Strage del rapido 904

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Strage del rapido 904

La Strage del Rapido 904 (detta strage del treno di Natale), è una strage avvenuta il 23 dicembre 1984 all'interno della Grande Galleria dell'Appennino, all'altezza di San Benedetto Val di Sambro (40 km di distanza da Bologna). Una bomba, posta all'interno della nona carrozza della seconda classe del treno n.904, partito da Napoli con destinazione Milano, deflagra all'interno della galleria: il bilancio della strage fu di 16 morti e quasi 300 feriti.

Sempre all'altezza di San Benedetto Val di Sambro, nei pressi della Grande Galleria dell'Appenino, esattamente dieci anni prima, il 4 agosto 1984, era stato effettuato un altro attentato, di matrice terroristica, ai danni del treno Italicus. A differenza che nella strage del Rapido 904, l'Italicus venne fatto saltare in aria all'esterno della galleria: quindi, intenzione degli attentatori nella strage di Natale è stato quello di massimizzare l'esplosione, utilizzando la galleria dell'Appennino come scatola di amplificazione dela deflagrazione. La strage del rapido è la prima strage in Italia dove una bomba viene azionata a distanza tramite un telecomando. La strage del Rapido 904 è l'unica strage, all'interno di quella che viene definita la "strategia delle tensione", di cui sono stati condannati i mandanti; ad oggi sono invece sconosciuti gli esecutori e non sono del tutto chiari i moventi che hanno portato a compierla. Una bomba di questa portata non si vedeva dalla Strage alla Stazione di Bologna del 02 agosto 1980: proprio in occasione dell'attentato al Rapido 904, si sperimentò per la prima volta il piano di emergenza predisposto dal sistema centralizzato di gestione delle emergenze costituito dal comune di Bologna.

Le indagini

Per prima si mosse la Procura della Repubblica di Bologna: venne richiesta una perizia chimico-balistica per accertare il materiale utilizzato e le dinamiche dell'esplosione; durante le indagini saltò fuori un testimone che aveva visto una persona sistemare proprio nella nona carrozza detonata due borsoni, alla fermana della Stazione Santa Maria Novella di Firenze. Così il corpus delle indagini viene trasferito alla Procura di Firenze. Le indagini saranno svolte dal pubblico ministero Pier Luigi Vigna. Il 29 marzo 1985, appena tre mesi dopo la strage, a Roma, durante una perquisizione ad esponenti della malavita organizzata, in un appartamento di Prati vengono trovate due valigette contenenti radiocomandi a lungo raggio. Proprietario dell'appartamento è Guido Cercola, conosciuto come il "luogotenente" del mafioso Giuseppe Calò, capo della famiglia di Porta Nuova a Palermo, soprannominato "il cassiere di Cosa Nostra". Emergono rapporti tra Cercola e un certo Friedrich Schaudinn, un uomo tedesco che secondo le dichiarazioni di Cercola aveva costruito il sistema di radiocomandi per utilizzarlo in un sistema antifurto. Le indagini condotte dimostrano l'assoluta compatibilità di questo tipo di radiocomandi con attentati come quello effettuato sul Rapido 904. Interrogato a Roma, Shaudinn confesserà di aver consegnato il dispositivo a Cercola all'inizio del dicembre 1984, al costo di 18 milioni di lire: a pagare la somma fu proprio il boss di Cosa Nostra Pippo Calò. L'11 maggio 1985, in un casale di Poggio San Lorenzo (Rieti) vengono trovati alcuni detonatori, sei chili di tritolo e due panetti di esplosivo Semtex, uno dei quali parzialmente utilizzato. Il casale era di proprietà di Pippo Calò. L'esplosivo ritrovato sarà riconosciuto come compatibile con quello utilizzato per la strage di Natale. Pista napoletana: da Napoli, giungono notizie di qualcuno che, qualche settimana prima della strage, negli uffici della questura, aveva parlato di un possibile attentato alla vigilia di Natale: tali rivelazioni arrivano da un ex poliziotto, Carmine Esposito, con precedenti penali, ex attivista di Avanguardia Nazionale, e frequentatore, all'interno del Rione Sanità di una gang di rapinatori, camorristi, mafiosi, criminali veneti, guidata da Giuseppe Misso. Il 7 luglio 1985, una retata decima i componenti della gang di Misso, e alcuni esponenti, Mario Ferraiuolo e Lucio Luongo, cominciano a parlare, portando dichiarazioni anche in riferimento alla strage del Rapido 904. Ferraiuolo e Luongo dichiarano che i profitti ricavati dalle loro rapine venivano destinati per attività politica; poche settimane prima della strage, si sarebbe svolta una riunione dove avrebbe partecipato un deputato dell'MSI, Massimo Abbatangelo. Luongo dichiara di aver ricevuto dal deputato missino una valigia contenente esplosivo, poche settimane prima della strage. In una successiva perquisizione della casa di Abbatangelo vengono trovate pistole e proiettili. Luongo e Ferraiuolo raccontano che la mattina del 23 dicembre 1984, un giovanissimo esponente della loro gang, ritenuto quello a più stretto contatto con Misso (all'epoca latitante in Brasile), Carmine Lombardi, era salito sul Rapido 904 insieme all'esplosivo utilizzato nella strage. Lombardi verrà ucciso.

Dalle indagini romane, fiorentine e napoletane, emerge un quadro fino a quel momento inedito: un intreccio tra Cosa Nostra, Camorra, Banda della Magliana, movimento eversivo di destra. Si ritiene che questo punto d'incontro sia dovuto al cambio di rotta avvenuto sia all'interno di Cosa Nostra sia all'interno della Camorra, con la seconda guerra di mafia e la seconda guerra di Camorra, imperversate nella Sicilia Occidentale la prima, e a Napoli la seconda, tra il 1979 e il 1983. Vincitori ne uscirono i Corleonesi in Sicilia e la Nuova Famiglia a Napoli: strinsero una stretta alleanza, convergendo i reciproci interessi in numerosi affari da lì in avanti. La Procura di Firenze riconosce le due figure di raccordo di questa alleanza come Pippo Calò e Giuseppe Misso. Secondo il pm Pier Luigi Vigna, il motivo che porta alla realizzazione della Strage del Rapido 904, è dovuto alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, l'esponente di spicco di Cosa Nostra, della stessa famiglia di Porta Nuova del quale era capo Pippo Calò: dal luglio del 1984 Buscetta infatti aveva cominciato la sua collaorazione con Giovanni Falcone, e dalle sue dichiarazioni verrà costruito l'intero impianto del maxiprocesso di Palermo. Mafia e Camorra, mettendo in scena una strage simile a quella avvenuta dieci anni prima al treno Italicus, quindi con una evidente matrice terroristica, volevano far ritornare l'Italia nell'incubo del terrorismo così da sviare l'attenzione dall'inchiesta che si stava conducendo a Palermo. Nell'ottobre 1988, dopo che i collaboratori Ferraiuolo e Luongo avevano, l'uno subito minacce ai suoi familiari, l'altro tentato il suicidio, smettono di collaborare e negano le loro precedenti dichiarazioni. Nel frattempo, Friedrich Schaudinn, l'uomo agli arresti domiciliari per aver presumibilmente costruito l'ordigno utilizzato nella strage, riesce ad evadere e fugge in Germania, aiutato da alcune autorità tedesche. L'Italia non ne chiederà mai l'estradizione. Per la sua fuga, il pm Pier Luigi Vigna pone sotto inchiesta i servizi segreti pe favoreggiamento aggravato per finalità di terrorismo. Durante la sua collaborazione, Lucio Luongo fornisce dettagli sul tipo di esplosivo che gli era stato consegnato da Abbatangelo: un combinato tra Semtex H, e Brixia B5; quest'ultimo tipo di esplosivo, è lo stesso che viene rinvenuto il 21 giugno 1989 nella villa all'Addaura del giudice Giovanni Falcone, e sul luogo dell'attentato al giudice Paolo Borsellino in via D'Amelio.

Nel processo di primo grado, la Corte d'Assise di Firenze, il 25 febbraio 1989, condanna all'ergastolo con l'accusa di strage Pippo Calò, Guido Cercola, Giuseppe Misso e altri personaggi legati a questi; 25 anni per Schaudinn. Nel processo di secondo grado, vengono confermate le condanne a Calò e Cercola, mentre Misso viene assolto per il reato di strage, ma condannato per detenzione illecita di esplosivo; Schaudinn viene assolto per il reato di banda armata, ma condannato per il reato di strage a 22 anni. Il 5 marzo 1991, la prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Corrado Carnevale, annulla la sentenza di appello, con rinvio ad un nuovo procedimento: nel secondo processo d'appello vengono confermate tutte le condanne, salvo la pena di Misso per il reato di detenzione illecita di esplosivo comminata a soli tre anni. Il 24 novembre 1992, la quinta sezione penale dela Corte di Cassazione, conferma le condanne, riconoscendo la matrice "terroristico-mafiosa" all'attentato.

Il 18 febbraio 1994, la Procura di Firenze conclude il procedimento a carico del deputato dell'MSI Massimo Abbatangelo, la cui posizione era stata stralciata dal processo principale. Viene assolto dal reato di strage, ma condannato a sei anni di reclusione per aver consegnato l'esplosivo a Giuseppe Misso.

Il 27 aprile 2011, i pm Paolo Itri e Sergio Amato, della Direnzione Distrettuale Antimafia di Napoli hanno emesso un'ordinanza di custodia cautelare per il capo dei capi Totò Riina, ritenuto il mandante della strage, sulla base di dichiarazioni di nuovi pentiti, tra i quali Giovanni Brusca. La Cassazione stabilisce la competenza della Procura di Firenze, competenti il procuratore Giuseppe Quattrocchi e il magistrato della Dda Angela Pietroiusti: nel dicembre 2012 la procura chiude le indagini, e il 10 maggio 2013 rinvia a giudizio Totò Riina.