'Italia

«Ufficiale Generale dell'Arma dei Carabinieri, già postosi in particolare evidenza per le molteplici benemerenze acquisite nella lotta per la resistenza e contro la delinquenza organizzata, in un arco di nove anni ed in più incarichi – ad alcuno dei quali chiamato direttamente dalla fiducia del Governo – ideava, organizzava e conduceva, con eccezionale capacità, straordinario ardimento, altissimo valore e supremo sprezzo del pericolo una serie ininterrotta di operazioni contro la criminalità eversiva. Le sue eccelse doti di comandante, la genialità delle concezioni operative, l'infaticabile tenacia, in momenti particolarmente travagliati della vita del Paese e di grave pericolo per le istituzioni, concorrevano in modo rilevante alla disarticolazione delle più agguerrite ed efferate organizzazioni terroristiche, meritandogli l'unanime riconoscimento della collettività nazionale. Cadeva a Palermo, proditoriamente ucciso, immolando la sua esemplare vita di Ufficiale e di fedele servitore dello Stato. Territorio Nazionale 1º ottobre 1973 – 5 maggio 1982.» — 17 maggio 1983

Memoria

Dall'assassinio del Generale Dalla Chiesa decine di lapidi, busti, sculture, e monumenti sono stati dedicati alla sua memoria, oltre a scuole, caserme, piazze, vie e parchi cittadini.

Per saperne di più

Libri

  • Nando dalla Chiesa, Delitto imperfetto. Il generale, la mafia, la società italiana, Milano, Mondadori, 1984
  • Benito Li Vigni, Morte di un generale. Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso da un complotto stato-mafia, Roma, Sovera Edizioni, 2014
  • Luciano Mirone, A Palermo per morire. I cento giorni che condannarono il generale Dalla Chiesa, Roma, Castelvecchi, 2012
  • Stefano Pais, Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e le Brigate rosse, Roma, Stango, 2015
  • Annamaria Piccione, La scelta del sovrano giusto. Una favola sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa, Siracusa, Verbavolant, 2015
  • Fabiola Paterniti, Tutti gli uomini del generale. La storia inedita della lotta al terrorismo, Milano, Melampo, 2015

Televisione

Cinema

Note

  1. Carlo Alberto dalla Chiesa, In nome del Popolo Italiano - Autobiografia a cura di Nando dalla Chiesa, Milano, Rizzoli, 1997, p.58
  2. Ivi, p.279
  3. Cento giorni a Palermo disponibile gratis in streaming sul sito Rai.tv

Bibliografia