Categoria:Sacra Corona Unita

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La mafia pugliese è anomala rispetto alle altre. In Sicilia, Calabria e Campania le organizzazioni sono storiche, hanno tradizioni e origini che affondano le loro radici nella storia politica ed economica della regione in cui operano. La vicenda pugliese rappresenta invece un classico caso di utilizzazione mafiosa di un territorio originariamente non mafioso e di “mafiosizzazione”di una criminalità priva di tradizioni, ma che è stata rapida nell’assimilare le caratteristiche proprie delle organizzazioni mafiose storiche[1]


La criminalità organizzata in Puglia

Nascita e differenze rispetto alle organizzazioni criminali tradizionali

Fino a pochi anni fa, la Puglia poteva essere ritenuta un’area immune dal fenomeno mafioso, oggi alle tre mafie storiche quali camorra, ‘ndrangheta e mafia si aggiunge quella che comunemente viene definita la quarta mafia ovvero la Sacra Corona Unita. Per capire questo fenomeno sviluppatosi negli anni Ottanta, decisamente più recente rispetto alla nascita delle altre organizzazioni, le quali infatti trovano terreno fertile già dalla seconda metà del Ottocento e l’inizio del Novecento, è necessario fare un passo indietro ed analizzare le dinamiche e le specificità che hanno dato vita a questa nuova forma di associazione per delinquere di stampo mafioso. Innanzitutto è necessario fare riferimento alla diffusione per contiguità territoriale che avviene nel territorio pugliese per mano delle organizzazioni calabresi e campane ad esso vicine. [2] La Puglia può dunque essere considerata la prima delle regioni italiane che per prossimità hanno sviluppato una un nuova mafia:

«Così che per una serie di attività illecite rappresenta da tempo immemorabile una sorta di terreno naturale di sconfinamento, a volte con sortite rapide quanto micidiali (si pensi ai sequestri di persona consumati negli anni ’70-80 dal Salento al nord Barese ed ai grossi sbarchi di tabacchi lavorati esteri, droga ed armi lungo le estese coste della regione) e di progetto, non nuovo, di farne una vera e propria terra di conquista criminale»[3]

Sono proprio i sequestri di persona che hanno rappresentato un punto di incontro tra esponenti della ‘ndrangheta calabrese e i delinquenti comuni. Un altro fattore è stato quello dell’invio al soggiorno obbligato nella regione, di esponenti appartenenti alle organizzazioni mafiose tradizionali. Nacque quindi una vera e propria divisione dei territori, Cosa nostra[4] più rilevante nelle province di Brindisi e Lecce, le cosche calabresi nell’area di Taranto e la camorra nel Foggiano. Proprio da quest’ultima area partì quel processo di colonizzazione che faceva capo a Raffaele Cutolo[5] . È opportuno inoltre ricordare che le organizzazioni mafiose si affermano in un periodo in cui la regione Puglia, tra il 1985-86, registra tassi elevati di sviluppo economico, smentendo di fatto il luogo comune secondo cui la mafia tende a svilupparsi solo nelle aree povere ed arretrate del territorio nazionale. Da queste premesse è possibile affermare una serie di fattori rilevanti che hanno determinato l’espansione del modello mafioso:

  • Favorevoli opportunità per lo sviluppo di alcuni settori di mercati illegali;
  • Strategia di espansione della Nuova camorra organizzata (Nco) di Cutolo;
  • Soggiorno obbligato di alcuni esponenti delle organizzazioni mafiose tradizionali;
  • Presenza nelle carceri pugliesi di molti appartenenti alla camorra;
  • Imitazioni da parte della criminalità locale dei modelli di azione e di organizzazione delle mafie tradizionali;
  • Deterioramento e bassa reattività del tessuto istituzionale della società locale[6].

La Puglia, come fin’ora detto, si presenta alle organizzazioni tradizionali come un’area con una grande potenzialità per lo sviluppo dei traffici illeciti. Un evento geopolitico, che si somma alle motivazioni per cui le organizzazioni tradizionali si interessarono all’area pugliese, fu quello della chiusura del porto franco di Tangeri (1959-60) da cui passava gran parte del contrabbando di sigarette e che di fatto ha permesso lo spostamento di questo traffico illegale dal Tirreno all’Adriatico, rendendo la Puglia, negli anni successivi, lo snodo principale di tale traffico, al punto che sulle sue coste arrivava la quasi totalità dei tabacchi lavorati esteri destinati ai mercati clandestini italiani. In aggiunta a quella del profitto, un’altra delle ragioni per cui le organizzazioni tradizionali confluirono nel territorio pugliese, riguarda la presenza nella regione di un criminalità autoctona, che in assenza della stabilità delle tipiche realtà mafiose rappresentò un bacino di manovalanza cui attingere. La volontà di Cutolo di istituire una sorta di estensione della Nco nel territorio pugliese, al fine di rendere i rapporti delle alleanze permanenti (fino a quel momento occasionali) e di creare la cosiddetta nuova camorra pugliese, si arrestò con il declino del suo potere. A questo tentativo di colonizzazione si affiancò un processo di imitazione che mirava a rendere i gruppi locali pugliesi autonomi, facendo proprie le caratteristiche ritenute vincenti tipiche delle organizzazioni tradizionali.

Questo diede il via effettivo alla nascita di una criminalità organizzata a sé stante, che cominciava a rendersi via via sempre più autonoma.

«Sia la collaborazione continuativa con esponenti delle famiglie mafiose, che la crescita delle opportunità di azione nei locali mercati leciti e illeciti, costituiscono dei potenti stimoli alla maturazione e all’espansione delle formazioni criminali pugliesi»[7] e ancora «intuiti i vantaggi che si potevano ricavare, si svincolarono in tempi successivi dall’iniziale regime di sudditanza ed imposizione che avevano con i cutoliani e si posero la prospettiva di consociarsi in un unica organizzazione, di natura prettamente pugliese, con l’intento di gestire autonomamente le varie attività delittuose svolte in Puglia e i derivati ad esse connessi, nonché di controllare eventuali infiltrazioni di ogni qualsivoglia famiglia malavitosa come già si era verificato con la Nco»[8].

Forte delle volontà qui sopra citate e con l’ambizione di coprire e unificare tutto il territorio pugliese Giuseppe Rogoli[9], fonda la Sacra Corona Unita nel 1981, dopo essere stato battezzato, ovvero affiliato da Umberto Bellocco, un esponente della ‘ndrangheta[10]. La struttura ideata da Rogoli è di tipo piramidale, formata da otto livelli gerarchici suddivisi in tre fasce, si avvale di rituali di affiliazione e di diverse procedure di promozione interna ovvero regole che sanciscono la progressione di carriera all’interno dell’organizzazione[11]. Questo modello però non risulta compatibile con gli episodi conflittuali interni tra i gruppi criminali per il controllo del territorio, si afferma d’altro canto una struttura ad arcipelago che si caratterizza con una frammentazione delle cosche e ad una forte divisione territoriale.

Sebbene la struttura che si presenta agli inquirenti sia molto simile a quella ‘ndranghetista, cioè formata da gruppi (ne sono stati individuati 49 nel 1996 nelle province di Bari, Foggia, Lecce, Taranto e Brindisi per un totale di quasi 1943 affiliati[12]) quindi non verticistica, ma orizzontale in una sorta di federazione, l’aspetto di aggregazione sembra dato più dall’origine territoriale che dai legami di parentela (come avviene invece per mafia e ‘ndrangheta). Si tratta piuttosto di un reclutamento di individui che provengono dallo stesso comune di nascita.

Sempre per quanto riguarda l’affiliazione, le caratteristiche si presentano più simili al modello camorristico, il quale infatti non cura particolarmente i criteri di arruolamento e rende possibile il grado di capo clan anche ad affiliati di giovane età, tutti aspetti che sono molto più rigidi e inflessibili nelle altre organizzazioni tradizionali.

Come quest’ultime anche la Scu necessita di un equipaggiamento di simboli e rituali, i quali però non risultano reali o pensati dall’organizzazione stessa quanto più «un cocktail quasi surreale di fonti false e autentiche, personaggi mitici e quotidiani, invenzione e realtà»[13] e si presentano in quantità massicce e copiate da altre tradizioni criminali. Chiaramente il fine ultimo del procurarsi rituali e simbologie è quello di rendere autorevole e autentica l’organizzazione e sviluppare quel senso di aggregazione che rende nel concreto un’organizzazione criminale di stampo mafioso una società a sé stante, rispetto a quella dello Stato di cui fa parte e soprattutto la volontà, che è peculiare della Scu, di recuperare “il tempo perso” ovvero il suo essere così giovane e il voler diventare a parità di potere, come le altre.

Il ritenerla una criminalità giovane e per questo apparentemente meno minacciosa e sanguinaria rispetto a quelle tradizionali, ha permesso alla Scu di passare inosservata per molti anni e di conseguenza di poter crescere e radicarsi nel territorio senza grossi ostacoli; per fare un esempio il contrabbando di sigarette prima che venisse riconosciuto come una delle principali attività illecite della Scu era considerato un ammortizzatore sociale alla disoccupazione.

In una prima fase la Sacra Corona Unita fu caratterizzata da forti conflitti interni, spesso sanguinari, da una scarsa disposizione alla segretezza da parte di alcuni degli affiliati e dalla profonda mancanza di un coordinamento interno, basato soprattutto dall’autogestione delle famiglie. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta ci fu un processo di riorganizzazione che avrebbe portato alla nascita della Nuova Sacra Corona Unita, tuttavia l’introduzione di nuove regole non si tradusse immediatamente in fatti concreti e si ripresentarono la tendenza centrifuga dei vari gruppi e le ambizioni di affermazione da parte dei nuovi affiliati. Verso la fine di questo decennio la Nuova Sacra Corona Unita era composta da tre raggruppamenti principali, quello brindisino con un ruolo rilevante anche nel territorio tarantino, quello barese (che si sarebbe rapidamente disgregato) e quello salentino costituito da differenti clan che si sarebbero poi uniti al primo gruppo[14].

Il carattere mafioso della quarta mafia è stato riconosciuto solo il 23 maggio del 1991 quando la Corte d’assise di Lecce condannò nel processo “De Tommasi + 133”, numerosi esponenti dell’associazione[15]. L’attività di contrasto da parte delle autorità giudiziarie nel corso degli anni Novanta ha sicuramente colpito nel vivo la struttura della Sacra Corona Unita, la quale, però, nonostante ne sia uscita decimata ha dimostrato di essere una vera e propria organizzazione criminale di stampo mafioso, nata quasi per volontà altrui, ma che ha saputo costruirsi un’identità, sapendosi riadattare sia sul piano organizzativo che su quello operativo attraverso l’uso della violenza e soprattutto creandosi numerose fonti di sostentamento e di arricchimento attraverso le pratiche che verranno presentate qui di seguito.

Gli interessi della Scu

Sin dalla sua nascita la Sacra Corona Unita si caratterizza più come enterprise syndicate (organizzazione di affari e traffici illeciti) che come power syndicate (organizzazione di controllo del territorio); il suo obiettivo principale è dunque l’accumulazione di ricchezza e la gestione dei traffici illeciti.[16] Essa si è dimostrata negli anni molto capace per quanto riguarda un continuo processo di rinnovamento che porta in sé due aspetti distinti, ma complementari. Il primo legato alle attività illecite originare come fonte di approvvigionamento e il secondo legato all’abilità di trovare nuovi canali, legali e non, nei quali inserirsi. Tra i canali storici ricordiamo il contrabbando di sigarette, di cui si è già parlato, che ha rappresentato la prima vera fonte di guadagno. Altro canale storico e fortemente remunerativo è quello del narcotraffico che comprende l’arrivo di sostanze stupefacenti quali cocaina, eroina, ecstasy, hashish e marijuana, provenienti da Albania, Spagna, Olanda, Brasile e da altre regioni italiane come Lazio e Calabria.

«Il narcotraffico si impone tra i principali motori dei processi di accumulazione patrimoniale dei gruppi criminali coinvolti, e diviene inevitabilmente partner privilegiato del reinvestimento speculativo nell’economia legale, dei profitti generati».

Inizialmente limitato a eroina e cocaina, il traffico di sostanze stupefacenti si è poi ampliato creando un vero e proprio supermercato della droga, con modalità imprenditoriali e dai larghi guadagni, si pone al primo posto nell’elenco dei traffici più redditizi gestiti dall’associazione e permette il reinvestimento nell’economia legale, dei profitti accumulati.

«[…] i proventi devono confluire in una cassa comune utilizzata per l’invio di denaro agli affiliati detenuti, a partire da Rogoli, nonché, ovviamente, per il finanziamento di ulteriore attività illecite dello stesso tipo».

Altro canale, sempre illegale di accumulazione è quello delle estorsioni, che purtroppo fa pervenire numeri troppo ridotti, a causa della paura e dell’omertà nel denunciare tale pratica, per permettere una chiara panoramica del fenomeno.

In questo campo la Scu si muove su territori diversificati, come estorsioni sui pescherecci (denaro che i pescatori pagano per sottrarsi ai danneggiamenti delle imbarcazioni), cantieri edili, negozi, pizzerie, bar, locali, discoteche e persino i Luna Park; inoltre appare diffusa la creazione di società (apparentemente legali) che “offrono” servizi di guardiania ai clienti, i quali, una volta scelti vengono messi in condizione, attraverso minacce e intimidazioni, di non poter rifiutare tali servizi. L’estorsione si lega inevitabilmente ad un altro reato ovvero quello dell’usura. In alcuni casi i commercianti sommersi dai debiti, s’indebitano ulteriormente con altri usurai, fino ad arrivare al punto di cedere la propria attività, che diventa per l’associazione una vera e propria macchina per riciclare il denaro sporco. Proprio per la difficoltà di agire da parte delle autorità e del rapporto che si instaura tra usuraio e usurante, quello del racket rappresenta il guadagno illecito maggiormente redditizio dopo quello della droga ed il controllo dei rifiuti. Per la commissione nazionale antimafia:

«non si tratta più di attività finalizzate al puro sostentamento delle cosche sul territorio, ma si tratta di attività destinate a costruire uno dei pilastri dell’organizzazione mafiosa nel suo complesso. L’usura non è più riconducibile a personaggi locali, ma costituisce un terreno privilegiato di reinvestimento per le mafie, tanto che nelle regioni nelle quali è maggiore la pervasività della criminalità organizzata si assiste ad un minor numero di denunce per usura, fatto certamente legato alle capacità intimidatorie di chi esercita tale attività illecita».

Una valida alternativa al contrabbando di sigarette, diventato ormai un business vecchio e poco in uso, si sviluppa verso la fine degli anni Novanta. Si assiste infatti ad una modernizzazione delle bische clandestine, le quali si caratterizzano inizialmente come principali attività di controllo illegale del gioco d’azzardo (prevalentemente esercitato con l’uso delle carte da gioco) per poi essere sostituite dalle scommesse on-line e il videopoker. Quest’ultimo viene esercitato attraverso due metodi: il primo con l’imposizione del pizzo ai gestori dei locali ed il secondo con l’imposizione di acquisto delle macchinette, estendendosi progressivamente su tutto il territorio con un affiliato referente per ogni località fino a quel momento raggiunta. Il denaro movimentato dalle quattro mafie nel settore “giochi e scommesse” si aggira intorno ai tre miliardi e mezzo di euro l’anno, secondo la stima di SOS Impresa.

Contrabbando, narcotraffico, controllo illegale del gioco d’azzardo estorsioni e usura, fanno parte dell’aspetto illegale dei campi d’azione della Scu. Per rendere più completa la rosa degli interessi dell’associazione è necessario fare riferimento al mondo delle aste giudiziarie nelle quali gli affiliati si sono resi particolarmente capaci nell’aggiudicarsi terreni, capannoni, case, eccetera. Tutto questo reso possibile da alcuni aspetti classici anche delle organizzazioni tradizionali quali: l’intimidazione della concorrenza, tramite minacce e avvisi; la copertura da parte di individui esterni all’associazione (spesso figure professionali), ma collusi con essa e soprattutto una grande quantità di denaro liquido, immediatamente disponibile.

Tra le indagini svolte in questo campo sono emersi dei dati allarmanti in relazione allo sviluppo e la produzione energia pulita e rinnovabile. Infatti l’esperta capacità con cui la Scu s’immette nelle aste, rende possibile l’acquisizione di fondi agricoli e terreni edificabili, destinati ad insediamenti eolici e/o fotovoltaici. Quello dello sfruttamento della green economy è un problema non solo pugliese, ma di tutte le regioni italiane dove sono presenti caratteristiche geografiche idonee, unite alla presenza della criminalità organizzata nel territorio e specialmente che si rende possibile a causa delle numerose lacune legislative in materia.

L’attività della criminalità organizzata pugliese mira anche all’accaparramento di finanziamenti pubblici, attraverso illeciti nella pubblica amministrazione, attività confermate dal numero sempre crescente di pratiche aperte delle Procure della Repubblica per crimini nel settore della concessione di appalti e servizi pubblici.

Il percorso della Sacra Corona Unita si connota quindi in un percorso di rapida crescita con un successivo declino, che però ha portato questa organizzazione ad arricchirsi e insediarsi nel territorio in tempi molto brevi. Un cambio di mentalità dell’organizzazione si è reso indispensabile ovvero diventare sempre di più una mafia imprenditrice, meno bellicosa e più concentrata sull’obiettivo finale, cioè arricchimento, senza farsi la guerra nonché il rendersi capace, come le organizzazione tradizionali, di instaurare rapporti organici con la politica nel sistema di compra/vendita di voti in cambio di favori e disponibilità.

Note

  1. Violante 1994, pp. 112-3.
  2. La commissione parlamentare antimafia ha approvato nel 1994 una relazione su insediamenti e infiltrazioni di soggetti e organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali (Commissione parlamentare antimafia 1994a, 1994b). In tale relazione non viene presa in considerazione la Puglia, che è ritenuta una delle regioni di tradizionale insediamento mafioso.
  3. Maritati 1993, p.120
  4. Un consistente numero di appartenenti a Cosa nostra si insedia, dunque, in Puglia e traffica in eroina (Gorgoni 1995, pp. 268-9)
  5. R. Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove, Donzelli Editore, Roma, 2009, p.177
  6. R. Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove, Donzelli Editore, Roma, 2009, p.178
  7. Ministero dell’Interno 1993, p.200
  8. Commissione parlamentare antimafia 1993c, p.53
  9. Giuseppe Rogoli nato a Mesagne, in provincia di Brindisi, emigra in Germania dove fa il tornitore e rientrato nel suo paese, lavora nell’edilizia come piastrellista. Nel 1981 è condannato a 23 anni di reclusione per omicidio a scopo di rapina. Nel carcere di Bari fonda la Scu, alla nascita della quale viene attribuita la data del 25 dicembre.
  10. Questura di Lecce 1988; Commissione parlamentare antimafia 1993h
  11. Arma dei carabinieri 1993c; Eurispes 1994
  12. Fonte: Eurispes
  13. Gambetta 1992, p.178
  14. Cfr. M. Massari, La Sacra Corona Unita. Potere e segreto, Editori Laterza, Bari 1998, pp.5-83
  15. M. Chiarelli, Sacra Corona Unita. I camaleonti delle criminalità italiana, Editori Internazionali Riuniti, 2012, p. 36
  16. R. Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove, Donzelli Editore, Roma, 2009, p.193

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