82/1991 (Legge)

La versione stampabile non è più supportata e potrebbe contenere errori di resa. Aggiorna i preferiti del tuo browser e usa semmai la funzione ordinaria di stampa del tuo browser.

Il decreto legge n.8 del 15 gennaio 1991 fu convertito dal Parlamento italiano nella legge n.82 del 15 marzo 1991. Per la prima volta in Italia, questa legge introduceva un sistema di protezione per tutelare e assistere i collaboratori e i testimoni di giustizia che fossero in grave pericolo per le proprie dichiarazioni rese agli inquirenti, estendendo questa protezione anche ai loro familiari e a tutti quei soggetti che rischiassero la vita a causa dei rapporti intrattenuti con i soggetti protetti. La legge prevedeva anche il programma speciale di protezione, contenente le misure tutorie, assistenziali e di recupero sociale straordinarie.

Il sistema di protezione

Il sistema di protezione introdotto dalla 82/1991 prevede tre soggetti coinvolti:

  1. l'Autorità Giudiziaria, che avanza la proposta di programma di protezione;
  2. la Commissione Centrale, organi politico-amministrativo con poteri decisionali cui spetta il compito di concedere o meno le speciali misure di protezione;
  3. il Servizio Centrale di Protezione, una struttura specializzata di polizia interforze, che provvede all'attuazione dei programmi e delle misure di reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti protetti.

La Commissione Centrale di protezione

La Commissione Centrale è presieduta dal sottosegretario di Stato al ministero dell'Interno ed è composta da 2 magistrati e da 5 funzionari e ufficiali, «scelti preferibilmente tra coloro che hanno maturato specifiche esperienze nel settore e che siano in possesso di cognizioni relative alle attuali tendenze della criminalità organizzata, ma che non sono addetti ad uffici che svolgono attività di investigazione, di indagine preliminare sui fatti o procedimenti relativi alla criminalità organizzata di tipo mafioso» (art. 10, comma 2bis, d.l. 8/91). La Commissione delibera a maggioranza dei presenti, che devono essere almeno cinque, affinché la decisione sia valida: in caso di parità dei voti prevale quello del presidente (art.13, comma 1, d.l. 8/91). Al fine di scegliere la misura di protezione più adatta, la Commissione può richiedere agli organi amministrativi e giudiziari qualsiasi elemento necessario a stabilire la gravità e l'attualità del pericolo in relazione alle caratteristiche della collaborazione (art.13, comma 2 e 3, d.l. 8/91). Qualora ricorressero «situazioni di particolare gravità» e urgenza, prima che sia formulata la proposta e su richiesta dell'organi legittimato a farlo, la Commissione può deliberare un «piano provvisorio di protezione», che cesserà di avere effetto qualora, entro 180 giorni dalla data di emanazione, la Commissione non deliberi l'applicazione delle misure di protezione secondo le forme ordinarie (art.13, comma 2, d.l. 8/91). Nella prassi, secondo il combinato disposto dell'art.4 del d.m. n.161/2004 e dell'art.13, comma 1, de d.l. 8/91, la maggior parte delle richieste di piano provvisorio è preceduta da «misure urgenti di tutela rafforzata» adottate, su richiesta dell'autorità proponente, o dal prefetto o dal Dap, nei casi di «eccezionale urgenza» che non consentono di attendere l'adozione del piano provvisorio.

Le misure speciali di protezione

Stando all'art.13, comma 4, le misure speciali di protezione, adottate dalla Commissione e attuate dal prefetto del luogo di residenza del beneficiario, generalmente consistono in:

  • misure di tutela e accorgimenti tecnici di sicurezza (come la videosorveglianza);
  • misure di protezione necessarie per i trasferimenti in comuni diversi da quello di residenza;
  • interventi contingenti (anche economici) finalizzati al reinserimento sociale del collaboratore;
  • peculiari modalità di custodia, di trasferimento e di piantonamento.

Qualora si rivelassero inadeguate sia le misure ordinarie che quelle speciali di protezione, la Commissione ha la facoltà di adottare nuovi accorgimenti deliberando l'applicazione dello speciale programma di protezione (art.13, comma 5-11, d.l. 8/91). Il programma, attuato dal Scp, consente di integrare le misure esistenti con:

  • misure di assistenza personale ed economica;
  • misure atte a favorire il reinserimento sociale delle persone sottoposte a protezione;
  • altre misure straordinarie che si rivelino necessarie.

Le misure di assistenza economica, riservate ai collaboratori privi dei mezzi necessari per provvedervi in maniera autonoma, consistono:

  • nel pagamento delle spese d'affitto, di trasferimento, delle cure mediche (qualora sia impossibile rivolgersi a strutture pubbliche) e di quelle relative all'assistenza legale;
  • nell'assegno di mantenimento del collaboratore e delle persone a carico, nel caso di impossibilità degli stessi a svolgere un'attività lavorativa.

Al fine di combattere la prassi dell'estensione automatica dei programmi di protezione ai familiari del collaboratore, all'art.9, comma 5, della legge è espressamente previsto che il solo rapporto di parentela, affinità o coniugio non giustifica l'applicazione delle misure, qualora non sia accompagnato da una «stabile convivenza» con il collaboratore. Non solo, all'art.13, comma 6, è stabilito che l'ammontare complessivo dell'assegno di mantenimento non possa superare il quintuplo della cosiddetta pensione sociale, a meno che non ricorrano «particolari circostanze influenti sulle esigenze di mantenimento in stretta connessione con quelle di tutela del soggetto sottoposto a programma di protezione». In questo caso, la Commissione è autorizzata a integrare l'assegno. Per garantire la trasparenza su questo punto, il giudice del dibattimento può acquisire, su richiesta della difesa dei soggetti accusati dal collaboratore, sia il provvedimento della Commissione che dispone l'integrazione dell'assegno di mantenimento, sia «l'indicazione dell'importo dettagliato delle spese sostenute per la persona sottoposta al programma di protezione».

Per favorire il reinserimento sociale e lavorativo del collaboratore, la legge prevede anche corsi di formazione professionali (scarsamente attivati nella pratica) e la capitalizzazione dell'assegno, con cui il collaboratore dovrebbe poter intraprendere iniziative economiche autonome. Qualora il collaboratore abbia già un posto di lavoro nel settore pubblico o privato, è previsto che ne venga garantito il mantenimento o nella stessa sede (fino al rientro in servizio e senza corresponsione di emolumenti) o mediante trasferimento ad altra sede (garantendo l'anonimato). Per i collaboratori non detenuti sotto protezione è anche prevista l'utilizzazione di documenti di copertura, allo scadere dei quali è possibile procedere, per le collaborazioni di maggior spessore e in caso di notevole pericolo, al definitivo cambiamento delle generalità (art.13, comma 10-11, d.l. 8/91).

La revoca delle misure di protezione

La Commissione, entro un anno dal provvedimento di ammissione alle speciali misure di protezione (o entro il termine da lei indicato, che non può essere inferiore ai 6 mesi e superiore ai 5 anni), ha il compito di verificare l'opportunità del mantenimento delle misure adottate o se procedere alla loro modifica o revoca (art. 13-quater, comma 3, d.l. n.8/91). La modifica o la revoca possono essere sollecitate dal Scp o dal prefetto. La legge, ai primi due commi dell'art.13-quater, specifica dettagliatamente gli elementi che occorre accertare in sede di rivalutazione delle misure, prospettando due forme di revoca:

  1. funzionale, legata alla condotta del collaboratore e al pericolo che corre;
  2. disciplinare, connessa all'inosservanza degli impegni assunti, ai sensi dell'art.12, d.l. 8/91.

Quest'ultimo articolo prevede che i soggetti protetti si impegnino personalmente:

  • a) a osservare le norme di sicurezza prescritte e a collaborare attivamente all'esecuzione delle misure;
  • b) a sottoporsi agli interrogatori, all'esame o ad altro atto d'indagine, ivi compreso quello che prevede la redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione;
  • c) ad adempiere agli obblighi previsti dalla legge e dalle obbligazioni contratte;
  • d) a non rilasciare a soggetti diversi dall'autorità giudiziaria, dalle forze di polizia e dal proprio difensore, dichiarazioni concernenti fatti di interesse per i procedimenti in relazione ai quali hanno prestato o prestano la loro collaborazione, e a non incontrare né a contattare, con qualunque mezzo o tramite, alcuna persona dedita al crimine, né alcuna delle persone che collaborano con la giustizia, fatta salva, in quest'ultimo caso, l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria in presenza di gravi esigenze inerenti alla vita familiare;
  • e) a specificare dettagliatamente tutti i beni posseduti o controllati, direttamente o per interposta persona, e le altre utilità delle quali dispongono direttamente o indirettamente, nonché, immediatamente dopo l'ammissione delle speciali misure di protezione, a versare il danaro frutto di attività illecite.

Mentre la revoca funzionale è solo facoltativa, quella disciplinare può essere automatica o facoltativa, a seconda della gravità degli impegni violati dal collaboratore. La Commissione potrà procedere alla revoca funzionale qualora il collaboratore:

  • compia reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo;
  • rinunci alle misure;
  • rifiuti di accettare adeguate opportunità di lavoro o di impresa;
  • faccia illecitamente ritorno al luogo dal quale è stato trasferito;
  • compia un'altra azione che comporti la rivelazione dell'identità assunta, del luogo di residenza o delle altre misure applicate.

L'inosservanza degli obblighi previsti all'art.12, lettera b) ed e), unita alla commissione di delitti indicativi del reinserimento nel circuito criminale, comportano la revoca automatica delle speciali misure di protezione, mentre l'inadempimento degli altri impegni previsti dà la facoltà alla Commissione di procedere alla revoca delle misure.

Il Servizio centrale di protezione

Il Servizio Centrale di Protezione, che ad oggi gestisce più di 5500 persone[1], si occupa della schermatura anagrafica, dell'organizzazione degli impegni di giustizia, dell'assistenza e del disbrigo di pratiche burocratiche.

I Nuclei operativi di protezione

Il 26 maggio 1995, tramite un decreto interministeriale, il Scp venne riorganizzato per far fronte ai problemi insorti nei primi anni d'applicazione della legge: in particolare, vengono istituiti i Nuclei operativi di protezione (Nop), ai quali vennero delegati i compiti di assistenza precedentemente svolti da prefetture e forze di polizia locali. Il primo Nop a operare in Italia fu quello di Roma, nel 1996: da allora i Nop funzionanti su tutto il territorio italiano sono 19.

L'Ufficio sanitario

Opera all'interno del Scp con funzioni di coordinamento e collaborazione con le strutture pubbliche e, in caso di necessità, anche private, svolgendo un compito di supporto nell'erogazione di cure mediche ai soggetti sotto protezione. Dal 1999 vennero introdotti 3 psicologi, scelti tra il personale di polizia con titolo e formazione idonei.

Riforme

La legge 45/2001 ha distinto il Servizio centrale di protezione in due diverse strutture, differenziando il trattamento assistenziale tra collaboratori e testimoni di giustizia, per i quali è previsto il mantenimento degli stessi standard di vita precedenti.


Note

  1. Cfr l'ultima "Relazione al Parlamento sulle speciali misure di protezione sulla loro efficacia e sulle modalità generali di applicazione", disponibile qui http://www.poliziadistato.it/articolo/26546/