Cristina Mazzotti

Da WikiMafia.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Cristina Mazzotti (Losanna, 22 giugno 1957 - Varellino di Galliate, agosto 1975) è stata una studentessa milanese, sequestrata e uccisa dalla 'ndrangheta.

Cristina Mazzotti
Cristina Mazzotti

Biografia

Cristina era la figlia di Helios Mazzotti, un industriale attivo nel settore cerealicolo. Nata a Losanna, viveva a Milano in un appartamento in Piazza della Repubblica, di fronte alla famosa "Torre Breda", nota all'epoca anche come "torre dei ricchi"[1]. Il successo imprenditoriale del padre Helios la trasformò in un obiettivo durante la Stagione dei Sequestri di persona, che funestò l'Italia intera negli anni '70 e nei primi anni '80.

Il rapimento

Lunedì 30 giugno 1975, appena una settimana dopo aver compiuto 18 anni, Cristina era uscita col fidanzato, Carlo Galli, e con Emanuela Luisari, la sua migliore amica, per festeggiare la promozione in terza liceo, allora l'ultimo anno del Liceo classico. Dopo aver bevuto qualcosa con altri amici al Bar Bosisio di Erba, i tre si rimisero in macchina, una Mini Minor gialla, per fare ritorno alla casa di famiglia dei Mazzotti a Eupilio, piccolo comune del comasco.

Sulla strada per Longone al Segrino[2], l'auto venne fermata da una Fiat 125, da cui scesero due uomini a volto coperto, che senza dire una parola, fecero mettere i tre ragazzi sul sedile dietro, con la testa tra le ginocchia. All'altezza di Appiano Gentile, a circa 40 km da Eupilio, i ragazzi vennero fatti scendere e un altro uomo chiese chi fosse Cristina Mazzotti. La ragazza, per evitare ritorsioni nei confronti degli altri due, si palesa immediatamente e viene incappucciata e caricata su un'altra macchina.

La prigionia e la richiesta del riscatto

Cristina venne portata in una cascina a Castelletto Ticino, in provincia di Novara, affittata nel novembre del 1974 da Giuliano Angelini, geometra di 39 anni con precedenti penali per un traffico di tir rubati e persino d'armi (il suo nome era perfino emerso fra gli estremisti di destra collegati all’inchiesta sulla strage di piazza Fontana nel 1969)[3]. Insieme a lui, dal febbraio 1975, abitava in quella cascina la sua compagna, Loredana Patroncini.

Il primo lavoro che i due eseguirono come nuovi inquilini di quella cascina fu circondare la rete di recinzione con una stuoia di canne, così da poter lavorare tranquillamente senza essere visti mentre preparavano la buca dove Cristina sarebbe stata mantenuta tutto il tempo della prigionia. La buca era profonda un metro e 45 centimetri, lunga due metri e 65, larga un metro e 55. Dalle valutazioni successive fatte al processo:

«L’altezza non consentiva alla prigioniera di mantenere la posizione eretta. Si pensi anche che le pareti di cemento, essendo state allestite di fresco, il tenore di umidità doveva essere quanto mai elevato e che la ragazza era tenuta al freddo e al buio. Inoltre l’aerazione della cella non poteva essere che deficitaria se la comunicazione con l’esterno avveniva mediante un tubo di plastica della sezione di 5 cm…»[4]

La prima telefonata arrivò il 4 luglio, nella villa di famiglia dei Mazzotti ad Eupilio. Il "telefonista" era Sebastiano Spadaro, un calabrese di 23 anni già coinvolto in altri sequestri (Riboli, De Micheli). Per darsi un tono si faceva chiamare "Il marsigliese", benché non avesse alcun legame con la città francese. La richiesta iniziale fu di 5 miliardi di lire, una cifra assolutamente fuori dalla portata della famiglia Mazzotti. Il padre, Helios, si offrì in cambio della figlia, ma ai sequestratori non interessava lo scambio.

Spadaro: «5 miliardi»

Mazzotti: «Dovete essere ragionevoli e io sarò… sarò disposto a togliermi la camicia per mia figlia»

Spadaro: «Guardi che sua figlia è diventata molto nervosa»

Mazzotti: «Ma io non ho la possibilità»

Spadaro: «Io le, io le ho chiesto quella cifra e deve pagare quella cifra se no, altrimenti, gliene mando un pezzettino al giorno. Le faccio fare la fine di Paul Getty…»

Mazzotti: «Le dico immediatamente che non posso arrivare neanche lontanamente a quella cifra, ma neanche lontanamente perché è umanamente impossibile. L’unica cosa che può creare questo fatto è che mi uccida; va bene.»

Spadaro: «Va bene, cosa vuole, non me ne frega, morto un papa se ne fa un altro, che cosa vuole… Ha capito cosa le ho detto: io non ho pietà»

Mazzotti: «Senta una cosa, lei ha dei figli?»

Spadaro: «Eh?»

Mazzotti: «Ha dei figli lei?»

Spadaro: «Non sono affari che la riguardano! Pronto.»

Mazzotti: «Se lei fosse nelle condizioni di non poter esaudire una richiesta, cosa fa?»[5]

Nel mentre Angelini somministrava alla povera Cristina farmaci soporiferi ed eccitanti, questi ultimi soprattutto quando obbligavano la ragazza a scrivere alla famiglia per convincerli a pagare il riscatto per liberarla. Alla fine di luglio la famiglia ipotecò la casa, racimolando 1 miliardo e 50 milioni di lire (pari a quasi 4 milioni di euro odierni).

La sera di venerdì 1° agosto Spadaro richiamò la famiglia, confermando le istruzioni e le modalità del pagamento del riscatto, con una busta per la famiglia lasciata sull’autostrada dei laghi. Lo zio di Cristina, insieme a un amico, girarono per due ore per quasi tutta la Brianza, finché in un bosco di acacie vicino a Castelseprio consegnarono i soldi del riscatto[6].

Tuttavia, Cristina era già morta. Al processo venne fuori che la ragazza, malnutrita e stremata, non aveva retto per il trattamento disumano cui era stata sottoposta in quelle settimane di prigionia. Al processo si riuscì a risalire alla data della morte: esattamente il giorno prima del pagamento del riscatto.

Indagini e processi

Le indagini, per tutta una prima fase, avevano brancolato nel buio. Poi un uomo legato ad Angelini, Libero Ballinari, specializzato nell'esportare valuta oltreconfine, tentò di ripulire la propria parte derivante dal sequestro di Cristina in una banca svizzera. L'impiegata, tuttavia, segnalò l'anomalo versamento alla polizia federale, che avvisò subito quella italiana. Arrestato, Ballinari iniziò a collaborare con gli inquirenti, facendo i nomi degli altri complici della banda e facendo ritrovare il corpo di Cristina, rinvenuto il 1° settembre 1975 in una discarica a Varallino di Galliate, in provincia di Novara.

Ai funerali di Cristina, tenutisi nella chiesa parrocchiale di Eupilio, parteciparono oltre 30mila persone[7].

La ricostruzione dei fatti al processo di Novara

Dalle dichiarazioni di Ballinari nel 1976 scaturì un processo a carico di Angelini e dei suoi complici, imputati per omicidio per “dolo eventuale”. Durante il processo, venne fuori che Angelini e la sua banda avevano ricevuto un compenso pari al 10% del riscatto complessivo (104 milioni di lire), meno di quanto pattuito coi calabresi per via della morte dell'ostaggio. Ad oggi, quei 104 milioni sono gli unici recuperati del miliardo e 50 milioni del riscatto pagato dalla famiglia.

Durante il processo, Angelini sostenne che la morte di Cristina avvenne dopo l’ultima somministrazione di valium; tuttavia, gli inquirenti ipotizzarono anche che la studentessa fosse stata uccisa a bastonate e lasciata a morire nella discarica ancora in coma.

Al termine del processo, i condannati all’ergastolo furono otto, tra cui Angelini, mentre 2 i condannati a 30 anni e 3 a più di 20; altri 4 a pene minori. In Appello, confermato dalla Cassazione, gli ergastoli scesero a 4, 2 vennero condannati a 30 anni e 5 a più di 20. Ballinari venne condannato all'ergastolo nel 1980, al termine di un altro processo.

Il coinvolgimento della 'ndrangheta

Il 12 gennaio 1994 con l'operazione Isola Felice, nata dalle dichiarazioni di Antonio Zagari, figlio del boss Giacomo, primo 'ndranghetista giunto in Lombardia negli anni '50, venne fatta luce sul coinvolgimento della 'ndrangheta nel sequestro di Cristina, nonché in quello di Emanuele Riboli e di Antonella Dellea. Tuttavia, relativamente alla partecipazione di suo padre e di Giuseppe Morabito, Zagari riferì che i due avevano sì ideato il sequestro, ma che poi si erano ritirati una volta appreso che nell'organizzazione vi era anche Alberto Menzaghi, un varesino sospettato di essere un confidente. Anche per questo motivo Giacomo Zagari e Giuseppe Morabito vennero ritenuti non imputabili per il sequestro e l'omicidio Mazzotti, a differenza di Domenico Loiacono e Francesco Aquilano, altri due affiliati che, a detta di Zagari, avevano intascato ben 800 milioni sul miliardo e 50 milioni del riscatto[8].

Le nuove risultanze del 2007

Nel 2007 l’impronta di un palmo e due impronte digitali raccolte dalla Scientifica nel 1975 vennero attribuite a Demetrio Latella, affiliato alla 'ndrangheta. Il giudice per le indagini preliminari, tuttavia, respinse l'arresto chiesto dalla procura di Torino per mancanza di esigenze cautelari, benché Latella ammise di essere stato uno dei sequestratori e chiamò in causa altre due persone.

Il fascicolo, passato a Milano per competenza territoriale, fu archiviato nel 2012: prescritti, per varie ragioni, il sequestro di persona e l'omicidio volontario aggravato. Nel frattempo, però, una sentenza delle sezioni unite della Cassazione nel 2015 aveva indicato imprescrittibile il reato di omicidio volontario. Venne quindi ripresentato un nuovo esposto dal nuovo avvocato della famiglia Mazzotti, Fabio Repici[9].

La nuova inchiesta del 2022

Il 9 novembre 2022 vennero chiuse le indagini portate avanti dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Milano Stefano Civardi, coordinate dai procuratori aggiunti Alessandra Dolci e Alberto Nobili, oramai andato in pensione. Secondo l'accusa, Morabito e Zagari furono invece ideatori del sequestro a scopo di estorsione. Nell'avviso di conclusione delle indagini, il pubblico ministero sostenne che i quattro indagati (Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito) avevano agito in concorso con altre tredici persone tutte condannate all'epoca, «con apporti causali anche distinti, ma comunque convergenti e in attuazione di un comune progetto criminoso»[10].

Il rinvio a giudizio

All'Udienza preliminare del 24 ottobre 2023 il GUP di Milano, Angela Minerva, ha accolto le richieste del pubblico ministero, rinviando a giudizio Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito, fissando per il 25 settembre 2024 la data della prima udienza del processo, che si svolgerà davanti alla Corte d'Assise di Como[11].

In memoria di Cristina Mazzotti

La Fondazione Cristina Mazzotti

Sette settimane dopo il ritrovamento del corpo della figlia, il 5 aprile 1976 Helios Mazzotti morì di infarto in Argentina, dove si trovava abitualmente per lavoro. Prima di morire, l'imprenditore aveva espresso il desiderio di creare una Fondazione intitolata alla figlia, la cui principale finalità doveva essere quella di aiutare le famiglie colpite dai sequestri di persona e arginare il fenomeno. Più tardi, tuttavia, si mise a fuoco uno scopo diverso.

Un amico giornalista della famiglia, direttore del quotidiano "La Provincia di Como", suggerì di dedicare la Fondazione al recupero e al reinserimento dei giovani con particolari problematiche sociali, anche in considerazione della giovane età di diversi tra i rapitori di Cristina.

La Fondazione nacque così per contrastare anche la diffusione di comportamenti antisociali, agendo altresì come cassa di risonanza nei confronti delle istituzioni. Il quotidiano "La Provincia di Como", in accordo con la famiglia, aprì una sottoscrizione pubblica destinata alla costituenda Fondazione Cristina Mazzotti. La partecipazione popolare fu enorme e in pochi giorni la sottoscrizione raggiunse i 100 milioni di lire (circa 400 mila euro di oggi).

Ogni lettore aveva mediamente versato 10/15mila lire (dai 35 ai 50 Euro). Costituita il 10 ottobre 1975, la Fondazione fu riconosciuta ente Morale nel 1982. Presidente Carla Antonia Airoldi Mazzotti, con la collaborazione attiva di Eolo Mazzotti, fratello di Helios e zio di Cristina.

Le prime attività della fondazione furono indirizzate ad aiutare i giovani attraverso erogazioni finanziarie a varie scuole della provincia di Como. Si trattò, fra altre cose, di concorrere nelle spese per acquisti di apparecchiature tecnico-scientifiche, attrezzature sportive e borse di studio. Ecco alcune delle voci:

  • 1976 – Scuola elementare di Vercana, attrezzature didattiche
  • 1977 – Scuola elementare di Eupilio, attrezzature sportive
  • 1978 – Scuola professionale Leonardo da Vinci, Como, apparecchiature tecnico- scientifiche
  • 1984-1989 – Borsa di studio pluriennale studente di scuola media superiore
  • 1985 - Scuola elementare di Eupilio, partecipazione a edificazione del terzo lotto
  • 1988 – Oratorio parrocchiale di Eupilio, partecipazione alla costruzione di struttura polivalente per attività ricreative, sportive e culturali
  • 1997 – Asilo nido di Eupilio, concorso alle spese di adeguamento in osservanza alle norme
  • 1998 – Borse di studio per specializzandi in psicologia alla Clinic Tavistock di Londra.

Contemporaneamente, la Fondazione organizzava eventi e meeting a cadenza annuale, quasi sempre finalizzati a studiare la fenomenologia criminale e a sensibilizzare media e opinione pubblica. Tra le collaborazioni, spiccavano quelle con Regione Lombardia e Regione Lazio, la Camera di Commercio di Milano, varie Università, il Centro Lombardo problemi dello stato e occasionalmente con altri enti, quali l’Organizzazione mondiale della sanità.

Già nel 1979 la Fondazione iniziò a collaborare con il docente di psicologia Dan Olweus, svedese, un pioniere nell’individuare e studiare il fenomeno del bullismo nei paesi dove ha insegnato, la Norvegia e la Svezia, dopo ripetuti episodi di suicidi da parte di ragazzi vessati dai loro compagni. Per tutti gli anni '80, la Fondazione promosse anche incontri e tavole rotonde su vari temi: la criminalità in Lombardia, l’atteggiamento nei confronti dei sequestri, la criminalità organizzata a Roma, nell’area tiburtina e a Guidonia, i rapporti fra giustizia e informazione, fra stato e mafia, il coinvolgimento degli Enti locali nella lotta alla criminalità e la droga.

Negli anni '90, quando i sequestri di persona sembrarono scemare, la Fondazione Mazzotti proseguì la sua attività concentrandosi sul disagio ambientale. In particolare, nel 1995 e nel 1996 collaborò con il Centro Interuniversitario Roma-Napoli-Firenze-Milano per un convegno sul disagio giovanile e uno sulla protezione psico-sociale dell'adolescenza, un tema ripreso singolarmente nei convegni patrocinati gli anni successivi a Firenze e Roma.

Negli anni Duemila la Fondazione continuò a operare attivamente con diverse iniziative, finché non si trasformò nel febbraio 2021 in un Fondo incardinato nella Fondazione Provinciale Comasca[12].

Lo Spettacolo teatrale 5 centimetri d'aria

Nel 2015 venne portato in scena lo spettacolo teatrale "5 centimetri d'aria", che al suo interno ricostruisce la vicenda di Cristina Mazzotti e degli altri rampolli della buona borghesia non solo lombarda rapiti durante la stagione dei sequestri di persona. Alla sceneggiatura partecipò anche Pierpaolo Farina, direttore di WikiMafia.

Note

  1. Citato nello spettacolo teatrale "5 cm d'aria - Storia di Cristina Mazzotti e dei figli rapiti"
  2. Citato in "La Vicenda Mazzotti", Fondazione Mazzotti
  3. Ibidem
  4. Citato in "5 cm d'aria"
  5. Ibidem
  6. Ibidem
  7. Citato in "La vicenda Mazzotti", Fondazione Mazzotti
  8. Le dichiarazioni di Zagari sono contenute nell'ordinanza di custodia cautelare dell'allora GIP Maurizio Grigo, Procedimento n. 14258/21 contro Zagari Antonio e altri, pp. 302-318.
  9. L'avvocato che seguì storicamente il processo negli anni '70 fu il prof. Carlo Smuraglia.
  10. Mario Consani, Omicidio di Cristina Mazzotti, un giudice riapre il caso 48 anni dopo: altri 4 imputati, tra cui un boss, Il Giorno, 9 maggio 2023.
  11. Gabriele Moroni, Cristina Mazzotti rapita e uccisa a soli 18 anni. Dopo quasi mezzo secolo l’anonima calabrese è sotto processo, il Giorno, 24 ottobre 2023.
  12. Fonte: Pagina Facebook della Fondazione Cristina Mazzotti, 5 febbraio 2021

Bibliografia

  • Binelli, Raffaello (2015). Quarant’anni fa il sequestro di Cristina Mazzotti, Il Giornale, 21 giugno.
  • Grigo, Maurizio (1994). Ordinanza di custodia cautelare - Procedimento n. 14258/21 contro Zagari Antonio e altri, Tribunale di Milano - Ufficio per le Indagini preliminari, 12 gennaio.