Quello che segue è l’articolo scritto da Nando dalla Chiesa (nostro socio onorario) su Il Fatto Quotidiano del 30.11.14, in cui parla dello spettacolo teatrale che da mercoledì 3 dicembre sarà in scena al Piccolo Teatro di Milano fino a domenica 21. Alla scrittura dello spettacolo hanno preso parte di WikiMafia Pierpaolo Farina, Francesco Moiraghi e Monica De Astis.
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Questa è una bella storia. Soprattutto perché è collettiva. E perché non è affatto finita. Si narrerà qui di uno spettacolo teatrale. Non di nicchia, non di un coraggioso teatro di periferia. Ma del Piccolo Teatro di Milano. Protagonisti una trentina di giovani, l’anima di tutto. Che hanno suscitato una fioritura di impreviste vocazioni. E la scelta di campo di tante persone, comprese alcune che contano. Il titolo dello spettacolo, anzitutto: “E io dico no”. E il sottotitolo: “Ogni notte ha un’alba”. Una denuncia pubblica della presenza mafiosa in Lombardia, della sua storia, dei suoi protagonisti e dei pochi antagonisti. Osservata attraverso l’aspra vicenda nazionale della lotta tra poteri criminali e democrazia. Una rilettura serrata di ciò che si sa, il disvelamento di ciò che (in genere) non si sa. L’anatomia cruda di un fenomeno che si tende a rimuovere, i fatti già finiti sui libri e quelli delle inchieste più recenti in un affresco che lascia senza respiro. Fino a quella ribellione che a un certo punto del copione si alza forte, inflessibile: “E io dico no”. E l’apertura a una speranza non gratuita: ogni notte ha la sua alba.
Mercoledì sera sarà chiaro. La Lombardia espugnata, messa come uno stuoino ai piedi della ‘ndrangheta da un esercito di funzionari e sindaci e imprenditori pavidi e corrotti, sta finalmente organizzando la propria resistenza a un’ascesa che sembrava irresistibile. Non denunce tutte interne al gioco politico, ma prese di posizione nette e non negoziabili che coinvolgono ormai insegnanti, giornalisti, professionisti, assessori. E, al centro, il cuore generoso della gioventù che ha fatto partire dall’università la sua rivolta. Non declamando ma pensando, cimentandosi con i dubbi più perfidi. “Non è la notte ad essere passeggera, è il giorno ad esserlo. E’ il giorno l’illusione. E infatti, il terzo dono dell’oscurità è la luce stessa. Come i giorni sono definiti dalle notti che li separano, così le stelle sono definite dall’oscurità infinita in cui ruotano. L’oscurità abbraccia la luce e la genera dal suo stesso centro. Ad ogni vittoria della luce, è l’oscurità che vince”. Non l’ha scritto un romanziere né un filosofo. Ma un giovane neolaureato dell’Università di Milano. E’ un passaggio del testo, il cui senso verrà rovesciato nel finale, così come viene rovesciato il tavolo a cui si perde.
Perché il testo, ecco la “grande bellezza” di questa stagione milanese, nasce dalle confidenze, dagli stati d’animo, dagli studi e dalle tesi di laurea degli studenti di Scienze politiche. Che si sono messi a nudo per il regista Marco Rampoldi, aiutandolo con parole e scritti a destrutturare i luoghi comuni sui mafiosi (ma quali uomini d’onore, sono i più grandi traditori in circolazione) e a dire le verità indicibili senza mai cedere un’unghia alle visioni fantastiche e complottiste utili a dar fama ai nullasapienti. Lo stesso riferimento all’alba nasce dalla loro esperienza su un’isola in cui, come i giovani del Decamerone, si sono riuniti a discutere senza rete la storia d’Italia. L’alba che arrivava dal mare a chiudere i loro conciliaboli notturni dando il segno metaforico del nuovo giorno che incominciava.
E’ cambiato il film che i clan si erano girati nelle loro menti per anni interminabili. Almeno in alcune sue zone “sensibili” Milano volta pagina. Non un eroe, un testimone solo. Ma una rete montante di energie. E in effetti uno spettacolo così ha avuto bisogno di un direttore artistico come Sergio Escobar che ci credesse. Non una “serata di impegno civile” degli studenti, ma un intero pezzo di stagione teatrale, dal 3 al 21 dicembre. E poi di un regista che amasse d’istinto quelle decine di studenti mai visti e la loro carica morale. Di collaboratori teatrali, fino agli attori, che vivessero tutto questo come un appuntamento speciale per il quale valeva la pena dare il meglio di sé. Di un rettore della Statale che decidesse con orgoglio di metterci nome e risorse dell’università. E di fondazioni bancarie ed editoriali. E poi di scuole e università e cittadini che vi si riconoscessero fino a fare registrare il tutto esaurito fin sotto Natale, quasi a dare il benvenuto a una generazione che prende finalmente in mano i destini del nord che altri hanno abbandonato nelle mani dei violenti e dei codardi.
Chi sono dunque questi giovani, metà studenti metà giovanissimi ricercatori? Di alcuni i lettori del “Fatto” già sanno, anche perché chi scrive li ha visti crescere nella sua università. Già sanno di Pierpaolo, fondatore di Wikimafia, e che ha dedicato un sito seguitissimo a Enrico Berlinguer, su cui ha pure pubblicato un libro. Già sanno di Martina e di Roberto, di Sara e di Mattia, di Ester e di Dario, redazione di Stampo Antimafioso. Ecco, a loro molti altri si sono aggiunti. Perché nessuno ha pensato di bastare a se stesso e ognuno ha invece camminato con altri. In questa Italia dove spesso i “volti giovani” della politica sembrano macchiette, sta crescendo una generazione fatta di umiltà e di conoscenza che mercoledì sera darà una svolta alla vita milanese. Da un teatro, come tante volte è accaduto nella storia contemporanea cittadina, dal Risorgimento alla Liberazione al Sessantotto. Perché è in teatro che le parole smettono di barare e ridiventano pietre.