Operazione Duomo Connection

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L'Operazione Duomo Connection è stata un'inchiesta coordinata dai giudici Ilda Boccassini e Giovanni Falcone, le cui indagini vennero condotte tra la fine del 1988 e il 1990 dalla squadra del capitano dei Carabinieri Sergio De Caprio (in seguito ben più noto all'opinione pubblica per la sua attività svolta a Palermo con il nome di Capitano Ultimo).

L'operazione, scattata nella notte tra il 15 e il 16 maggio 1990 portò all'iscrizione nel registro degli indagati e all'arresto di 20 persone, tra cui Antonino Carollo, figlio di Gaetano, boss di Cosa Nostra ucciso a Liscate, in provincia di Milano, nel 1987, accusati tra le varie cose associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, riciclaggio, corruzione e abuso d'ufficio.

Antefatti

Il bar Nat & Johnny

L'inchiesta nacque per caso alla fine del 1988, quando il gruppo capitanato da Sergio De Caprio iniziò una serie di appostamenti nei pressi del bar Nat & Jhonny di via Fratelli Rosselli, nei pressi delle case popolari di Cesano Boscone (MI), frequentato da Gaetano "Taninello" La Rosa, accusato dell'omicidio di tre carabinieri a Torino otto anni prima.

Il "servizio di osservazione sul territorio", come recita la sentenza di 1° grado, portò gli inquirenti a seguire i movimenti di altri personaggi come Antonino Zacco, il "Sommelier", considerato una figura centrale nel narcotraffico dell'epoca, condannato a 17 anni di carcere per la conduzione di una raffineria di eroina ad Alcamo per conto di Cosa Nostra[1].

Interessati a smantellare l'intera organizzazione legata al narcotraffico, i carabinieri non eseguirono subito l'arresto: fu così che nacque l'inchiesta "Impegno Violino", rinominata Duomo Connection dalla stampa due anni dopo[2].

Il Quadrilatero della droga

Seguendo La Rosa, gli investigatori arrivarono a monitorare uno strano giro di persone nei pressi del Pio Albergo Trivulzio, storica casa di cura milanese per anziani, al centro anche della futura inchiesta Mani Pulite. Tra Via Anguissola, Via Cagnoni, Via Palma e Via fra' Galgario vi era per ore un via vai di gente, tra cui spiccavano personalità come Luigi Bonanno, Francesco Sergi, Saverio Morabito e Antonio Papalia, questi ultimi esponenti di spicco della 'ndrangheta, originari di Platì. Successivamente l'area venne ribattezzata il "Quadrilatero della droga".

Il 9 marzo la squadra di De Caprio fermò Domenico Palazzolo, ragazzo semilibero dal carcere che durante il giorno, durante la pausa pranzo, frequentava la via: gli ritrovarono nell'auto 2 kg di eroina[3]. La svolta avvenne però il 28 aprile 1989 quando Zacco "portò" gli inquirenti in un vecchio fabbricato industriale sito in Via Salis 4 a Milano, nel quartiere della Comasina, il cui cancello venne aperto dal futuro protagonista assoluto dell'inchiesta, Antonino Carollo, figlio di Gaetano.

Zacco e altri indagati rimasero all'interno dell'area per quasi tre quarti d'ora, poi uscirono, scortando una Volvo fino all'ingresso della tangenziale: poco prima Zacco e il suo accompagnatore si staccarono del corteo, mentre la Volvo continuò la sua strada finché non incontrò un blocco della Squadra Mobile (provocato dai Carabinieri) e dopo un breve inseguimento l'auto venne perquisita e i militari sequestrarono oltre 10 kg di eroina ad Antonio Arena[4].

Tra il 9 marzo e il 23 maggio gli inquirenti eseguirono quattro sequestri tra stupefacenti e denaro: oltre a quello del 28 aprile, prima vi era stato il 24 il sequestro di 10 milioni di lire a Gaspare Girgenti, mentre il 17 maggio gli inquirenti avevano messo le mani su 248 milioni e 265mila lire in contanti posseduti dal trafficante jugoslavo Momcilo Nikolic.

Dopo ben 4 sequestri in due mesi e mezzo, Zacco e i suoi capirono che non potevano trattarsi di semplici casi scollegati e, quindi, trasferirono il baricentro delle proprie attività al Bar Viviana di Via Zurigo 4, poco distante dal Quadrilatero, e fino a maggio tennero un basso profilo[5].

Altri luoghi

Oltre al quadrilatero, vi era anche l'assidua frequentazione di altri immobili milanesi, uno in via Creta 6, uno in via Ricciarelli 1, dove aveva sede la "Monti Immobiliare" e il cantiere della Novedil di Carollo a Lainate.

I primi due erano adibiti a luoghi di occultamento e gestione dei carichi di stupefacenti, mentre gli altri due erano utilizzati per diverse riunioni tra gli indagati. In particolare, frequenti furono gli incontri con elementi di spicco della 'ndrangheta come Papalia e Morabito, accertati in almeno nove occasioni[6].

Il 31 maggio ci fu una "riunione operativa" nella baracca del cantiere della Novedil a Lainate, a cui parteciparono tutti i membri dell'organizzazione.

L'organizzazione

Nella gestione del traffico di stupefacenti, centrale era la figura di Antonino Zacco, il quale seguiva personalmente l'operato dei soggetti incaricati delle azioni più rischiose, tenendo i rapporti con gli acquirenti e le "public relations" del gruppo.

Nella gerarchia, subito dopo Zacco vi era Luigi Bonanno, a tutti gli effetti il suo braccio destro. Poi vi erano Antonio Panaia, Vincenzo Schiatterella e Gaspare Girgenti, che si occupavano della sorveglianza e della gestione dell'occultamento dei quantitativi di droga e della loro gestione. Un ruolo gregario era svolto da Domenico Palazzolo, nonostante la sua condizione di semi-libertà.

Gaetano La Rosa, da cui era partita l'inchiesta, svolgeva un ruolo di primaria importanza, sostituendo Zacco nel perfezionamento degli accordi per le forniture, anche se fu il primo ad essere arrestato, il 18 gennaio 1989.

Ai vertici dell'organizzazione vi era Antonino Carollo, mentre Remo Meli gestiva il luogo di imbosco di Via Salis 4, collocato a pochi passi dalla sua casa e dalla gelateria gestita dalla moglie.

I colletti bianchi

Una svolta nelle indagini è data dall'approvazione del nuovo Codice di Procedura Penale, entrato in vigore dal 24 ottobre 1989: da quel momento fu possibile utilizzare le intercettazioni ambientali ai fini delle indagini e De Caprio e i suoi furono tra i primi a cogliere l'opportunità.

Dal 29 novembre al 15 febbraio 1990 i Carabinieri intercettarono i vari membri dell'organizzazione, piazzando una microspia nella baracca della Novedil, ma non solo. Oltre a pericolosi pregiudicati, vi erano anche imprenditori insospettabili come Gaetano Nobile e Sergio Coraglia.

Nobile era un ingegnere palermitano, massone, titolare di una serie di società immobiliare e finanziarie a Milano, Palermo e Firenze, alcune delle quali vennero individuate come lo "schermo" dietro cui Carollo manteneva la titolarità di un'area agricola a Ronchetto sul Naviglio.

Sergio Coraglia, invece, era il titolare della Monti Immobiliare, società che all'epoca aveva costruito palazzi in tutto l'hinterland milanese e che aveva affittato la villa di Liscate al padre di Carollo, Gaetano, fino al suo omicidio. Nella sede della Monti Immobiliare, in via Vincenzo Monti 55, si svolsero diversi incontri tra Carollo e Coraglia, intercettati dai Carabinieri, che li convinsero come i due imprenditori fossero di fatto al servizio del figlio di Don Gaetano[7].

Il 2 dicembre 1989 ai due imprenditori si aggiunse una terza persona, Adriano Cremascoli, per un periodo venditore di case per conto di Coraglia, in quel momento factotum della Monti Immobiliare. In quell'incontro, i Carabinieri intercettarono in particolare Carollo riferirsi a Nobile come "un uomo mio", confermando le ipotesi investigative degli inquirenti. Poco dopo sempre Carollo spiegò a Cremascoli l'origine di 750 milioni di lire che erano entrati nel giro degli amici-imprenditori: erano seppelliti sotto due metri di terra da quattro anni, tenuti nascosti in attesa di un buon business su cui investire, che in questo caso era rappresentato dall'area agricola di Ronchetto sul Naviglio.

Sempre conversando con Cremascoli, Carollo affermò: "Sono stato io ad aver voluto la Edilmoro"[8], cioè una delle società intestate all'imprenditore-prestanome, e sul terreno di Ronchetto sul Naviglio confidò al suo interlocutore di essere stato lui ad averlo venduto a Coraglia e che a breve vi sarebbe stata "la firma", ma senza entrare nel dettaglio.

Vi entra in una telefonata con Zacco intercettata a dicembre 1989: "Sto facendo una convenzione che è alla firma di Schemmari, sono andato a firmare la convenzione, ora ho chiesto protezione politica e l'ho trovata. Io là ho un contatto con Pillitteri, il sindaco di Milano, ci chiamiamo giornalmente per [...] fissare [...] accelerando questa pratica qua [...] difatti è alla firma di Schemmari, e dovrebbe firmare oggi o domani, dovrebbe firmare. Ma nel giro di quattro o cinque anni verrebbero edificabili altri 5mila metri cubi, chiaramente con un prezzo politico, poi andremo a suddividere tra noi"[9].

I due nomi fatti da Carollo erano due pezzi da novanta della Milano dell'epoca: Paolo Pillitteri era il sindaco socialista della città, cognato di Bettino Craxi, mentre Attilio Schemmari era l'assessore all'Urbanistica, socialista della corrente dell'ex-sindaco Aldo Aniasi e indicato all'epoca come successore di Pillitteri alla carica di Sindaco.

Dalle intercettazioni emerse che gli interlocutori a cui Nobile si era rivolto per ottenere la firma da mezzo miliardi di lire di Schemmari erano Salvatore Spinello, gran maestro della Gran loggia di piazza del Gesù, detto "il professore", in affari con il costruttore catanese Carmelo Costanzo (uno dei c.d. cavalieri dell'Apocalisse Mafiosa di cui parlò Pippo Fava), e compagno di Anita Garibaldi, pronipote dell'eroe dei due mondi e componente della direzione nazionale del PSI.

Nonostante le pressioni, la firma tardava ad arrivare. Il 25 gennaio 1990 Nobile chiamò la Garibaldi a Roma, la quale precisò subito di non essersi dimenticata di lui, ma che la persona con cui lei aveva parlato non seguiva personalmente la cosa ed essendoci la campagna per le amministrative era preso da quella. L'identità del pezzo da novanta con cui la Garibaldi riuscì a parlare per appena 2 minuti e da cui dipendeva lo sblocco della faccenda venne identificato dalle indagini come Pillitteri[10].

Gli arresti

Il 5 febbraio 1990 Antonino Zacco venne arrestato dai Carabinieri, dopo 17 anni di latitanza, in una casa di proprietà della Monti Immobiliare di Coraglia, in zona Sempione. La notizia creò scompiglio nella baracca della Novedil, con Carollo che sospettò una soffiata, ma non da persone interne al gruppo, e si lasciò andare a uno sfogo che avrebbe provocato un gran terremoto politico, una volta resi noti i verbali delle intercettazioni: "No, lascia stare che Schemmari è l'assessore e non fa un cazzo, perché schemmari lo conosco. Se non passa alla commissione Grandi opere il progetto, Schemmari non può fare nulla. Schemmari da me ha già preso 200 milioni, Schemmari da me, per il progetto di Ronchetto sulle rane. Schemmari ha preso 200 milioni di lire da me, è un progetto fermo da due anni. Schemmari da me, personalmente da me, c'ero andato con 200 milioni, io resto ancora fermo da due anni. Adesso, perché ho avuto l'incontro con Pillitteri e con Schemmari, forse andiamo alla firma dell'intera convenzione in questi giorni. Cosa vuole, io le strade le ho. Poi però arriva il pirletto di questo qua e ci blocca. E poi, meno male, ci hanno fatto richieste del cazzo, ci hanno chiesto 20 milioni. Meno male che hanno chiesto solamente 20 milioni. Per dire che non è un discorso politico, è un discorso che loro dicono: qui mangiano tutti. Dice: con 1,2 milioni di lire al mese noi andiamo avanti? Hanno parlato chiarissimo"[11].

Il 1° marzo arrivò la firma attesa e il 20 dello stesso mese il piano di lottizzazione per il Ronchetto passò anche in Consiglio Comunale, nel corso dell'ultima seduta prima dello scioglimento per le elezioni di maggio. Nella notte tra il 15 e il 16 maggio scattò l'operazione, coordinata con Palermo, che portò all'arresto di tutte le persone coinvolte nell'inchiesta.

Il Processo

Il 31 maggio 1991 si aprì il processo, che si concluse dopo 144 udienze il 9 aprile 1992. Durante il processo Ilda Boccassini venne estromessa dal pool antimafia milanese dall'allora procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, per incomprensioni con altri colleghi, in particolare Armando Spataro, con l'accusa di essere poco disponibile al lavoro di gruppo, individualista, soggettivista e passionale. Subito dopo, in un'udienza del processo, la Boccassini chiese, ma non ottenne, l'esonero dalla pubblica accusa per il venir meno dei requisiti di "onorabilità", vista la sua estromissione dal pool.

La sentenza di primo grado

Il 25 maggio 1992, due giorni dopo la Strage di Capaci, venne emessa la sentenza di primo grado, che condannò tutti e 20 gli imputati[12].

Nello specifico,

  • Antonino Carollo venne condannato a 27 anni di carcere e 300 milioni di multa;
  • Antonino Zacco a 25 anni e 250 milioni di multa;
  • Gaetano Nobile a 21 anni e 150 milioni di multa;
  • Luigi Bonanno a 21 anni e 150 milioni di multa;
  • Remo Meli a 20 anni e 140 milioni di multa;
  • Vincenzo Schiattarella a 19 anni e 130 milioni di multa;
  • Antonio Panaia a 19 anni e 130 milioni di multa;
  • Domenico Coraglia a 15 anni e 120 milioni di multa;
  • Gaspare Girgenti a 14 anni e 90 milioni di multa;
  • Davide Lazzari a 11 anni e 60 milioni di multa;
  • Gaetano La Rosa a 9 anni e 40 milioni di multa;
  • Domenico Palazzolo a 6 anni e 6 mesi e 30 milioni di multa, quale aumento rispetto alla pena inflitta con la sentenza del 12 dicembre 1989, così determinando la pena complessiva in 14 anni di reclusione e 39 milioni di multa;
  • Vito Totaro a 3 anni e 2 mesi;
  • Giuseppe Maggi a 3 anni;
  • Pietro Pradella a 3 anni;
  • Adriano Cremascoli a 2 anni e 4 mesi;
  • Renzo Tresoldi a 2 anni e 4 mesi;
  • Attilio Schemmari a 1 anno e 8 mesi.

Il commento a caldo di Ilda Boccassini, tra le lacrime per la morte dell'amico e ispiratore dell'indagine Giovanni Falcone fu: "è la dimostrazione che non sono invincibili, che se si lavora con cura, con attenzione, con pazienza si possono raggiungere questi risultati"[13].

Ulteriori gradi di giudizio

Appello

Nel processo d'appello il quadro venne fondamentalmente confermato con la sentenza dell'31 gennaio 1994 con alcuni sconti di pena: Carollo passò da 27 a 24 anni, Zacco da 25 a 22, Bonanno da 21 a 18, Coraglia da 15 a 11, mentre Nobile, che decise di collaborare con gli inquirenti, passò da 21 a 12 anni. Per i funzionari all'Urbanistica le pene vennero ridotte da 3 a 2 anni, mentre la condanna di Schemmari venne confermata.

In particolare, Nobile affermò che Carollo fu costretto dai Madonia a mandare avanti un affare di droga avviato dal padre nell'ambito dell'operazione Big John, una delle più grandi importazioni di cocaina (600 kg) mai organizzate in Italia[14].

Cassazione

Il 14 novembre 1995 la Corte di Cassazione annullò la sentenza, ordinando un nuovo processo d'appello, ritenendo illegale l'uso delle intercettazioni ambientali utilizzate durante le indagini e sollevando eccezioni sulle deposizioni del pentito Saverio Morabito.

Il presidente della Corte d'Appello Vincenzo Salafia accusò i giudici della Cassazione di avere azzerato il processo travisando platealmente i fatti e il CSM avviò un'indagine sui giudici della Cassazione. Questi fatti portarono i legali degli imputati a chiedere (senza ottenerlo) il trasferimento del processo a Brescia[15].

Secondo processo d'Appello

L'11 novembre 1996 la sentenza del secondo processo d'appello confermò le condanne del primo, con lievi sconti: 24 anni a Carollo, 22 a Bonanno, 21 a Zacco, 15 a Meli, Schiattarella e Panai, 10 anni a Girgenti, 9 a Nobile, mentre Coraglia viene condannato solamente per corruzione a 2 anni e 4 mesi. Confermata la condanna a Schemmari[16].

L'ultimo verdetto della Cassazione

L'iter giudiziario della Duomo Connection si concluse definitivamente con la sentenza della Cassazione del 23 dicembre 1997: confermate le condanne a Carollo e Nobile, prescrizione per Schemmari, Totaro e Maggi e assoluzione per Coraglia[17].

Bibliografia

  • Archivio Storico del Corriere della Sera
  • Archivio Storico de "La Repubblica"
  • Renato Caccamo, Sentenza di 1° grado - Procedimento Penale 1486/91 R.G., Tribunale di Milano, 25 maggio 1992
  • Piero Colaprico, Luca Fazzo, Duomo Connection. Indagine sulla fine della capitale morale, Siena, Edizioni Sisifo, 1991
  • Mario Portanova, Giampiero Rossi, Franco Stefanoni, Mafia a Milano - Sessant'anni di affari e delitti, Milano, Melampo Editore, 2011

Note

  1. Portanova, Rossi, Stefanoni, p.235
  2. Colaprico, Fazzo, p.41
  3. Ibidem, p.47
  4. Sentenza di 1° grado, p. 61
  5. Ibidem, p.72
  6. Ibidem, p.97 - Gli incontri si tennero nel 1989 nei giorni 9/03, il 10/03, il 13/03, il 4/04 (2 volte), il 19/05, il 23/05, il 25/05 e il 31/05.
  7. Rossi, Portanova, Stefanoni, p.237
  8. ibidem, p.238
  9. ibidem, p.239
  10. ibidem, p.244
  11. ibidem, p.243
  12. Sentenza di primo grado, p.649
  13. Portanova, Rossi, Stefanoni, p.246
  14. Portanova, Rossi, Stefanoni, p.247
  15. La Repubblica, 13 aprile 1996
  16. Corriere della Sera, 12 novembre 1996, p.47
  17. Corriere della Sera, 24 dicembre 1997, p.45