Cosa Nostra: differenze tra le versioni
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<blockquote><center>«La mafia, lo ripeto ancora una volta, '''non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano'''. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione».</center> | |||
<center> | <center>('''[[Giovanni Falcone]]''')<ref>Giovanni Falcone, Cose di Cosa nostra, in collaborazione con M. Padovani, Milano 1991, p.93</ref></center></blockquote> | ||
[[File:Cosa-nostra.jpg|alt=cosa nostra|miniatura]] | |||
Con il termine '''Cosa Nostra''' si intende l'organizzazione criminale di stampo mafioso nata in Sicilia, la più famosa e fino agli inizi degli anni '90 la più potente tra le organizzazioni mafiose a livello internazionale. A lungo identificata con la parola di origine siciliana "[[mafia]]", Cosa Nostra ha giocato un ruolo e ha avuto un peso nelle vicende politiche dell'Italia unita, sin dalle origini che nessun'altra organizzazione mafiosa può vantare. | |||
== Origine del nome == | |||
* Per approfondire, vedi anche [[Mafia]] | |||
La prima volta che comparve la parola «'''mafia'''» in Italia fu nel [[1863]], durante lo spettacolo teatrale “''I mafiusi della Vicaria''” di Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca. La piéce teatrale ebbe molto successo all’epoca, con oltre trecento repliche nella sola Palermo e addirittura Re Umberto I tra gli spettatori a Napoli: il protagonista, Gioacchino Funciazza, dominava sugli altri mafiusi, facendosi pagare “''u pizzu''” per dormire su un giaciglio, ma al tempo stesso difendeva gli oppressi dal nuovo Stato e tutti quelli che chiedevano la sua protezione. Non solo, il boss rispettava i morti, battezzava i nuovi affiliati, promuoveva i migliori della banda. Tutte cose considerate all’epoca «''onorevoli''», ma il mafioso non era ancora «''uomo d’onore''» come sarebbe stato inteso decenni dopo. L’aggettivo «''mafioso''» era piuttosto sinonimo di «uomo coraggioso», mentre diventava «bella donna» se declinato al femminile. | La prima volta che comparve la parola «'''mafia'''» in Italia fu nel [[1863]], durante lo spettacolo teatrale “''I mafiusi della Vicaria''” di Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca. La piéce teatrale ebbe molto successo all’epoca, con oltre trecento repliche nella sola Palermo e addirittura Re Umberto I tra gli spettatori a Napoli: il protagonista, Gioacchino Funciazza, dominava sugli altri mafiusi, facendosi pagare “''u pizzu''” per dormire su un giaciglio, ma al tempo stesso difendeva gli oppressi dal nuovo Stato e tutti quelli che chiedevano la sua protezione. Non solo, il boss rispettava i morti, battezzava i nuovi affiliati, promuoveva i migliori della banda. Tutte cose considerate all’epoca «''onorevoli''», ma il mafioso non era ancora «''uomo d’onore''» come sarebbe stato inteso decenni dopo. L’aggettivo «''mafioso''» era piuttosto sinonimo di «uomo coraggioso», mentre diventava «bella donna» se declinato al femminile. | ||
Tant’è che Rizzotto fu aspramente criticato, in primo luogo dall’etnologo | Tant’è che Rizzotto fu aspramente criticato, in primo luogo dall’etnologo [[Giuseppe Pitrè]], che lo accusava di aver attribuito valore negativo alla parola. «''La mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti.''», sosteneva lo studioso, «''Il mafioso '''non è un ladro, non è un malandrino'''; e se nella nuova fortuna toccata alla parola, la qualità di mafioso è stata applicata al ladro, ed al malandrino, ciò è perché il non sempre colto pubblico non ha avuto tempo di ragionare sul valore della parola, né s’è curato di sapere che nel modo di sentire del ladro e del malandrino il mafioso è soltanto '''un uomo coraggioso e valente''', che non porta mosca sul naso, nel qual senso l’essere mafioso è necessario, anzi '''indispensabile'''. La mafia è la '''coscienza del proprio essere''', l’esagerato concetto della forza individuale, unica e sola arbitra di ogni contrasto, di ogni urto d’interessi e d’idee; donde la insofferenza della superiorità e peggio ancora della prepotenza altrui. Il mafioso vuol essere rispettato e rispetta quasi sempre. Se è offeso non si rimette alla legge, alla giustizia, ma sa farsi personalmente ragione da sé, e quando non ne ha la forza, col mezzo di altri del medesimo sentire di lui''»<ref>Citato da Leonardo Sciascia in La Storia della Mafia, pubblicato in “Quaderni Radicali” n. 30 e 31 – Anno XV Gennaio/Giugno 1991</ref>. | ||
La concezione di Pitrè piaceva particolarmente anche a [[Luciano Leggio]]<ref>Si ricorda che Luciano Leggio è noto alle cronache come “Liggio”, a causa di un errore di trascrizione nel primo verbale di fermo negli anni ’50.</ref>, che la riprese durante una famosa intervista a Enzo Biagi<ref>Intervista di Enzo Biagi a Luciano Leggio, Linea diretta 20 marzo 1989, citato in MOIRAGHI Francesco, ''Cosa Nostra'', pubblicato in Strutture: Cosa Nostra e ‘ndrangheta a confronto, WikiMafia – Libera Enciclopedia sulle Mafie, pag.5</ref>:<blockquote> | |||
:'''Biagi''': «Che cos’è la Mafia secondo lei, è una cosa riprovevole?» | :'''Biagi''': «Che cos’è la Mafia secondo lei, è una cosa riprovevole?» | ||
:'''Leggio''': «[…] Leggendo vari autori che hanno parlato su ‘sta parola, mafia, e rifacendomi al Pitrè che è uno dei grandi cultori della lingua antica siciliana, mafia doveva essere una parola di bellezza. Bellezza non solo fisica, ma anche bellezza come spiritualità, nel senso che se incontro una bella donna diciamo “Mafiusa sta fimmina” […]. Era un complimento e un fenomeno di bellezza. » | :'''Leggio''': «[…] Leggendo vari autori che hanno parlato su ‘sta parola, mafia, e rifacendomi al Pitrè che è uno dei grandi cultori della lingua antica siciliana, mafia doveva essere una parola di bellezza. Bellezza non solo fisica, ma anche bellezza come spiritualità, nel senso che se incontro una bella donna diciamo “Mafiusa sta fimmina” […]. Era un complimento e un fenomeno di bellezza.» | ||
:'''Biagi''': «Se è così lei non si offende se io dico che è mafioso.» | :'''Biagi''': «Se è così lei non si offende se io dico che è mafioso.» | ||
:'''Leggio''': «No, non mi offendo, non solo. Semplicemente mi duole perché credo che non ho tutta quella ricchezza spirituale e fisica di esserlo, un mafioso» | :'''Leggio''': «No, non mi offendo, non solo. Semplicemente mi duole perché credo che non ho tutta quella ricchezza spirituale e fisica di esserlo, un mafioso» | ||
</blockquote>Una ricchezza spirituale e fisica che evidentemente non mancava a un illustre cittadino palermitano come era '''Vittorio Emanuele Orlando''', già presidente del Consiglio dei Ministri (1917-1919) e Ministro degli Interni (1916-1919), che in un comizio al Teatro Massimo di Palermo arrivò a dichiarare che «''se per mafia si intende il senso dell'onore portato fino all'esagerazione, l'insofferenza contro ogni prepotenza e sopraffazione, portata sino al parossismo, la generosità che fronteggia il forte ma indulge al debole, la fedeltà alle amicizie, più forte di tutto, anche della morte. Se per mafia si intendono questi sentimenti, e questi atteggiamenti, sia pure con i loro eccessi, allora in tal senso si tratta di contrassegni individuali dell'anima siciliana, e mafioso mi dichiaro io e sono fiero di esserlo!''»<ref>Discorso al Teatro Massimo di Palermo del 28 giugno 1925</ref>. | |||
Una ricchezza spirituale e fisica che evidentemente non mancava a un illustre cittadino palermitano come era '''Vittorio Emanuele Orlando''', già presidente del Consiglio dei Ministri (1917-1919) e Ministro degli Interni (1916-1919), che in un comizio al Teatro Massimo di Palermo arrivò a dichiarare che «''se per mafia si intende il senso dell'onore portato fino all'esagerazione, l'insofferenza contro ogni prepotenza e sopraffazione, portata sino al parossismo, la generosità che fronteggia il forte ma indulge al debole, la fedeltà alle amicizie, più forte di tutto, anche della morte. Se per mafia si intendono questi sentimenti, e questi atteggiamenti, sia pure con i loro eccessi, allora in tal senso si tratta di contrassegni individuali dell'anima siciliana, e mafioso mi dichiaro io e sono fiero di esserlo!''»<ref>Discorso al Teatro Massimo di Palermo del 28 giugno 1925</ref>. | |||
[[Cesare Terranova]], capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, dichiarò nel [[1965]]: «''La mafia non è un concetto astratto, non è uno stato d’animo, ma è criminalità organizzata, efficiente e pericolosa, articolata in aggregati o gruppi o “famiglie” o meglio ancora “cosche”. […] Esiste una sola mafia, né vecchia né giovane, né buona né cattiva, esiste la mafia che è associazione delinquenziale''»<ref>Tribunale di Palermo. Sentenza di rinvio a giudizio contro L. Leggio + 115, 14 agosto 1965, in Commissione parlamentare Antimafia 1972, IV, t. XVI, pp. 208-9</ref> | [[Cesare Terranova]], capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, dichiarò nel [[1965]]: «''La mafia non è un concetto astratto, non è uno stato d’animo, ma è criminalità organizzata, efficiente e pericolosa, articolata in aggregati o gruppi o “famiglie” o meglio ancora “cosche”. […] Esiste una sola mafia, né vecchia né giovane, né buona né cattiva, esiste la mafia che è associazione delinquenziale''»<ref>Tribunale di Palermo. Sentenza di rinvio a giudizio contro L. Leggio + 115, 14 agosto 1965, in Commissione parlamentare Antimafia 1972, IV, t. XVI, pp. 208-9</ref> | ||
Questa dichiarazione metteva in luce chiaramente l’importanza della cellula organizzativa base mafiosa, '''la famiglia''', oltre a sottolineare '''l’infondatezza della suddivisione tra vecchia e nuova mafia'''. Tale distinzione (vecchia mafia, portatrice di valori tradizionali e in un certo senso positivi, contrapposta ad una nuova mafia degenerata e traditrice di quegli stessi principi) ritrae in modo erroneo l’organizzazione criminale, che va forse vista come un continuum di vicende criminali in cui raramente si può trovare qualcosa di positivo | Questa dichiarazione metteva in luce chiaramente l’importanza della cellula organizzativa base mafiosa, '''la famiglia''', oltre a sottolineare '''l’infondatezza della suddivisione tra vecchia e nuova mafia'''. Tale distinzione (vecchia mafia, portatrice di valori tradizionali e in un certo senso positivi, contrapposta ad una nuova mafia degenerata e traditrice di quegli stessi principi) ritrae in modo erroneo l’organizzazione criminale, che va forse vista come un continuum di vicende criminali in cui raramente si può trovare qualcosa di positivo. | ||
«''E’ una società, un’organizzazione, a modo suo, giuridica''»<ref>G. Falcone, Cose di Cosa nostra, in collaborazione con M. Padovani, Milano 1991, p.37</ref>, affermò più tardi [[Giovanni Falcone]]. Eppure l’organizzazione venne riconosciuta tale solo con la sentenza di Cassazione del [[Maxiprocesso di Palermo|Maxiprocesso]] del [[30 gennaio]] [[1992]]. | «''E’ una società, un’organizzazione, a modo suo, giuridica''»<ref>G. Falcone, Cose di Cosa nostra, in collaborazione con M. Padovani, Milano 1991, p.37</ref>, affermò più tardi [[Giovanni Falcone]]. Eppure l’organizzazione venne riconosciuta tale solo con la sentenza di Cassazione del [[Maxiprocesso di Palermo|Maxiprocesso]] del [[30 gennaio]] [[1992]]. | ||
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== Storia ed evoluzione == | == Storia ed evoluzione == | ||
=== Le origini === | === Le origini === | ||
[[File:Giuseppe Garibaldi 1861.jpg| | [[File:Giuseppe Garibaldi 1861.jpg|250x250px|thumb|Giuseppe Garibaldi, nel 1861|alt=Giuseppe Garibaldi]] | ||
Nel [[1860]] '''Giuseppe Garibaldi''' con le sue camicie rosse '''invase la Sicilia per annetterla al regno d’Italia''', sconfiggendo l’esercito borbonico. La spedizione ebbe un rapido successo poiché lo sbarco innescò una rivolta interna che non lasciò scampo ai Borboni. Ma quale fu la causa del disagio che spinse i siciliani ad appoggiare i garibaldini? Con la legge del [[4 agosto]] [[1812]], il Parlamento siciliano aveva formalmente abolito il sistema feudale, che, però, continuò ancora per oltre un secolo ad essere la struttura socio-economica portante della Sicilia. I baroni che prima gestivano immensi feudi in quanto vassalli del re continuarono lo stesso a spadroneggiarvi in quanto proprietari. Questo modello basato sul latifondo aveva favorito '''la miseria della popolazione e la debolezza delle classi sociali diverse da quella possidente''', unitamente alla diffusione del '''particolarismo''' (la tendenza a curarsi solo dei propri interessi, spesso a danno degli interessi altrui), del '''familismo''' (concezione che assolutizza i legami familiari arrivando all'estraniamento dalle responsabilità sociali) e del '''clientelismo''' (sistema di relazioni tra persone che, accomunate da motivi di interesse, si scambiano favori, spesso a danno di altri). | Nel [[1860]] '''Giuseppe Garibaldi''' con le sue camicie rosse '''invase la Sicilia per annetterla al regno d’Italia''', sconfiggendo l’esercito borbonico. La spedizione ebbe un rapido successo poiché lo sbarco innescò una rivolta interna che non lasciò scampo ai Borboni. Ma quale fu la causa del disagio che spinse i siciliani ad appoggiare i garibaldini? Con la legge del [[4 agosto]] [[1812]], il Parlamento siciliano aveva formalmente abolito il sistema feudale, che, però, continuò ancora per oltre un secolo ad essere la struttura socio-economica portante della Sicilia. I baroni che prima gestivano immensi feudi in quanto vassalli del re continuarono lo stesso a spadroneggiarvi in quanto proprietari. Questo modello basato sul latifondo aveva favorito '''la miseria della popolazione e la debolezza delle classi sociali diverse da quella possidente''', unitamente alla diffusione del '''particolarismo''' (la tendenza a curarsi solo dei propri interessi, spesso a danno degli interessi altrui), del '''familismo''' (concezione che assolutizza i legami familiari arrivando all'estraniamento dalle responsabilità sociali) e del '''clientelismo''' (sistema di relazioni tra persone che, accomunate da motivi di interesse, si scambiano favori, spesso a danno di altri). | ||
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Ciononostante, il prefetto di Agrigento esortò il ministro ad ascoltare anche l'altra versione dei fatti, ma nonostante la mole di prove che produsse a sua discolpa, il Ministro della Giustizia che era intenzionato a prendere provvedimenti perse il posto poco dopo e il suo successore non avviò alcuna iniziativa né sollecitò alcuna inchiesta sulle infiltrazioni nella magistratura e nelle forze dell'ordine. Il "Barone" De Michele diventò sindaco di Burgio nel 1878 e suo figlio venne eletto in Parlamento. Nel frattempo i procedimenti giudiziari messi in moto dalla scoperta del rituale di iniziazione della mafia da parte di Sangiorgi andarono avanti, ma con risultati altalenanti: venivano condannati solamente gli esponenti delle fazioni perdenti delle varie guerre di mafia. | Ciononostante, il prefetto di Agrigento esortò il ministro ad ascoltare anche l'altra versione dei fatti, ma nonostante la mole di prove che produsse a sua discolpa, il Ministro della Giustizia che era intenzionato a prendere provvedimenti perse il posto poco dopo e il suo successore non avviò alcuna iniziativa né sollecitò alcuna inchiesta sulle infiltrazioni nella magistratura e nelle forze dell'ordine. Il "Barone" De Michele diventò sindaco di Burgio nel 1878 e suo figlio venne eletto in Parlamento. Nel frattempo i procedimenti giudiziari messi in moto dalla scoperta del rituale di iniziazione della mafia da parte di Sangiorgi andarono avanti, ma con risultati altalenanti: venivano condannati solamente gli esponenti delle fazioni perdenti delle varie guerre di mafia. | ||
Sangiorgi tornò tuttavia a Palermo come questore nel [[1898]] e cominciò a redarre una serie di rapporti per il Procuratore Generale del capoluogo siciliano nel quadro della preparazione di un processo. Quei rapporti vennero poi raccolti in un unico volume di 485 pagine che offriva il primo quadro completo della mafia siciliana dell'epoca: dalla mappa dell'organizzazione delle otto cosche mafiose che dominavano i sobborghi e i paesi satelliti situati a nord e a ovest di Palermo, fino ai profili di 218 uomini d'onore e al rituale di iniziazione e del codice di comportamento dell'organizzazione. Illustrava i metodi imprenditoriali e la strategia di infiltrazione nelle istituzioni. Nonostante | Sangiorgi tornò tuttavia a Palermo come questore nel [[1898]] e cominciò a redarre una serie di rapporti per il Procuratore Generale del capoluogo siciliano nel quadro della preparazione di un processo. Quei rapporti vennero poi raccolti in un unico volume di 485 pagine che offriva il primo quadro completo della mafia siciliana dell'epoca: dalla mappa dell'organizzazione delle otto cosche mafiose che dominavano i sobborghi e i paesi satelliti situati a nord e a ovest di Palermo, fino ai profili di 218 uomini d'onore e al rituale di iniziazione e del codice di comportamento dell'organizzazione. Illustrava i metodi imprenditoriali e la strategia di infiltrazione nelle istituzioni. Nonostante la caduta del governo presieduto da Luigi Pelloux, generale dell'esercito che aveva fortemente voluto Sangiorgi a Palermo, il processo ai 51 imputati, di cui 6 latitanti, si concluse il 1° giugno con 32 condanne e 19 assoluzioni. Ventisei condannati ricorsero in appello, ma il 15 ottobre 1901 la corte confermò le condanne, confermate successivamente anche in Cassazione. | ||
==== L'omicidio Notarbartolo ==== | ==== L'omicidio Notarbartolo ==== | ||
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[[File:Notarbartolo.jpg|200px|thumb|right|Emanuele Notarbartolo di San Giovanni, in una foto d'epoca]] | [[File:Notarbartolo.jpg|200px|thumb|right|Emanuele Notarbartolo di San Giovanni, in una foto d'epoca]] | ||
In particolare, Notarbartolo finì immischiato nella guerra di potere a livello nazionale che vedeva contrapposti il gruppo di potere legato a '''Giovanni Giolitti''', presidente del Consiglio in carica, e '''Francesco Crispi''', che gli sarebbe succeduto dopo lo scoppio dello scandalo della Banca Romana. Il marchese firmò la propria condanna a morte quando espresse la sua volontà nel gennaio 1893 di rendere spontanee dichiarazioni alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta in merito alle malversazioni attorno al Banco di Sicilia, legati al gruppo di potere crispino: il 1° febbraio, mentre si trovava su una carrozza di prima classe del treno della linea Termini Imerese - Palermo, l'ex-sindaco di Palermo '''venne ucciso con 27 coltellate''' e scaraventato giù dal finestrino, all'altezza di Trabia. | In particolare, Notarbartolo finì immischiato nella guerra di potere a livello nazionale che vedeva contrapposti il gruppo di potere legato a '''Giovanni Giolitti''', presidente del Consiglio in carica, e '''Francesco Crispi''', che gli sarebbe succeduto dopo lo scoppio dello scandalo della Banca Romana. Il marchese firmò la propria condanna a morte quando espresse la sua volontà nel gennaio 1893 di rendere spontanee dichiarazioni alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta in merito alle malversazioni attorno al Banco di Sicilia, legati al gruppo di potere crispino: il 1° febbraio, mentre si trovava su una carrozza di prima classe del treno della linea Termini Imerese - Palermo, l'ex-sindaco di Palermo '''venne ucciso con 27 coltellate''' e scaraventato giù dal finestrino, all'altezza di Trabia. | ||
[[File:Raffaele palizzolo.jpg|200px|thumb| | [[File:Raffaele palizzolo.jpg|200px|thumb|Raffaele Palizzolo|alt=Raffaele Palizzolo]] | ||
L'omicidio scandalizzò l'opinione pubblica non solo siciliana e assunse un'eco nazionale, accendendo i riflettori sulla criminalità organizzata in Sicilia. Ci vollero però quasi sette anni prima dell’inizio delle udienze e sul banco degli imputati finirono due addetti del treno su cui viaggiava il marchese, che avevano però un ruolo marginale nella vicenda. Il figlio di Notarbartolo, Leopoldo, si costituì parte civile al processo e, tra lo stupore del pubblico, accusò pubblicamente '''Raffaele Palizzolo di essere il mandante dell’omicidio del padre'''. Inoltre riuscì ad avere l’appoggio politico del presidente del consiglio dell'epoca, Luigi Pelloux, amico di famiglia, che si diede da fare affinché si spostasse il processo '''da Palermo a Milano''' per evitare intimidazioni nei confronti dei testimoni, e fece in modo che la camera votasse a favore dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Palizzolo. | L'omicidio scandalizzò l'opinione pubblica non solo siciliana e assunse un'eco nazionale, accendendo i riflettori sulla criminalità organizzata in Sicilia. Ci vollero però quasi sette anni prima dell’inizio delle udienze e sul banco degli imputati finirono due addetti del treno su cui viaggiava il marchese, che avevano però un ruolo marginale nella vicenda. Il figlio di Notarbartolo, Leopoldo, si costituì parte civile al processo e, tra lo stupore del pubblico, accusò pubblicamente '''Raffaele Palizzolo di essere il mandante dell’omicidio del padre'''. Inoltre riuscì ad avere l’appoggio politico del presidente del consiglio dell'epoca, Luigi Pelloux, amico di famiglia, che si diede da fare affinché si spostasse il processo '''da Palermo a Milano''' per evitare intimidazioni nei confronti dei testimoni, e fece in modo che la camera votasse a favore dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Palizzolo. | ||
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==== Mafia e Socialismo: Bernardino Verro e i fasci siciliani ==== | ==== Mafia e Socialismo: Bernardino Verro e i fasci siciliani ==== | ||
Nell'ultimo decennio del XIX secolo le condizioni di vita dei contadini siciliani erano diventate insostenibili, a causa del sistema di intermediazione gestito dai c.d. gabelloti. Fu per questo motivo che nacquero '''i Fasci Siciliani''', leghe di coltivatori organizzate dal corleonese [[Bernardino Verro]] | Nell'ultimo decennio del XIX secolo le condizioni di vita dei contadini siciliani erano diventate insostenibili, a causa del sistema di intermediazione gestito dai c.d. gabelloti. Fu per questo motivo che nacquero '''i Fasci Siciliani''', leghe di coltivatori organizzate dal corleonese [[Bernardino Verro]] | ||
[[File:Bernardino Verro.jpg|200px|thumb| | [[File:Bernardino Verro.jpg|200px|thumb|Bernardino Verro|alt=Bernardino Verro]] | ||
Il movimento, di chiara ispirazione socialista, chiedeva nuovi contratti che stipulassero una ripartizione paritaria del prodotto tra i proprietari e i contadini di piccoli fondi. I mafiosi, visto il clima di incertezza politica, offrirono allora a Verro la possibilità di essere iniziato: il leader socialista accettò in parte per ingenuità (pochi sapevano cosa fosse veramente la mafia, i più la ritenevano una semplice associazione segreta), in parte per ottenere la loro protezione contro le numerose minacce di morte che gli erano arrivate. Le cose però precipitarono quasi subito: i mafiosi, avendo capito che lo Stato avrebbe represso i Fasci, decisero di appoggiare i proprietari terrieri, declinando le richieste dei movimenti contadini, cosa che portò Verro a pentirsi amaramente di avervi fatto accordi. Nel [[1894]] il fascio fu represso definitivamente con la legge marziale: l’esercito giunse in Sicilia e sedò le rivolte. | Il movimento, di chiara ispirazione socialista, chiedeva nuovi contratti che stipulassero una ripartizione paritaria del prodotto tra i proprietari e i contadini di piccoli fondi. I mafiosi, visto il clima di incertezza politica, offrirono allora a Verro la possibilità di essere iniziato: il leader socialista accettò in parte per ingenuità (pochi sapevano cosa fosse veramente la mafia, i più la ritenevano una semplice associazione segreta), in parte per ottenere la loro protezione contro le numerose minacce di morte che gli erano arrivate. Le cose però precipitarono quasi subito: i mafiosi, avendo capito che lo Stato avrebbe represso i Fasci, decisero di appoggiare i proprietari terrieri, declinando le richieste dei movimenti contadini, cosa che portò Verro a pentirsi amaramente di avervi fatto accordi. Nel [[1894]] il fascio fu represso definitivamente con la legge marziale: l’esercito giunse in Sicilia e sedò le rivolte. | ||
[[File:Fasci siciliani castelvetrano 1893.jpg|200px|thumb|right|Una delle insurrezioni dei fasci siciliani a Castelvetrano nel 1893, in un disegno dell'epoca. Fonte: Archivio Storico de l'Unità]] | [[File:Fasci siciliani castelvetrano 1893.jpg|200px|thumb|right|Una delle insurrezioni dei fasci siciliani a Castelvetrano nel 1893, in un disegno dell'epoca. Fonte: Archivio Storico de l'Unità]] | ||
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=== Il ruolo nello sbarco alleato in Sicilia nel 1943 === | === Il ruolo nello sbarco alleato in Sicilia nel 1943 === | ||
A suggellare la normalizzazione dei rapporti tra mafia e fascismo vi fu la protezione concessa dal regime al boss [[Vito Genovese]], che nel [[1935]] finanziò la costruzione della casa del fascio di Nola e nel gennaio [[1943]] fece assassinare l'antifascista Carlo Tresca. A dimostrazione dell'estrema pragmaticità dei mafiosi, Genovese divenne poi l'interprete ufficiale del capo degli affari civili dell'AMGOT (American Military Government of Occupied Territory) in Sicilia e a Napoli, il colonnello statunitense '''Charles Poletti'''. | A suggellare la normalizzazione dei rapporti tra mafia e fascismo vi fu la protezione concessa dal regime al boss [[Vito Genovese]], che nel [[1935]] finanziò la costruzione della casa del fascio di Nola e nel gennaio [[1943]] fece assassinare l'antifascista Carlo Tresca. A dimostrazione dell'estrema pragmaticità dei mafiosi, Genovese divenne poi l'interprete ufficiale del capo degli affari civili dell'AMGOT (American Military Government of Occupied Territory) in Sicilia e a Napoli, il colonnello statunitense '''Charles Poletti'''. | ||
[[File:Calogero vizzini.jpg|200px|thumb|right|don Calogero Vizzini, capomafia di Villalba]] | |||
Ciononostante, non fu per opportunismo che i mafiosi organici al fascismo e quelli invece mandati al confino decisero di voltare le spalle al regime. A scatenare l'aristocrazia terriera mafiosa fu l'istituzione, nel [[1940]] dell''''Ente Colonizzazione del Latifondo Siciliano''', che costringeva i proprietari terrieri ad apportare migliorie produttive, con il contributo statale, ai propri fondi, pena l'esproprio. Fu così che nacque il comitato d'azione separatista, guidato da un triumvirato composto dal conte massone '''Lucio Tasca''', dal liberale massone '''Andrea Finocchiaro-Aprile''' e dal capomafia di Villalba [[Calogero Vizzini]], comitato che nel [[1942]] prese il nome di Movimento per l'indipendenza della Sicilia (MIS), che appoggiò lo sbarco alleato l'anno successivo. | |||
Intanto, negli Stati Uniti si creava il legame tra US Navy e [[Cosa Nostra Americana]]. Fin dallo scoppio della guerra, nel ’39, gli Usa, per quanto ancora formalmente neutrali, cominciarono a rifornire gratuitamente tutti i nemici dell’Asse. Nel febbraio 1942 la ''Normandie'', una nave di linea di lusso, prese fuoco e si rovesciò mentre si trovava alla fonda nelle acque dello Hudson. All'epoca non era chiaro se si trattasse di un incidente o di un sabotaggio da parte di spie italiane e tedesche, ma per sicurezza i servizi segreti, guidati dal maggiore '''Radcliffe Haffenden''', cercarono la collaborazione della mafia italo-americana che controllava i traffici del porto, prima incontrando Joseph Lanza, boss del mercato del pese di Fulton, e poi, su consiglio di quest'ultimo, con il boss [[Lucky Luciano]], il quale, benché in carcere per una condanna a 50 anni di reclusione per sfruttamento della prostituzione, continuava a controllare le attività illecite del porto<ref>I contatti di Haffenden con Luciano sono confermati dai microfilm pubblicati per un breve periodo sul sito del ''Freedom information act'' (Foia) che riporta i resoconti delle indagini della stessa Fbi su Haffenden.</ref>. | |||
Un altro servigio reso da Lucky Luciano fu quello di segnalare agli americani i mafiosi residenti in Sicilia che avrebbero certamente cooperato al momento dello sbarco in Sicilia, che aveva preso il nome di '''operazione Husky'''. L’''Office of Strategic Services'' (Oss) il servizio segreto statunitense, si preoccupò anche di selezionare militari di origine siculo-americana e di creare una rete di contatti con tutti coloro che, nella Trinacria, fossero ostili al regime, non ultimi gli influenti membri del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. | |||
Il [[17 agosto]] [[1943]] la Sicilia era già completamente in mano alleata. Nei sei mesi di governo dell'AMGOT, gli americani reclutarono tra le fila mafiose per reggere i comuni appena liberati: tra gli altri, don Calò divenne sindaco di Villabate, [[Giuseppe Genco Russo]] fu nominato sovrintendente all'assistenza pubblica di Mussomeli e [[Vincenzo Di Carlo]] (capo della cosca di Raffadali) divenne responsabile dell'ufficio locale per la requisizione dei cereali. | |||
=== Agli albori della Repubblica === | === Agli albori della Repubblica === | ||
Il primo terreno di scontro tra mafia nuovamente legittimata dal potere in carica e i contadini fu l'effettiva applicazione delle norme dei decreti del ministro dell'agricoltura Fausto Gullo, che stabilivano una quota maggiore destinata ai contadini affittuari dei prodotti coltivati, la possibilità di costituire cooperative e di rilevare la terra lasciata improduttiva. La vecchia aristocrazia terriera, spalleggiata dai suoi gabelloti mafiosi, portò avanti in dieci anni una vera e propria campagna di eliminazione sistematica di oltre quaranta dirigenti contadini socialisti e comunisti, servendosi anzitutto del bandito [[Salvatore Giuliano]] e della sua banda. | |||
Anche la [[Strage di Portella della Ginestra]], prima strage politico-mafiosa della storia italiana, fu una reazione alla vittoria del [[20 aprile]] [[1947]] del Fronte Popolare (l'alleanza PCI-PSI), che si inseriva in un più generale '''contesto politico italiano e internazionale''': subito dopo la strage, il 13 maggio De Gasperi metteva fine all'esperienza dei governi di unità nazionale, cacciando le sinistre all'opposizione e inaugurando, il 30 maggio, il suo IV esecutivo, che sanciva la fine dell'anomalia italiana dei partiti social-comunisti al governo in un paese sotto l'egida USA. Parallelamente, in Sicilia il democristiano Giuseppe Alessi varava un governo minoritario appoggiato dai partiti sconfitti alle elezioni del 20 aprile. | |||
Da quel momento la mafia ricoprì un ruolo strategico a livello politico e venne inserita nello schema della Guerra Fredda '''in funzione anticomunista'''<ref>Dalla Chiesa, La Convergenza, 2010, p.38</ref>. | |||
=== La Rinascita nel Dopoguerra: "la mafia" diventa "Cosa Nostra" === | === La Rinascita nel Dopoguerra: "la mafia" diventa "Cosa Nostra" === | ||
Negli anni del c.d. "boom economico", i boss mafiosi siciliani continuarono a portare avanti le proprie attività criminali indisturbati, sfruttando anche l'oramai consolidata convinzione dell'opinione pubblica che il fascismo l'avesse sradicata dall'isola. Tra chi negava che addirittura non fosse mai esistita e chi sosteneva fosse un mero modo d'essere, tipico della cultura della Sicilia arcaica, quindi superata, il potere delle famiglie mafiose siciliane crebbe, sfruttando i mutamenti economici e sociali di quegli anni. | |||
La riforma agraria avviata coi Decreti Gullo con '''lo smembramento dei latifondi''', '''l’apertura dei mercati''', '''l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno''', '''la nascita della Regione a statuto autonomo Sicilia''', l’avvio dello sviluppo industriale, imposero un adeguamento delle strutture di Cosa Nostra e delle sue strategie. Con la morte di [[Calogero Vizzini]], nel [[1954]], la c.d. "''mafia agraria''", fondata sul latifondo, venne sostituita da una più moderna "''mafia multi-settoriale''" che affiancava alle attività tradizionali nuovi interessi, quali il '''settore edilizio''' e '''lo sfruttamento della spesa pubblica''', seguendo il trend generale dell'abbandono delle campagne in favore delle città e sfruttando anche i flussi migratori verso il Nord Italia per espandere i propri traffici criminali. Basti pensare che l primo omicidio di mafia in Lombardia si ebbe nel [[1954]], quando '''Ignazio Norrito''' venne crivellato di colpi al Campo dei Fiori, sopra Varese, per uno sgarro mal digerito dai suoi capi nell'ambito del traffico di diamanti, primo business di Cosa Nostra al Nord<ref>Mario Portanova, Giampiero Rossi, Franco Stefanoni, "Mafia a Milano - Sessant'anni di affari e delitti", Milano, Melampo Editore, 2011, p.32</ref>. | La riforma agraria avviata coi Decreti Gullo con '''lo smembramento dei latifondi''', '''l’apertura dei mercati''', '''l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno''', '''la nascita della Regione a statuto autonomo Sicilia''', l’avvio dello sviluppo industriale, imposero un adeguamento delle strutture di Cosa Nostra e delle sue strategie. Con la morte di [[Calogero Vizzini]], nel [[1954]], la c.d. "''mafia agraria''", fondata sul latifondo, venne sostituita da una più moderna "''mafia multi-settoriale''" che affiancava alle attività tradizionali nuovi interessi, quali il '''settore edilizio''' e '''lo sfruttamento della spesa pubblica''', seguendo il trend generale dell'abbandono delle campagne in favore delle città e sfruttando anche i flussi migratori verso il Nord Italia per espandere i propri traffici criminali. Basti pensare che l primo omicidio di mafia in Lombardia si ebbe nel [[1954]], quando '''Ignazio Norrito''' venne crivellato di colpi al Campo dei Fiori, sopra Varese, per uno sgarro mal digerito dai suoi capi nell'ambito del traffico di diamanti, primo business di Cosa Nostra al Nord<ref>Mario Portanova, Giampiero Rossi, Franco Stefanoni, "Mafia a Milano - Sessant'anni di affari e delitti", Milano, Melampo Editore, 2011, p.32</ref>. | ||
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==== Il summit del 1957 ==== | ==== Il summit del 1957 ==== | ||
* ''Per approfondire, vedi [[Summit Grand Hotel et des Palmes]]'' | * ''Per approfondire, vedi [[Summit Grand Hotel et des Palmes]]'' | ||
[[File:Hotel delle palme palermo.jpg|alt=Il Grand Hotel et des Palmes|miniatura|Il Grand Hotel et des Palmes]] | |||
Un passaggio fondamentale nella storia fu rappresentato dal Summit tenutosi a Palermo tra i capi di Cosa Nostra siciliana e [[Cosa Nostra Americana]] tra il 12 e il 16 ottobre [[1957]], durante il quale vennero ricuciti i rapporti tra le due organizzazioni e si discusse l'ingresso dei siciliani nel business del traffico di stupefacenti. Con la commissione Kefauver che accendeva i riflettori sugli affari dei boss italo-americani e la rivoluzione cubana in corso che avrebbe spazzato via la dittatura corrotta e brutale di '''Fulgencio Batista''', Cosa Nostra Americana aveva infatti bisogno per continuare il traffico di stupefacenti di una rete fidata di uomini, di un socio a cui poter affidare una gestione divenuta troppo pericolosa, se condotta esclusivamente negli USA, e di una nuova base per lo smistamento: da questo punto di vista, i mafiosi siciliani, già impegnati nel contrabbando di sigarette per tutto il Mediterraneo, rappresentavano il partner ideale per ritirare l'eroina raffinata nel sud della Francia e poi spedirla negli USA. | Un passaggio fondamentale nella storia fu rappresentato dal Summit tenutosi a Palermo tra i capi di Cosa Nostra siciliana e [[Cosa Nostra Americana]] tra il 12 e il 16 ottobre [[1957]], durante il quale vennero ricuciti i rapporti tra le due organizzazioni e si discusse l'ingresso dei siciliani nel business del traffico di stupefacenti. Con la commissione Kefauver che accendeva i riflettori sugli affari dei boss italo-americani e la rivoluzione cubana in corso che avrebbe spazzato via la dittatura corrotta e brutale di '''Fulgencio Batista''', Cosa Nostra Americana aveva infatti bisogno per continuare il traffico di stupefacenti di una rete fidata di uomini, di un socio a cui poter affidare una gestione divenuta troppo pericolosa, se condotta esclusivamente negli USA, e di una nuova base per lo smistamento: da questo punto di vista, i mafiosi siciliani, già impegnati nel contrabbando di sigarette per tutto il Mediterraneo, rappresentavano il partner ideale per ritirare l'eroina raffinata nel sud della Francia e poi spedirla negli USA. | ||
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=== L'ascesa dei Corleonesi === | === L'ascesa dei Corleonesi === | ||
* ''Per approfondire, vedi [[Clan dei Corleonesi]]'' | * ''Per approfondire, vedi [[Clan dei Corleonesi]]'' | ||
[[File:Salvatore Riina.jpeg|alt=Totò Riina|miniatura|200x200px|Totò Riina]] | |||
Dopo le assoluzioni, Cosa Nostra cominciò a riorganizzarsi, anche se non fu ricostituita immediatamente la [[Commissione provinciale|commissione provinciale]] perché i mandamenti non funzionavano ancora a dovere e, soprattutto, le famiglie erano rimaste a secco. Come ricordò il pentito [[Antonino Calderone]], "''i soldi erano finiti per tutti. Se ne erano andati in avvocati, carcerazioni e cose del genere. Ci fu una raccolta fondi che fruttò 20-30 milioni, consegnati a [[Totò Riina]], come reggente di Palermo, e che servivano a sostenere chi aveva bisogno urgente di denaro o si trovava in situazioni di emergenza. Verso il [[1971]] si organizzarono addirittura una serie di sequestri.''"<ref>Pino Arlacchi, Gli uomini del Disonore, Milano, Mondadori, 1992, p.85</ref> | |||
Tra i vari sequestri, quello di Pino Vassallo, figlio di don Ciccio, costruttore che si era arricchito sfruttando l'amicizia coi capi di Cosa Nostra, che fruttò 400 milioni subito distribuiti tra le famiglie mafiose più bisognose di Palermo. I Corleonesi di [[Luciano Liggio|Leggio]] e Riina ne approfittarono subito per commettere altri sequestri, senza dividere il ricavato con le altre famiglie, spostando poi l'attività al Nord. | |||
*''Per approfondire, vedi [[Stagione dei sequestri di persona]]'' | |||
Gli anni '70 videro un boom del contrabbando di sigarette, che aveva il suo epicentro a Napoli: il boss della [[Camorra]] [[Michele Zaza]] ammise in seguito di aver smerciato fino a 50mila casse di sigarette al mese. Ma il vero business, con cui divennero "''tutti miliardari''", come ricordò Calderone, fu quello della droga. Nel [[1969]] il presidente americano Richard Nixon aveva dichiarato guerra alle droghe ma con la chiusura delle raffinerie marsigliesi gestite dai còrsi la Sicilia divenne strategica per il traffico e finì col diventare la raffineria d'Europa. Nel [[1975]] un trafficante turco di droga e armi che era stato il principale fornitore di morfina base per le raffinerie marsigliesi contattò direttamente i vertici di Cosa Nostra e da quel momento si aprirono laboratori in tutta la Sicilia: quando nel [[1977]] entrarono a regime le raffinerie siciliane, i consumi di eroina aumentarono in tutta Europa e negli USA, mentre la quantità di eroina sequestrata su scala mondiale crebbe di quasi sei volte e mezzo tra il [[1974]] e il [[1982]]. | |||
Collaborando con i cugini americani, i mafiosi siciliani sarebbero arrivati nel [[1982]] a controllare raffinazione, spedizione e distribuzione '''dell'80% dell'eroina consumata negli USA'''. Proprio seguendo la pista della droga e dei soldi nacque poi il [[Processo Pizza Connection]], a cui collaborarono, per la parte italiana, [[Giovanni Falcone]] e [[Gioacchino Natoli]]. Nel frattempo, i fiumi di denaro generati dal narcotraffico addirittura raddoppiarono la quota del mercato siciliano degli investimenti di tutto un arcipelago di banche private e cooperative locali. | |||
Sempre in quegli anni arrivano all'onore delle cronache due banchieri, entrambi appartenenti alla '''loggia massonica P2''', [[Michele Sindona]], legato all'omicidio dell'avvocato milanese [[Giorgio Ambrosoli]], e [[Roberto Calvi]], fatto trovare suicida sotto al ponte dei Frati Neri a Londra per aver riciclato, male, i soldi di Cosa Nostra. | |||
=== La Seconda Guerra di Mafia === | === La Seconda Guerra di Mafia === | ||
* ''Per approfondire, vedi [[Seconda Guerra di Mafia]]'' | * ''Per approfondire, vedi [[Seconda Guerra di Mafia]]'' | ||
I [[Corleonesi]], sia per scarsa esperienza manageriale, sia per i ridotti contatti all'estero, rimasero tagliati fuori dai grossi traffici di stupefacenti e il proprio business si fondava quasi esclusivamente sul contrabbando di sigarette e i sequestri di persona. Riina, però, fin dall'arresto di Liggio, iniziò a lavorare al suo personalissimo piano di supremazia interna a Cosa Nostra creandosi '''una rete di fiancheggiatori e alleati dentro l'organizzazione''', per riuscire un giorno a rovesciare l'egemonia dei boss delle vecchie famiglie palermitane. | |||
L'occasione per l'inizio della scalata fu l'omicidio – il [[16 marzo]] [[1978]] - di [[Francesco Madonia]], capo della cosca di Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta, ordinato da [[Gaetano Badalamenti|Badalamenti]] perché sospettato di essere il mandante, per volere di Riina, di un (fallito) attentato ai danni di [[Giuseppe Di Cristina]], boss di Riesi a lui fedele. Badalamenti era inoltre sospettato di aver gestito traffici di eroina senza informare la Cupola, con l'intermediazione del trafficante [[Salvatore Greco]], che nel frattempo era morto in Venezuela per cause naturali il [[7 marzo]] [[1978]]. Con questa accusa Totò Riina fece espellere Badalamenti dalla Cupola, costringendolo a fuggire prima in Spagna e poi in Brasile. | |||
A prendere il posto di Badalamenti fu [[Michele Greco]], boss di Ciaculli, nominato rappresentante della [[Commissione provinciale]]. Ufficialmente capo della Cupola, di fatto non aveva alcuna autorità diventando presto il burattino dei Corleonesi. Il vero conflitto iniziò tra Riina e [[Stefano Bontate]]. | |||
==== Gli omicidi interni a Cosa Nostra ==== | |||
Riina iniziò il suo golpe militare facendo uccidere i boss [[Giuseppe Di Cristina]] ([[30 maggio]] 1978) e [[Giuseppe Calderone]] ([[8 settembre]] 1978), vicinissimi a Bontade e Badalamenti. Di Cristina era stato il primo a dare l'allarme sulla pericolosità di Riina e Provenzano: ''"I viddani sono giunti alle porte di Palermo, lo volete capire o no?"'', disse ai boss palermitani che non gli diedero ascolto. Dopo la fuga di Badalamenti aveva poi cominciato ad incontrare di nascosto il capitano dei carabinieri di Gela, [[Alfio Pettinato]], con l'obiettivo di far arrestare Riina. | |||
Riina e Bontate – tramite il capo-commissione Michele Greco – fecero nominare nuovi capomandamenti. Si cercò di riequilibrare la geografia mafiosa, ma il lavoro da tessitore di Riina stava già dando i suoi frutti. Gli alleati dei Corleonesi – sul territorio - erano in maggioranza rispetto ai palermitani. | |||
==== Gli omicidi eccellenti ==== | |||
Nel 1979 i corleonesi fecero approvare dalla [[Commissione provinciale]] numerosi omicidi eccellenti. L'[[11 gennaio]] venne ammazzato il sottoufficiale della Polizia [[Filadelfio Aparo]], il [[26 gennaio]] il giornalista [[Mario Francese]], il [[9 marzo]] il segretario provinciale Dc [[Michele Reina]], il [[21 luglio]] il vicequestore [[Boris Giuliano]] e il [[25 settembre]] il giudice [[Cesare Terranova]] e il maresciallo [[Lenin Mancuso]]. Il [[6 gennaio]] 1980 fu ucciso il presidente della Regione [[Piersanti Mattarella]], seguito il [[4 maggio]] dal capitano dei carabinieri [[Emanuele Basile]]. | |||
Intanto continuò a crescere la disapprovazione da parte della fazione di Bontate, finchè [[Salvatore Inzerillo]] reagì facendo uccidere il giudice [[Gaetano Costa]] senza l'approvazione della commissione (6 agosto 1980). Un mese dopo, il [[6 settembre]], venne ucciso Fra' [[Giacinto Castronovo]], devotissimo a Stefano Bontate, che teneva la '38 nel cassetto della sua cella in monastero. | |||
Furono poi uccisi [[Pio La Torre]] e il compagno della scorta [[Rosario Di Salvo]], il [[30 aprile]] [[1982]], e il Generale [[Carlo Alberto dalla Chiesa]], il [[3 settembre]] successivo, nella [[Strage di via Isidoro Carini]], con la moglie e l'agente [[Domenico Russo]]. L'anno successivo venne ucciso con un'autobomba [[Rocco Chinnici]], ideatore del [[Pool antimafia di Palermo|Pool antimafia]]. | |||
=== Il Regno di Totò Riina === | === Il Regno di Totò Riina === | ||
La duplice strategia, azzeramento dei nemici interni ed eliminazione dei principali pericoli che provenivano dallo Stato, portarono Totò Riina a diventare il Capo indiscusso di Cosa Nostra intorno al [[1984]], quando anche i mafiosi italo-americani presero atto della situazione e si schierarono dalla parte dei Corleonesi. | |||
La stagione della scalata non fu dominata solo da logiche di guerra, ma fu una vera e propria '''esibizione di potere''' da parte dei nuovi leader, finalizzata alla ridefinizione dei rapporti con lo Stato: la mafia a guida corleonese '''riaffermava il monopolio della violenza sul suo territorio''' e rivendicava '''una posizione di autonomia dagli altri poteri''' con i quali interloquiva, pretendendo di stabilire regole e ribaltare gerarchie. Non accettava di essere subordinata ad alcun rapporto di potere, tanto meno politico, ma anzi '''pretendeva la subordinazione''' di chi si trovava all'interno dell'arena politica-istituzionale. | |||
Motivo per cui il tradizionale rapporto con la politica, e con la Democrazia Cristiana, venne messo in discussione, ad esempio, alle elezioni politiche nazionali, con il voto al Partito socialista italiano e al partito radicale, in modo da mandare un chiaro messaggio ai referenti politici tradizionali in merito alla celebrazione del Maxiprocesso di Palermo. | |||
=== Il Maxiprocesso di Palermo === | === Il Maxiprocesso di Palermo === | ||
* ''Per approfondire, vedi [[Maxiprocesso di Palermo]]'' | * ''Per approfondire, vedi [[Maxiprocesso di Palermo]]'' | ||
[[File:Maxiprocesso accusa.jpg|alt=L'Aula Bunker durante il Maxiprocesso|miniatura|L'Aula Bunker durante il Maxiprocesso]] | |||
Nonostante l'omicidio di Chinnici, il Pool antimafia continuò il suo lavoro sotto la guida del suo successore, [[Antonino Caponnetto]]: il pentimento inaspettato di [[Tommaso Buscetta]] e l'utilizzo del c.d. Metodo Falcone (seguire la pista dei soldi, facendo le indagini bancarie), permisero l'istruzione del primo grande processo alla mafia siciliana, che si aprì il [[10 febbraio]] [[1986]] a Palermo e si concluse, dopo 349 udienze, con '''360 condanne''' (74 in contumacia), di cui 19 ergastoli, per un totale di 2665 anni di carcere e 11.5 miliardi di lire di multe, e 114 assoluzioni. Con il processo, finì anche la tregua militare della mafia. La sera stessa venne ucciso [[Antonino Ciulla]] mentre stava rincasando con un vassoio di cannoli per festeggiare l'assoluzione. | |||
Il processo di appello si concluse invece il [[12 dicembre]] 1990: gli ergastoli vennero ridotti a 12 e le condanne furono 258. Nonostante fossero state confermate da riscontri obiettivi le dichiarazioni dei pentiti, '''la sentenza ridimensionò l'importanza delle loro dichiarazioni'''. Risultò particolarmente '''indebolita la visione verticistica e unitaria di Cosa Nostra''', nonostante non fosse stata completamente disarticolata. I boss della Commissione ricevettero pene variabili e ingiustificabili (Ad esempio, Salvatore Riina e Michele Greco furono condannati all'ergastolo ma Bernardo Provenzano solo a 10 anni e Salvatore Greco a 6 anni, mentre altri killer come Giuseppe Lucchese Miccichè non ricevettero il massimo della pena). Addirittura rimasero impuniti gli omicidi del commissario Boris Giuliano, del capitano dei carabinieri Emanuele Basile e del Generale Dalla Chiesa, dopo otto anni e ben due processi. Restò, pur fragilmente, il principio che gli omicidi fossero commissionati ad un livello più alto dell'organizzazione, dunque alcuni membri della Commissione furono condannati come mandanti. | |||
=== Il crollo del Muro di Berlino === | |||
Con il crollo del Muro di Berlino ([[9 novembre]] [[1989]]) e la successiva fine della Guerra Fredda, con la dissoluzione dell'Urss, venne meno anche il ruolo politico nazionale che Cosa Nostra aveva esercitato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in funzione anticomunista<ref>Dalla Chiesa, La Convergenza, 2010</ref>. Non essendoci più il pericolo comunista, cominciarono a schricchiolare anche gli appoggi politici dei Corleonesi. | |||
[[File:Falcone martelli.jpg|200px|thumb|Giovanni Falcone con l'allora ministro della giustizia Claudio Martelli|alt=Giovanni Falcone con Claudio Martelli]] | |||
=== Il | Il trasferimento di [[Giovanni Falcone]] alla direzione degli affari penali del Ministero della Giustizia, nel frattempo, produsse effetti non previsti: la sintonia con il ministro Martelli diede vita al “'''pacchetto antimafia'''”, nel quale venne annunciata la costituzione della '''DIA''' ([[Direzione Investigativa Antimafia]]) e della '''DNA''' ([[Direzione Nazionale Antimafia]]), la Superprocura che avrebbe dovuto coordinare le indagini di mafia tra le varie procure. | ||
=== La Sommersione === | |||
Ma, ancora una volta, la magistratura italiana si rivoltò contro Falcone: per il posto di procuratore venne scelto [[Agostino Cordova]], colui che aveva appena concluso due inchieste, una sulla massoneria e l’altra su alcuni scandali di socialisti in Calabria. Ma Falcone, inutile dirlo, non mollò. Presentò a Martelli il suo “piano”: '''confische dei beni, carcere duro per i boss mafiosi e una legge sui collaboratori di giustizia'''. Il ministro della Giustizia costrinse il presidente del consiglio [[Giulio Andreotti]] a far approvare il pacchetto antimafia e anche la “spedizione” dei capi di Cosa Nostra nei carceri dell'Asinara e di Pianosa. | |||
=== La sentenza in Cassazione del Maxiprocesso e la strategia stragista === | |||
Il [[30 gennaio]] [[1992]] le sezioni riunite della Cassazione confermarono le condanne di primo grado del [[Maxiprocesso di Palermo|Maxiprocesso]], arrivando a una condanna storica: per la prima volta si poteva definire la mafia un'organizzazione criminale verticistica e unitaria. Al risultato contribuì in maniera indiretta Falcone, diramando una circolare che imponeva il giudizio a sezioni riunite anziché alla prima sezione, presieduta da [[Corrado Carnevale]], detto l'Ammazzasentenze. | |||
La reazione dei Corleonesi non si fece attendere: il [[12 marzo]] assassinarono [[Salvo Lima]] per non aver mantenuto la parola circa l'aggiustamento del "Maxi" in Cassazione. Il [[23 maggio]] toccò a Giovanni Falcone, il nemico numero uno, che perse la vita nella [[Strage di Capaci]]; il [[19 luglio]] fu ucciso [[Paolo Borsellino]] che stava indagando sulla sua morte, nella [[Strage di Via d'Amelio]]. Il [[17 settembre]] fu ucciso [[Ignazio Salvo]], tradizionale interfaccia di Cosa Nostra con il mondo della politica, in particolare con il defunto Salvo Lima, vicerè di Andreotti in Sicilia. | |||
==== L'arresto di Riina e la prosecuzione delle stragi ==== | |||
[[File:Arresto riina.jpg|alt=L'arresto di Totò Riina|miniatura|300x300px|L'arresto di Totò Riina]] | |||
Il [[15 gennaio]] [[1993]] Riina venne arrestato dagli uomini del ROS dell'Arma dei Carabinieri a Palermo, proprio nel giorno di insediamento alla Procura di [[Gian Carlo Caselli]]; ciononostante, '''il covo non fu perquisito''' e lasciato senza sorveglianza, nonostante le rassicurazioni date al nuovo capo della Procura da parte del comandante [[Mario Mori]]. | |||
Dopo l'arresto del Capo dei Capi, in seno a Cosa Nostra si crearono due schieramenti, uno favorevole alla continuazione della strategia stragista (formato da [[Leoluca Bagarella]], [[Giovanni Brusca]] e i fratelli Graviano) e uno contrario (formato da [[Michelangelo La Barbera]], [[Raffaele Ganci]], [[Salvatore Cancemi]]). A sanare la divisione ci pensò [[Bernardo Provenzano]], che mise d'accordo le due fazioni stabilendo che gli attentati sarebbero potuti continuare, ma fuori dalla Sicilia. | |||
Così continuò la serie di delitti: prima con il [[Fallito Attentato di via Fauro]], il [[14 maggio]], ai danni di Maurizio Costanzo, impegnato in trasmissioni contro la mafia. Poi il [[27 maggio]] un furgoncino imbottito di esplosivo saltò in aria in [[Strage di Via dei Georgofili|via dei Georgofili]], provocando 5 morti e 29 feriti. Due mesi dopo, un'altra autobomba esplose in [[Strage di via Palestro|via Palestro]] a Milano, provocando altre cinque vittime. Pochi minuti dopo, a mezzanotte, altre due autobombe esplosero a Roma, in piazza San Giovanni in Laterano, sede del Vicariato cattolico, e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro, provocando dieci feriti. Il [[15 settembre]] venne ucciso invece don [[Pino Puglisi]], parroco al quartiere Brancaccio di Palermo. | |||
Inoltre nel novembre dello stesso anno i boss Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano, Giovanni Brusca e [[Matteo Messina Denaro]] sequestrarono [[Giuseppe Di Matteo]] per costringere il padre [[Santino Di Matteo|Santino]] (che stava collaborando con la giustizia) a ritrattare le sue dichiarazioni, nel quadro di una strategia di ritorsioni verso i collaboratori di giustizia. Dopo 779 giorni di prigionia, Di Matteo venne brutalmente strangolato e il cadavere buttato in un bidone pieno di acido nitrico. | |||
La strategia prevedeva altri eventi delittuosi, non portati a termine per circostanze fortuite: nel settembre 1992 doveva essere ucciso anche [[Pietro Grasso]], giudice a latere della Corte d'Assise che emise la sentenza di primo grado del [[Maxiprocesso di Palermo|Maxiprocesso]]. Stessa sorte sarebbe dovuta toccare a Claudio Martelli, ministro della giustizia, ma anche parlamentari come [[Calogero Mannino]], [[Carlo Vizzini]] e [[Claudio Fava]] e funzionari di polizia come [[Arnaldo La Barbera]] e [[Calogero Germanà]], quest'ultimo miracolosamente sfuggito il [[14 settembre]]. A cavallo tra il '92 e il '93 era stato preparato anche un attentato di proporzioni immani per far saltare in aria alcuni pullman dei carabinieri in servizio allo [[Fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma|stadio Olimpico di Roma]]: l'attentato fallì solo per un guasto tecnico al telecomando che avrebbe dovuto innescare l'ordigno. Sempre in quei mesi l'ex Presidente del Consiglio dei Ministri e senatore a vita '''Giulio Andreotti''' fu rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. | |||
Con l'arresto '''a Milano''' dei fratelli [[Filippo Graviano|Filippo]] e [[Giuseppe Graviano]], che si erano occupati dell'organizzazione degli attentati, Il [[27 gennaio]] [[1994]], gli attentati finirono. Sempre nello stesso periodo numerosi mafiosi iniziarono a collaborare con la giustizia per via delle dure condizioni d'isolamento in carcere previste dalla nuova norma del 41-bis, che venivano sospese con la nuova legge sui pentiti; contemporaneamente il lavoro di DIA e DNA portò all'arresto di numerosi latitanti (tra cui Leoluca Bagarella, Pietro Aglieri e Giovanni Brusca). | |||
=== La Sommersione: l'era Provenzano === | |||
La stagione del terrore era finita. La "'''mafia della Seconda Repubblica'''", come la definì Saverio Lodato<ref>Cfr Saverio Lodato, ''Dall'altare contro la mafia. Inchiesta sulle chiese di frontiera'', Milano, Rizzoli, 1994</ref>, si caratterizzò per una bassa propensione alle carneficine benché interessata a mantenere il controllo del territorio per pesare negli assetti politici italiani. Ciò accadde soprattutto nei sette mesi del primo Governo Berlusconi, per tre ragioni in particolare: favorire la [[45/2001 (Legge)|revisione della legge sul pentitismo]], l'ammorbidimento del carcere duro regolato dal 41-bis, nonché chiudere definitivamente i conti con quei pubblici ministeri poco disposti a mediare in caso di gravissimi reati di mafia. Il clima politico era favorevole, anche se gli addetti ai lavori riuscirono a mantenere una buona dose di autonomia. | |||
Nel terzo anniversario della Strage di Capaci le polemiche politiche si arroventarono circa le denunce di isolamento della Procura di Palermo e del calo di attenzione mediatica sui fatti siciliani da parte della stampa. Anche il primo governo di centrosinistra con i post-comunisti, insediatosi l'anno successivo, sembrava essere poco reattivo sul tema. Questo merito anche della "mafia silente", che aveva optato la strategia della "sommersione" sotto Provenzano. | |||
[[Attilio Bolzoni]] scrisse su "la Repubblica" del [[2 novembre]] [[1998]] che "''da tredici mesi, nella città di Palermo, non c'è più un delitto di mafia. E ciò non accadeva dai tempi dell'Unità d'Italia''". L'unico grande delitto fu quello di [[Domenico Geraci]], avvenuto a Caccamo nell'ottobre dello stesso anno. | |||
Del resto, il nucleo storico dei Corleonesi batteva in ritirata, decimato dagli arresti e dagli ergastoli, nonché da pentimenti eccellenti, come quello di [[Giovanni Brusca]]. Eppure Cosa Nostra continuava a vivere, tanto che nel suo ultimo libro-intervista prima di morire [[Tommaso Buscetta]] dichiarò sin dal titolo: "'''La mafia ha vinto'''", per la ragione principale che aveva prevalso la "normalità" nella lotta alla mafia. All'indomani della sentenza di prescrizione per Giulio Andreotti (salutata come un'assoluzione piena), di fronte alla volgarità di certi commenti, l'anziano [[Antonino Caponnetto]] dovette farsi promotore di un "''vertice sulla legalità''" a Firenze, che vide la partecipazione, fra gli altri, di Caselli, Gherardo Colombo, il procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna, Dario Fo e Franca Rame. | |||
La mafia era diventata '''come il borotalco'''<ref>Lodato, p.409</ref>: quasi inodore. Aveva distrutto i suoi cliché, la sua immagine violenta, anche se qualche delitto continuava a commetterlo, sembrava un ordine monastico chiuso '''in silenzio''', il cui obiettivo riuscito era quello di passare inosservata. I boss, eccezion fatta per qualche proclama di Riina ai processi, rimaneva in silenzio. Suo cognato Leoluca Bagarella il [[12 luglio]] [[2002]] fece un vero e proprio proclama-avvertimento, in videoconferenza, durante un processo a Trapani, in cui accusava gli avvocati che "''in Parlamento non fanno il loro dovere''"<ref>Ivi, p.410</ref>. Tanto che alla vigilia di Natale dello stesso anno sugli spalti dello stadio di Palermo comparve lo striscione: "''Uniti contro il 41 bis. Berlusconi dimentica la Sicilia''". | |||
=== L'arresto di Provenzano === | === L'arresto di Provenzano === | ||
L'[[11 aprile]] [[2006]], dopo 43 anni di latitanza, Bernardo Provenzano venne arrestato in un casolare a Montagna dei Cavalli, frazione a 2 km da Corleone, dove vivevano ancora la moglie Saveria Palazzolo e i due figli Angelo e Francesco Paolo. Il reggente di Cosa Nostra, dopo che diverse inchieste avevano decapitato la sua rete di fedelissimi, era assistito da anziani corleonesi, tutti incensurati, che garantivano la sua latitanza e, soprattutto, le sue comunicazioni con l'esterno. L'arresto di Provenzano avvenne nel giorno in cui, ufficialmente, alcun governo era in carica: le elezioni politiche erano state vinte dalla coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi, mentre al governo vi era Silvio Berlusconi ma solo per guidare gli affari correnti, in attesa dell'insediamento del nuovo governo. | |||
Il [[5 novembre]] [[2007]], dopo 25 anni di latitanza, venne arrestato, in una villetta di Giardinello, anche il presunto successore di Provenzano, il boss [[Salvatore Lo Piccolo]] assieme al figlio Sandro. | |||
=== Il pentimento di Gaspare Spatuzza === | === Il pentimento di Gaspare Spatuzza === | ||
* ''Per approfondire, vedi [[Gaspare Spatuzza]]'' | * ''Per approfondire, vedi [[Gaspare Spatuzza]]'' | ||
Quando Gaspare Spatuzza, mafioso fedelissimo dei Fratelli Graviano, decise di collaborare con la giustizia, nel [[2008]], fu un duro colpo per l'organizzazione. Il nuovo collaboratore di giustizia rivelò particolari inediti sulle stragi del '92 e '93, ma soprattutto smascherò il depistaggio sulla [[Strage di Via D'Amelio]], auto-accusandosi del furto della Fiat 126 poi imbottita di tritolo. Inoltre, svelò anche diversi dettagli del rapporto tra Marcello Dell'Utri e i fratelli Graviano, durante il processo a carico del co-fondatore di Forza Italia, conclusosi con la sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. | |||
=== Il processo sulla Trattativa Stato-Mafia === | === Il processo sulla Trattativa Stato-Mafia === | ||
* ''Per approfondire, vedi [[Trattativa Stato-mafia]]'' | * ''Per approfondire, vedi [[Trattativa Stato-mafia]]'' | ||
=== La morte di Totò Riina === | |||
Il [[17 novembre]] [[2017]] la morte di Totò Riina ha rappresentato uno spartiacque per la storia di Cosa Nostra: da quel momento le indagini condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo sui mandamenti di Porta Nuova, Pagliarelli, Villabate e Belmonte Mezzagno hanno consentito di registrare un grande fermento all'interno dell'organizzazione, con un'escalation di incontri tra vari esponenti apicali dei mandamenti mafiosi cittadini e della provincia. Dopo la morte del "''Capo dei Capi''", infatti, era venuto meno qualsiasi ostacolo alla riorganizzazione completa di Cosa Nostra. | |||
=== L'operazione Cupola 2.0 === | |||
* Per approfondire, vedi [[Operazione Cupola 2.0]] | |||
Alla fine della lunga attività di indagine, il [[4 dicembre]] 2018 scattò l'Operazione Cupola 2.0 che rivelò i nuovi assetti di Cosa Nostra dopo la morte di Riina. I risultati delle indagini, per quanto concerne la struttura dell'organizzazione, ne confermarono l'unitarietà e il verticismo, nonché l'articolazione nella tradizionale divisione territoriale di “famiglie” e “mandamenti”, al cui vertice continuava ad esserci la "Commissione" provinciale. Il nuovo capo eletto nella prima riunione del [[29 maggio]] [[2018]] venne individuato in [[Settimo Mineo]], capo-mandamento di Pagliarelli<ref>Francesco Lo Voi, ''Fermo di indiziati di delitto - N.719/16 R. mod. 21 D.D.A.'', Direzione Distrettuale Antimafia presso il Tribunale di Palermo, 30 novembre 2018, p.33</ref>. | |||
=== L'arresto di Matteo Messina Denaro === | |||
Il [[16 gennaio]] [[2023]], a quasi trent'anni dall'inizio della sua latitanza, [[Matteo Messina Denaro]], l'ultimo dei boss stragisti rimasto in circolazione, è stato arrestato a Palermo, mentre si recava a una visita nella clinica privata per sottoporsi a una seduta di chemioterapia. | |||
== La Struttura == | == La Struttura == | ||
* ''Per approfondire, vedi anche le voci [[Commissione provinciale]] e [[Commissione regionale (Cosa Nostra)|Commissione regionale]]'' | |||
'''Cosa Nostra''' ha una struttura verticistica consolidatasi a partire dal [[Summit Grand Hotel et des Palmes|Summit al Grand Hotel et des Palmes]] di Palermo del [[12 ottobre]] [[1957]]. Nell'immediato dopoguerra come del resto nel periodo precedente al conflitto mondiale non vi era un organo di controllo della mafia siciliana. Vi erano alcune figure come [[Calogero Vizzini]], il boss di Villalba, seguito dopo la sua morte nel [[1954]] da [[Giuseppe Genco Russo]], boss di Mussomeli, che a lungo sono stati identificati come antesignani del Capo dei capi, anche se tale lettura è ovviamente semplicistica e fuorviante. Pur non negando infatti il carisma e la rilevanza che avevano all’interno dell’organizzazione, un personaggio come Giuseppe Genco Russo non era paragonabile ai boss americani e palermitani, quest'ultimi di gran lunga più importanti per via del potere che esercitavano in città. | '''Cosa Nostra''' ha una struttura verticistica consolidatasi a partire dal [[Summit Grand Hotel et des Palmes|Summit al Grand Hotel et des Palmes]] di Palermo del [[12 ottobre]] [[1957]]. Nell'immediato dopoguerra come del resto nel periodo precedente al conflitto mondiale non vi era un organo di controllo della mafia siciliana. Vi erano alcune figure come [[Calogero Vizzini]], il boss di Villalba, seguito dopo la sua morte nel [[1954]] da [[Giuseppe Genco Russo]], boss di Mussomeli, che a lungo sono stati identificati come antesignani del Capo dei capi, anche se tale lettura è ovviamente semplicistica e fuorviante. Pur non negando infatti il carisma e la rilevanza che avevano all’interno dell’organizzazione, un personaggio come Giuseppe Genco Russo non era paragonabile ai boss americani e palermitani, quest'ultimi di gran lunga più importanti per via del potere che esercitavano in città. | ||
[[File:Struttura famiglia | [[File:Struttura-famiglia-cosa-nostra-siciliana.jpg|alt=struttura famiglia cosa nostra siciliana|miniatura|200x200px|Struttura della Famiglia di Cosa nostra siciliana]] | ||
Durante il Summit, nell'appartamento al primo piano in cui Wagner aveva composto il terzo atto del “''Parsifal''”, i capi della mafia siciliana e di Cosa nostra americana si incontrarono per organizzare organizzare il traffico di eroina tra Sicilia e Stati Uniti. Fu in quella sede che cominciò a circolare l’idea di estendere il modello organizzativo della Commissione di New York anche sul territorio siciliano, o almeno nella provincia di Palermo, dove il grande numero di famiglie mafiose interessate al traffico di stupefacenti avrebbe potuto creare problemi e faide interne. [[Tommaso Buscetta|Buscetta]] affermò di essere stato incaricato di costituire la Commissione avviando le consultazioni tra i boss principali di Cosa nostra<ref>Saverio Lodato, La Mafia ha vinto, Milano, Mondadori, 1999, p. 60</ref>. | Durante il Summit, nell'appartamento al primo piano in cui Wagner aveva composto il terzo atto del “''Parsifal''”, i capi della mafia siciliana e di Cosa nostra americana si incontrarono per organizzare organizzare il traffico di eroina tra Sicilia e Stati Uniti. Fu in quella sede che cominciò a circolare l’idea di estendere il modello organizzativo della Commissione di New York anche sul territorio siciliano, o almeno nella provincia di Palermo, dove il grande numero di famiglie mafiose interessate al traffico di stupefacenti avrebbe potuto creare problemi e faide interne. [[Tommaso Buscetta|Buscetta]] affermò di essere stato incaricato di costituire la Commissione avviando le consultazioni tra i boss principali di Cosa nostra<ref>Saverio Lodato, La Mafia ha vinto, Milano, Mondadori, 1999, p. 60</ref>. | ||
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* ''Per approfondire, vedi [[:Categoria:Famiglie di Cosa Nostra|Famiglie di Cosa Nostra]]'' | * ''Per approfondire, vedi [[:Categoria:Famiglie di Cosa Nostra|Famiglie di Cosa Nostra]]'' | ||
[[File:Struttura-cosa-nostra-siciliana.jpg|alt=Commissione provinciale|miniatura|200x200px|Il ruolo della Commissione provinciale in Cosa Nostra]] | |||
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Il '''Mandamento''' è il raggruppamento di tre o più famiglie territorialmente limitrofe. I rappresentanti dei mandamenti palermitani e dei mandamenti provinciali, eletti dalle famiglie, costituiscono la [[Commissione provinciale]]. | Il '''Mandamento''' è il raggruppamento di tre o più famiglie territorialmente limitrofe. I rappresentanti dei mandamenti palermitani e dei mandamenti provinciali, eletti dalle famiglie, costituiscono la [[Commissione provinciale]]. | ||
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Nelle altre province della Sicilia, a causa del minor numero di uomini d’onore, non esisteva una vera e propria Commissione provinciale sul modello di quella palermitana. Ad esempio a Catania in un primo momento esisteva solo una famiglia mafiosa, dunque non c’era la necessità di una coordinazione pari al palermitano, dove operavano circa sessanta famiglie. Persisteva anche nelle altre province una suddivisione territoriale articolata in mandamenti, che tuttavia non trovava espressione in un organo di controllo come la Commissione. | Nelle altre province della Sicilia, a causa del minor numero di uomini d’onore, non esisteva una vera e propria Commissione provinciale sul modello di quella palermitana. Ad esempio a Catania in un primo momento esisteva solo una famiglia mafiosa, dunque non c’era la necessità di una coordinazione pari al palermitano, dove operavano circa sessanta famiglie. Persisteva anche nelle altre province una suddivisione territoriale articolata in mandamenti, che tuttavia non trovava espressione in un organo di controllo come la Commissione. | ||
== Codice, Riti, Simboli == | == Codice, Riti, Simboli == | ||
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== Economia e Attività Criminali == | == Economia e Attività Criminali == | ||
Rispetto alla parentesi del dominio dei [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]] sotto Totò Riina, anche Cosa nostra dalla metà degli anni '90 è tornata a privilegiare un basso profilo, privilegiando un ''modus operandi'' teso agli affari che minimizza la violenza nelle strade e contro gli uomini dello Stato, con i quali preferisce tentare un approccio collusivo-corruttivo. Lo stesso dicasi per le attività formalmente legali nelle quali vengono reinvestiti gli enormi profitti del narcotraffico e delle altre attività criminali "classiche"<ref>Questa circostanza, oltre ad emergere in diverse indagini recenti, è sottolineata anche dalla Direzione Investigativa Antimafia, nella Relazione del II Semestre 2021, p. 50 e ss.</ref>. | |||
Questa strategia non è nuova, basti pensare alla storica vocazione di Cosa nostra a Catania, negli anni capace di infiltrarsi e addirittura confondersi nel tessuto economico legale del capoluogo, rendendo quasi indistinguibile il confine tra imprenditoria legale e imprenditoria mafiosa (come d'altronde denunciava il giornalista e direttore de "I Siciliani" [[Pippo Fava]], non a caso eliminato perché unica voce critica rispetto a quel sistema di potere politico ed economico compromesso). | |||
La pervasività delle attività illecite dell'organizzazione nel tessuto socio-economico siciliano non devono far dimenticare tuttavia che il core business di Cosa nostra restano '''il traffico di stupefacenti, le estorsioni e la gestione del gioco d'azzardo'''. Nel primo e fondamentale business Cosa nostra non ha più un ruolo di importatrice a livello internazionale, preferendo appoggiarsi alla [['Ndrangheta|'ndrangheta]] per acquisire ingenti carichi di cocaina da rivendere in Sicilia<ref>DIA (2022). ''Relazione II Semestre 2021'', Roma, p. 53.</ref>. | |||
Oltre alle estorsioni, un settore verso il quale la criminalità mafiosa dell’Isola mostra vivo interesse è quello dei '''giochi e delle scommesse in concessione dello Stato''' che genera elevati e rapidi guadagni a fronte di bassi rischi. La mafia siciliana continua ad investire consistenti capitali attraverso '''la gestione diretta o indiretta di società concessionarie di giochi e di sale scommesse''' o mediante l’imposizione di ''slot machine''. Si tratta questo di un business oramai comune a tutte le grandi organizzazioni mafiose italiane. Le organizzazioni assumono la gestione dei centri scommesse riuscendo a realizzare un controllo diffuso sul territorio di competenza nel mercato legale dei giochi e scommesse online, sfruttando società di bookmaker con sede formale all’estero. | |||
In Sicilia negli ultimi anni le indagini hanno rivelato l'esistenza anche di alcuni gruppi di nazionalità straniera, dediti in alcuni quartieri specifici di Palermo e di altre città allo sfruttamento della prostituzione, al lavoro nero e al caporalato, nonché al commercio di prodotti contraffatti e allo spaccio di droga. Per queste ultime Cosa nostra sembrerebbe tollerare la presenza di questi gruppi organizzati stranieri soltanto in ruoli marginali, di cooperazione o di subordinazione. | |||
Tuttavia, molte indagini nel corso degli ultimi anni hanno suggerito uno “sbilanciamento” degli equilibri verso una maggiore autonomia dei '''gruppi di matrice etnica nigeriana'''. Più in generale le bande di criminali stranieri sembrano proporsi nei confronti delle famiglie mafiose siciliane, ricercando forme di consociazione utili ad ottenere una sorta di protezione o quantomeno un placet ad esercitare lo sfruttamento della prostituzione (appannaggio di albanesi, rumeni e nigeriani) e del lavoro nero (attuato da cinesi e nordafricani), nonché la contraffazione e lo smercio di prodotti falsificati (sempre appannaggio di cinesi e nordafricani)<ref>Ivi, p. 54.</ref>. | |||
== Rapporti con la Politica == | == Rapporti con la Politica == | ||
Il rapporto con la politica è essenziale per Cosa nostra e ha caratterizzato, come si è già visto, la sua intera storia. Si tratta questo di un elemento comune a tutte le organizzazioni mafiose, che ne determina la loro cifra identitaria. Senza il rapporto organico con una parte della politica, semplicemente l'organizzazione mafiosa sarebbe uguale a qualsiasi altro tipo di organizzazione criminale contro la quale lo Stato impiegherebbe tutti i suoi mezzi e gli uomini migliori per debellarla (come è accaduto in passato col fenomeno del terrorismo negli anni '70, ad esempio). | |||
La ragione per cui una parte della politica ha sempre rifiutato di occuparsi di mafia risiede nei vantaggi che il rapporto con l'organizzazione mafiosa porta non solo al politico, ma all'intero network criminale, costituito anche da imprenditori collusi e un nutrito gruppo di professionisti. La classica relazione vede '''una triangolazione tra politici corrotti, imprenditori collusi e criminali mafiosi''': il politico in cambio di una tangente assicura l'appalto all'imprenditore, il quale tuttavia lo riceve solo perché ha già garantito il subappalto alle imprese dell'organizzazione mafiosa, che a sua volta porta un considerevole numero di voti al politico corrotto-colluso. In questa sorta di "''Triangolo delle Bermuda mafioso''"<ref>L'espressione è usata per la prima volta da Pierpaolo Farina nel 2012, nella sua tesi "''La tassa mafiosa. A proposito di mafia e corruzione''".</ref> spariscono ogni anno centinaia di miliardi di euro, sottratti in maniera fraudolenta al bilancio dello Stato e all'economia sana del Paese. | |||
== Rapporti con altre organizzazioni criminali == | |||
Cosa Nostra ha da sempre avuto rapporti con altre organizzazioni criminali, siano state esse di stampo mafioso oppure no. Fino agli anni '90, in qualità di organizzazione criminale più potente al mondo, esercitava un'influenza molto forte anche nei confronti di [[camorra]] e [['Ndrangheta|'ndrangheta]], oggi non è più così, anche in ragione del suo principio organizzativo puramente verticale che l'ha esposta maggiormente rispetto alle altre due organizzazioni. | |||
=== Cosa Nostra americana === | |||
* Per approfondire, si veda [[Cosa Nostra Americana|Cosa nostra americana]]. | |||
L'organizzazione mafiosa statunitense fu fondata da emigrati siciliani sul finire dell'Ottocento. Il legame tra le due organizzazioni è sempre stato molto forte, nonostante alcuni periodi di raffreddamento, ad esempio tra gli anni '20 fino ai Summit del 1957, in particolare quello al [[Summit Grand Hotel et des Palmes|Grand Hotel et des Palmes]]. La ragione principale era legata allo sfruttamento della prostituzione, business criminale che Cosa Nostra siciliana considerava poco onorevole. Alla fine, tuttavia, il rapporto si riconsolidò, anche dopo la [[Seconda Guerra di Mafia]], dove la maggior parte dei parenti siciliani delle famiglie mafiose americane era stata sterminata da [[Salvatore Riina|Totò Riina]]. Il legame continua ancora oggi, sebbene entrambe le organizzazioni siano ridimensionate rispetto al loro apice negli anni '70 e '80 del Novecento. | |||
=== Camorra === | |||
I boss della [[Camorra]] hanno sempre avuto un'interlocuzione privilegiata con quelli di Cosa nostra, sin dal Secondo Dopoguerra, quando i boss siciliani decisero che il capoluogo campano doveva diventare una succursale del regno mafioso siciliano. L'organizzazione campana era stata praticamente debellata agli inizi del '900 col [[Processo Cuocolo]], ma nel Secondo Dopoguerra, anche grazie al rapporto con Cosa nostra siciliana, quelli che erano solo dei criminali emergenti vennero trasformati in boss mafiosi, compartecipi delle strategie nazionali dell'organizzazione criminale siciliana. Prova ne è l'affiliazione di diversi capi camorristi a Cosa nostra, un fatto assolutamente inconsueto per l'organizzazione mafiosa siciliana. | |||
Da [[Antonio Bardellino]], capostipite del [[Clan dei Casalesi]], fino a [[Lorenzo Nuvoletta]] e [[Michele Zaza]], il rapporto con i referenti napoletani si inseriva in una strategia più ampia di Cosa Nostra nel monopolizzare le attività criminali lungo tutto lo stivale, forte delle propria legittimazione politica in funzione anti-comunista durante la Guerra Fredda, come riferirono anni dopo i collaboratori di giustizia ed ex-boss mafiosi [[Tommaso Buscetta]] e [[Francesco Di Carlo]]. | |||
Il rapporto si fece particolarmente problematico negli anni '80, quando sia in Campania che in Sicilia infuriavano guerre di mafia. In Campania, [[Raffaele Cutolo]] rivendicava l'assoluta autonomia dalla Sicilia, accusando i mafiosi siciliani di essere dei colonizzatori, pur avendo copiato il modello organizzativo siciliano per la sua [[Nuova Camorra Organizzata]]. Dopo gli anni '80, i rapporti si mantennero proficui per entrambe le associazioni mafiose anche nel Nord Italia. | |||
== | === 'ndrangheta === | ||
= | Il rapporto con la [['Ndrangheta|'ndrangheta]] è sempre stato molto stretto e, inizialmente, era fondato sugli stessi presupposti e obiettivi del rapporto con la camorra. Come per l'organizzazione campana, anche in quella calabrese capibastone di spicco come [[Antonio Macrì]], [[Giuseppe Piromalli]], [[Domenico Tripodo|Mico Tripodo]] (compare d'anello di [[Totò Riina]]<ref>Citato in Gazzetta del Sud, ''"U curtu" e i legami con i clan calabresi'', 18 novembre 2017</ref>) vennero affiliati a Cosa Nostra. | ||
La collaborazione tra le due organizzazioni era presente anche in Sicilia, in particolare nella [[Mafie a Messina|provincia di Messina]], tanto che mafiosi come il messinese Rosario Saporito divenne elemento di spicco dei [[Mazzaferro ('ndrina)|Mazzaferro]], mentre [[Calogero Marcenò]], originario di San Cataldo in provincia di Caltanissetta, divenne capo-locale della [[Locale di Varese]], controllata dagli [[Zagari ('ndrina)|Zagari]]<ref>La circostanza è emersa durante il [[processo Leopardo]] e a riferire la circostanza, nell'udienza del 24 marzo 1995, fu lo stesso Marcenò, divenuto collaboratore di giustizia</ref>. | |||
Tuttavia, la considerazione dei mafiosi siciliani nei confronti degli 'ndranghetisti non è mai stata molto alta. Il collaboratore di giustizia Antonino Calderone riferì ad esempio che:<blockquote>''«I calabresi parlavano, parlavano, parlavano. Parlavano tutto il tempo. Non agli altri intendiamoci, ma tra di loro. Facevano infinite conversazioni circa le loro regole, specialmente in presenza di noi uomini d'onore siciliani. Si sentivano a disagio perché in realtà sapevano di essere inferiori a [[Cosa Nostra]] [...] Abbiamo sempre considerato i calabresi inferiori, come spazzatura. Per non parlare dei campani, di cui non ci siamo mai fidati''»<ref>Citato in Pino Arlacchi, ''Gli uomini del Disonore'', p. 140.</ref>.</blockquote>Al riguardo anche [[Tommaso Buscetta]] usò parole sprezzanti nei confronti dei calabresi, accusati di "''scarsa serietà nel reclutamento''" e di "''segretezza molto bassa, quasi inesistente''":<blockquote>''Noi di Cosa Nostra avevamo avevamo sempre mantenuto le distanze, cercando di non avere a che fare con quelli della 'ndrangheta: non li consideravamo uomini d'onore, anche se loro si autodefinivano in questi termini, oppure "uomini di rispetto" o in altri modi simili. Li ritenevamo poco seri. Gente che era capace, dopo due bicchieri di vino, di attribuire la qualifica di 'ndranghetista al capo delle guardie del carcere, mentre noi prima di ammettere qualcuno in famiglia, svolgevamo indagini fino a due generazioni indietro su tutti i componenti, maschi e femmine, della parentela più stretta del candidato. E poi parlavano troppo. Gli 'ndranghetisti non erano capaci di mantenere il segreto su nulla. Anche se al loro interno non c'erano dei delatori che andavano a riferire i fatti loro alla polizia, questi diventano pubblici rapidamente, andavano sulla bocca di tutti. Per questo li snobbavamo, reputandoli pari ai napoletani sul piano della affidabilità e della "omertosità"''<ref>Citato in Pino Arlacchi, ''Addio Cosa Nostra'', p. 53.</ref>.</blockquote>Nonostante i giudizi sprezzanti, la collaborazione tra mafiosi siciliani e 'ndranghetisti avveniva anche nel Nord Italia, come dimostrano le vicende piemontesi e lombarde. Negli anni '80 a Torino, i Miano e i Finocchiaro di Catania si rifornivano di eroina da [[Angelo Epaminonda]], il Tebano, per poi rivenderla alle 'ndrine attive in città (i Belfiore, gli Ursino e i Macrì)<ref>Giuseppe Legato, ''Narcotraffico, quella storica alleanza tra ’ndrangheta e Cosa Nostra'', La Stampa, 11 febbraio 2014</ref>. In Lombardia, invece, in provincia di Milano i Carollo avevano stretti rapporti con le 'ndrine di Corsico e Buccinasco, come rivelò l'indagine [[Operazione Duomo Connection|Duomo Connection]]. | |||
Sul piano dei reciproci favori, Totò Riina nel [[1991]] favorì la pace tra le 'ndrine mettendo fine alla [[Seconda Guerra di 'ndrangheta|Seconda guerra di 'ndrangheta]], in cambio dell'omicidio, il [[9 agosto]], del giudice [[Antonino Scopelliti]], il quale di lì a poco avrebbe dovuto rappresentare l'accusa nel ricorso in Cassazione sul [[Maxiprocesso di Palermo]]. | |||
Il [[processo denominato 'Ndrangheta stragista]], conclusosi in primo grado e nelle fasi finali in appello, ha permesso di documentare anche il coinvolgimento della 'ndrangheta nelle stragi del '92 e del '93. | |||
Rispetto agli anni '80 e '90, dove Cosa Nostra era certamente in una posizione di supremazia rispetto alla 'ndrangheta, ora i rapporti di forza si sono rovesciati, con la 'ndrangheta che ha conquistato, anche in virtù del suo modello organizzativo verticistico-orizzontale maggiormente efficiente, il primato tra le organizzazioni mafiose italiane, e quelle criminali a livello mondiale. | |||
=== Stidda === | |||
Con la nascita della [[Stidda]], Cosa Nostra si trovò a dover fronteggiare una nuova organizzazione mafiosa siciliana che la sfidava apertamente nella Sicilia centro-meridionale, con una guerra che andò avanti fino al [[1991]], quando l'organizzazione più antica concedette a quella più giovane di gestire diverse attività criminali nelle città di Gela, Mazzarino, Niscemi, Vittoria, Palma di Montechiaro, Porto Empedocle, Canicattì, Marsala ed Alcamo. La pace tra le due organizzazioni dura tuttora. | |||
== Note == | == Note == | ||
<references></references> | <references></references> | ||
[[Categoria:Mafia]] [[Categoria: | == Bibliografia == | ||
* Arlacchi, Pino (1994). ''Addio Cosa Nostra. La vita di Tommaso Buscetta'', Milano, Rizzoli. | |||
* Arlacchi, Pino (1992). ''Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone'', Milano, Arnoldo Mondadori Editore. | |||
* Biagi, Enzo (1986). ''Il Boss è solo'', Milano, Mondadori. | |||
* Direzione Investigativa Antimafia (2022). ''Relazione II Semestre 2021'', Roma. | |||
* Dickie, John (2005). Cosa Nostra - storia della mafia siciliana, Roma-Bari, Laterza. | |||
* Dickie, John (2012). ''Onorate Società'', Roma-Bari, Laterza. | |||
* Duggan, Christopher (1986). ''La Mafia durante il fascismo''", Soveria Mannelli, Rubbettino Editore. | |||
* Falcone, Giovanni, in collaborazione con Marcelle Padovani (1991). [[Cose di Cosa Nostra]], Milano, Rizzoli. | |||
* Lodato, Saverio (1999). ''La Mafia ha vinto'', Milano, Mondadori. | |||
* Lo Voi, Francesco (2018). ''Fermo di indiziati di delitto - N.719/16 R. mod. 21 D.D.A.'', Direzione Distrettuale Antimafia presso il Tribunale di Palermo, 30 novembre. | |||
* Santino, Umberto (2017). ''La Mafia dimenticata'', Milano, Melampo Editore. | |||
[[Categoria:Mafia]] | |||
[[Categoria:Associazioni criminali di stampo mafioso]] |