Stanislao Rampolla

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Stanislao Rampolla del Tindaro (N.D. - 23 febbraio 1889) è stato un delegato di Pubblica Sicurezza dello Stato italiano, morto suicida "per la vergogna", a seguito del suo trasferimento da parte del Prefetto per le sue denunce contro la mafia di Marineo, in provincia di Palermo.

Biografia

Nel 1887 Stanislao Rampolla era stato incaricato dal questore di Palermo Taglieri con il preciso compito di contrastare la mafia di Marineo, poiché «la mafia di quel difficile comune, per lungo tempo sopita, tentava di levare nuovamente il capo».

Rampolla, cavaliere del Regno, aveva alle spalle 35 anni di servizio nella polizia ed un passato di combattente nelle rivoluzioni del 1848 e del 1860. A Marineo aveva trovato un memorandum del precedente delegato, Gaetano Pepi, che accusava il notaio Filippo Calderone, da otto anni sindaco del paese, di esercitare la propria autorità per proteggere i malviventi.

Dopo appena due mesi, Rampolla, in perfetta sintonia col comandante dei carabinieri Giuseppe Attardi, poté confermare al questore Taglieri che il notaio Calderone usava le 27 guardie campestri per danneggiare i suoi avversari politici, che le guardie municipali da lui reclutate erano dei delinquenti comuni, sottoposti in passato a misure di polizia per estorsione, furti e persino omicidi, e colpevoli adesso di vessazioni e prepotenze a danno dei commercianti. Non solo, il carcere cittadino era in mano agli uomini del sindaco, i quali consentivano ai detenuti di passeggiare tranquillamente per il paese. In sostanza, il sindaco Calderone proteggeva criminali in cambio di quel sostegno elettorale che gli consentiva di mettere le mani sul municipio, lucrare con la sua attività professionale e procacciare clienti ai figli Innocenzo e Camillo, avvocati a Palermo.

Nella gestione illegale del Comune erano implicati anche alcuni suoi assessori, come Giobatta Cangialosi e Pietro Mordagà, oltre ai consiglieri comunali, tutti analfabeti o semi-analfabeti, e i pretori Galluzzo e Ferrante, che, insieme al Regio Procuratore di Palermo Nicolai, gli davano appoggio.

In questo contesto, il tesoriere comunale Carmelo Pecoraro era cognato dell’assessore Cangialosi; il commesso telegrafico, che alloggiava gratuitamente nei locali comunali, era cognato del genero del sindaco e cugino del consigliere Pernice; l’addetto al trasporto della corrispondenza, Onofrio Romeo, era zio dei consiglieri Pernice e Calderone; e il fratello sacerdote, Ciro Romeo, era maestro elementare; il registro della popolazione era gestito da Vincenzo Marino, cognato del consigliere Scarpulla e cugino dell’assessore Calderone; un panettiere, tale Ciro Bivona, cugino dei consiglieri Sanfilippo e Pernice e compare del sindaco, era diventato capo della polizia urbana.

Il contesto ambientale e i reati contestati al Calderone avrebbero dovuto comportare la sua immediata destituzione da sindaco. Il Prefetto, però, non solo non intervenne, ma, da lì a poco, così come aveva fatto con i precedenti delegati, trasferì ad altra sede (prima Castronovo, poi Castelbuono) anche il cavalier Rampolla, che qualche giorno dopo, per la vergogna, si suicidò.

Il memoriale a Crispi e i processi

La vedova, Giovanna Cirillo, scrisse un memoriale all'allora Ministro dell'Interno Francesco Crispi, che ebbe l'effetto di trascinare in tribunale il sindaco e i suoi complici, ma il processo si concluse con la loro assoluzione. Secondo i giudici, infatti, a Marineo la mafia non esisteva, il cavalier Rampolla era solo un vecchio pazzo e sua moglie solo una povera vedova accecata dal dolore.

Bibliografia

  • Dino Paternostro, Il poliziotto «suicida per mafia», La Sicilia, 15 febbraio 2009